And there’s always music in the air: rock e palcoscenico in Twin Peaks.
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“Be’, chiunque, persino un deficiente, può prendere una canzone e ficcarla in un film. Per me la cosa si fa interessante quando il pezzo non se ne sta solamente lì appiccicato. Deve possedere degli ingredienti che siano davvero adatti a far parte della trama, il che può verificarsi sia in maniera astratta che per via del testo. A quel punto è come se fosse impossibile vivere senza quel brano musicale: non può assolutamente trattarsi di nulla di diverso.” (David Lynch)
Musica e sonoro nel cinema di Lynch
Il cinema è per Lynch una assoluta equivalenza di suoni e immagini. La maggior parte dei registi si focalizza soltanto sull’aspetto visivo per affiancare, in un secondo momento, musica ed effetti sonori come semplice rafforzativo. David Lynch è pittore e musicista: nei suoi film egli cura tanto il montaggio quanto l’edizione del suono. Nei suoi film suoni e visioni generano, assieme, forme; e danno forma ad idee: le scene talvolta raggiungono livelli di parossismo estetico proprio perché, incuranti della verosimiglianza, assecondano l’imperativo di dare forma ad un’idea. Musiche e suoni partecipano, in egual misura, a questa realizzazione: non hanno quindi un significato a sé stante che esaurisca la loro funzione, ma sono elementi della grande messinscena filmica, del puzzle mentale che l’autore va costruendo.
È opportuno qui menzionare, anche perché forma attuale delle attività del proteiforme autore, il canale YouTube David Lynch Theater, alimentato di video sovente misterici e tutti declinati sul fronte musicale / sonoro. Per esempio il recente I Have a Radio.
La musica è, per antonomasia, l’arte che non vuole né richiede spiegazioni. Ogni vera opera d’arte apre indefiniti orizzonti di senso, ma non tollera la propria riduzione ad un unico esaustivo significato. Così il cinema di Lynch, che ha il suo cuore pulsante nell’idea stessa di mistero. Mi interessa, quindi, non tanto la sua produzione musicale dentro e fuori il cinema, quanto il suo modo musicale di intendere il cinema, di fare cinema. Nello specifico: il suo modo rock.
Il rock, nelle sue origini (anni 50/60) era la musica del diavolo: la musica della disinibizione sessuale, della contestazione, della libertà; la musica che contrappone retoricamente la ribellione giovanile alla società degli adulti. Il rock è da sempre un territorio ambiguo, in cui convivono i più dolci canti d’amore e la rabbia più sfrenata, il puro individualismo e l’esibizionismo più trasgressivo. Giovinezza, rabbia, ribellione, esibizionismo, trasgressione e amore: un mondo in cui luce e oscurità si confondono e si rimescolano, esattamente come il mondo di David Lynch e, in particolare, Twin Peaks.
Una lettura in chiave rock della saga di Twin Peaks
Da Elvis Presley a Marilyn Manson, i protagonisti del rock sono spesso vere e proprie icone, idoli idealizzati e divinizzati. La rockstar è un personaggio mitologico, e di rado il personaggio coincide con l’interprete. David Bowie è senza dubbio colui che più consapevolmente ha giocato con le maschere del rock, creando e uccidendo, uno dopo l’altro, i suoi numerosi e misteriosi alter ego. Un genere di rock che attrae particolarmente David Lynch è l’industrial, genere perfettamente incarnato dai Nine Inch Nails: suoni elettrici e cupi, testi dark e violenti. Trent Reznor, sul palco, ci trascina in un mondo oscuro, abitato da demoni e fantasmi. Come il cinema di Lynch, che ha più volte utilizzato rockstar nella veste di attori (Sting, Chris Isaak, lo stesso Bowie e il già citato Marylin Manson) o creato caratteri legati al mondo della musica. Ma l’autore è figura ben diversa dalla maschera che mette in scena. Anzi, si potrebbe già cautamente affermare che il secondo è il tulpa del primo o meglio, il suo doppelgänger.
In che senso? Come diceva Lester Bangs: “Il rock’n’roll è un’attitudine, non uno stile musicale o formale. Identifica il modo in cui si fanno le cose: scrivere può essere rock, così come girare un film. È uno stile di vita”.
Il termine rock racchiude oggi una molteplicità di significati, dall’ambito musicale a quello estetico esistenziale. Dal punto di vista musicale, tralasciando ora origini, evoluzione e diramazioni, elemento fondamentale del rock è l’utilizzo della chitarra elettrica: amplificazione e distorsione elettriche sono quindi tra le sue caratteristiche più proprie. Dal punto di vista esistenziale, rock è da sempre sinonimo retorico di ribellione alle regole e libertà individuale.
Queste due prospettive, quella esistenziale e quella musicale, si incrociano perfettamente nella figura della rockstar, l’animale da palcoscenico, l’oggetto di adorazione, a volte vera e propria semidivinità. Il modo in cui questa maschera viene, più o meno consapevolmente, indossata per infiammare il pubblico, accendere il suo entusiasmo e creare un alone di mistero intorno a sé è un aspetto imprescindibile dell’estetica rock tout-court. L’artista stesso diviene, wildianamente, opera d’arte, il mondo del rock divenendo dunque un mondo di proiezioni di sé, tema quanto mai centrale soprattutto nell’ultima stagione di Twin Peaks: the Return.
La stessa Loggia Nera, in fondo, è un territorio onirico in cui regna sovrana l’ambiguità: le regole dell’ordinario sono sospese, bene e male seguono logiche a noi sconosciute, tra le tende rosse i segreti sono sussurrati dopo un bacio e un nano (The Man From Another Place) balla una musica inquietante e ritmata, dopo avere detto, in uno stranissimo modo di parlare: “Let’s rock! […] Where we’re from, the birds sing a pretty song… and there’s always music in the air.”
Twin Peaks e il rock: luoghi
Twin Peaks è un luogo popolato da luci e ombre: assolutamente emblematici i due locali di ritrovo del paese: il Double R, il ristorante caffè, e il Roadhouse, il pub. In entrambi la musica è centrale: attraverso il juke box del locale di Norma, e i concerti live del Roadhouse.
Da una parte vi è dunque il luminoso R&R, con le sue torte di ciliegia, il caffè (in Twin Peaks, simboli legati a tutto ciò che è moralmente buono) e le canzoni del jukebox; dall’altra l’oscuro Roadhouse, pieno di birre e fumo, frequentato tra gli altri da balordi e teste calde, luogo di relazioni clandestine e racconti gratuitamente violenti (soprattutto in S3).
La musica del Roadhouse, per lo più dal vivo, è molto distante dai classici popolari di un jukebox: si tratta di esibizioni cupe, ossessive, dark. I live di The Return solitamente chiudono gli episodi e i titoli di coda scorrono sulle immagini dei concerti.
In E8 S3 -iperbole assoluta dell’intera stagione- il gruppo suona all’inizio, e non alla fine della puntata, e questo gruppo è Nine Inch Nails, che viene stranamente presentato come The Nine Inch Nails. Perché l’aggiunta dell’articolo? Apparentemente semplice: Twin Peaks non esistendo nella nostra realtà, ovvero nella realtà di noi spettatori, l’irruzione in esso di una famosa rock band, famosa nella nostra realtà, comporta una sorta di slittamento, uno spostamento. Quello non è il gruppo che già conosciamo, è un altro gruppo. Semplice, no?
No.
Perché quando poi è il turno di Eddie Vedder (Pearl Jam) di suonare la splendida Out of sand (E16 S3), egli viene presentato come Edward Louis Severson III. Ovvero il suo nome originario all’anagrafe. Originario, perché la madre si risposa poco dopo e il cognome dell’ignaro bambino diventa Mueller. Scoperta la verità, intorno ai 18 anni, Eddie cambia legalmente il proprio cognome, assumendo quello della madre da nubile: Vedder. Come Edward Louis Severson III firma, unica volta nella sua carriera, i testi di Ten, il celeberrimo disco d’esordio dei Pearl Jam, e da allora in poi sarà per tutti solo Eddie Vedder. Fino al palco del Roadhouse dove ciò che proviene dalla nostra realtà deve comunque diventare qualcos’altro.
È il capitolo che si apre con la folgorante morte di Richard, che Mr. C, senza scomporsi, saluta per la prima e unica volta come figlio. Il parallelo tra le due situazioni è uno stupefacente gioco di specchi tra le diverse realtà, compresa quella del rocker come tulpa, come doppio.
Siamo verso la fine di The Return, verso quel grandioso finale che è lo slittamento totale della serie stessa (Out of sand anticipa l’ingresso al Roadhouse di Audrey, che vedremo in seguito).
Il Twin Peaks delle origini (S1, 1990) appare inizialmente come un tranquillo paese, dalla vita semplice, fatta di cose semplici. Appare come l’opposto dello spirito ribelle e iconoclasta del rock. Ma questo paese nasconde segreti, la malvagità scorre in esso. In The Return Twin Peaks è diventato un paese in cui il male, dopo 25 anni, sembra imperversare. La violenza, il sangue e l’oscurità sono diventate la trama stessa della cittadina, un tempo esempio di comunità in cui “la vita di ognuno ha importanza”.
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Twin Peaks e il rock: personaggi
Dopo 25 anni, alcuni particolari personaggi sono per noi irriconoscibili, o addirittura loro stessi non si riconoscono più: “Mi sento come se fossi altrove e fossi un’altra. Sono un’altra ma non so chi sono” dice Audrey (E14 S3).
In The Return il mitico agente Cooper, paradossalmente, appare per pochi, pochissimi episodi. Chi invece compare molto, moltissimo è Diane, la fantomatica persona per cui Cooper registrava le sue notazioni nelle prime due stagioni, nelle quali non si vede mai. Ora finalmente ha un volto e un corpo, ed è una rivelazione scioccante: Diane è una donna dal linguaggio sboccato, che fuma un numero esagerato di sigarette, va a letto con uomini molto più giovani, ed è alcolizzata. L’opposto del Cooper originale, esasperatamente bravo ragazzo. Ma questa Diane, come vedremo, è una tulpa, ovvero non è quella vera. Troppo rock per essere quella vera.
Audrey, Bobby, James, e la stessa Laura Palmer, erano tutti cliché dell’adolescente ribelle, cui la musica rock è destinata. Le loro evoluzioni e metamorfosi da giovani ad adulti, 25 anni dopo, sono a dir poco spiazzanti, eppure, a loro modo, assolutamente consequenziali:
Bobby ha messo la testa a posto, è diventato addirittura vicesceriffo della cittadina, ed è facilmente incline alle lacrime. Il giovane Briggs recitava la parte del ribelle ma in fondo lo spirito rock era solo di facciata.
James, dal canto suo, è rimasto a vivere nella piccola cittadina, modestamente impiegato come operaio; scomparse le velleità di girare il mondo con la sua bella moto. Non ha perso il vezzo di innamorarsi di donne “altrui” e canta ancora la stessa sdolcinata canzone d’amore di S1, Just you and I, ora naturalmente dedicata ad un’altra – l’ennesima – donna.
Questi due giovani, che sembravano allora così liberi e veri, così fascinosamente rock, sono stati entrambi smentiti dalla maturità. È forse il rock un’illusione che ha senso solo in giovane età?
Audrey Horne, la femme fatale rimasta in coma dopo l’esplosione della banca (S2), è in S3 una donna schizofrenica: sposata al grottesco Charlie, tutta la sua storia attuale si riduce alla ricerca di un personaggio -Billy, il suo amante- inesistente. O meglio, un personaggio che non verrà mai mostrato nella narrazione: Audrey non è più la protagonista di un tempo, è diventata totalmente secondaria.
Eppure, quando finalmente giunge al Roadhouse, il presentatore – che opera solo per le grandi occasioni – introduce al pubblico uno dei brani più celebri che ricorrono della saga: Audrey’s dance! (“God, I love this music… Isn’t it too dreamy?” e in S1 seguiva l’intrigante ballo che la ragazza eseguiva con disarmante sensualità), presentandolo con lo stesso titolo che ha nella colonna sonora.
Questo semplice momento introduce una situazione di incredibile complessità: nella realtà del Roadhouse irrompe un elemento musicale di bizzarra natura, poiché proveniente dalla serie di 25 anni prima, senza contare che il titolo (Audrey’s dance) rimanda inevitabilmente ad Audrey come personaggio – sempre di 25 anni prima.
La banda attacca a suonare lo stesso pezzo di allora e tutti le fanno spazio in mezzo alla sala, seguendo, surrealmente ipnotizzati, il suo ballo… La grazia del suo danzare sembra la stessa, quasi stesse cercando di tornare ad un passato che non c’è più… Ma la rissosa realtà del Roadhouse interrompe bruscamente la magia e la nostra ballerina ha una sorta di brusco risveglio in un’altra realtà: si sta guardando in uno specchio, è completamente struccata, invecchiata, intorno vi è solo un bianco accecante… “What? What?” fa in tempo a biascicare, incredula; e le immagini tornano ai musicisti del Roadhouse, ancora impegnati a suonare Audrey’s Dance. Scorrono i titoli di coda, sul video e sulla musica, ma entrambi stanno andando al contrario.
Siamo avvisati: qualcosa deve essere cambiato, evidentemente, nella narrazione: i due rimanenti episodi di The Return, gli ultimi, saranno, se possibile, un’iperbole narrativa ancora più estrema e radicale.
Suoni elettrici
L’immagine del grammofono che si inceppa su un disco, e soprattutto il suono che ne consegue, quello della puntina che continua a saltare, così come le intermittenze luminose, sono per Lynch un perfetto segnale di interferenza, idea fondamentale in ogni sua costruzione narrativa, dove convergono forma e contenuto.
Il suono delle intermittenze / scariche elettriche (“Electricity!” è un’espressione ricorrente tra gli abitanti della Loggia) è spesso legato alla visione di figure come pali della corrente, cavi della corrente, antenne radio… Queste immagini cominciano a sedimentarsi, dando vita ad un vasto orizzonte di senso, soprattutto a partire dal film. Il vento tra gli alberi invece, nel film come nella serie, sembra sempre preludere, come immagine e come suono, al male che sta per compiersi. L’inquietante presenza dei taglialegna, ampiamente ripresa in S3, è forse da associare a quella dei pali della corrente (che sono fatti di legno), che trasportano l’elettricità? Vi sono continui riferimenti a qualcosa che è nell’aria e a qualcosa che vibra, che viene trasmesso attraverso l’aria (onde radio?)… Tutto questo crea un parallelo molto curioso tra una presenza malvagia, che abita ontologicamente Twin Peaks, e una – o forse è la stessa – altrettanto malvagia, ma più legata all’universo della comunicazione che la tecnologia (elettricità, onde radio) permette, ovvero alla diffusione mediatica. Ma cosa diffondono questi media? Forse il Male stesso: questo male è Twin Peaks, da considerarsi come prodotto televisivo? Da una parte abbiamo quindi una (fittizia?) realtà malvagia, dall’altra la diffusione di questa stessa realtà nel mondo.
Nell’incipit di The Return (E1 S3) il Fuochista (the Fireman) dice al protagonista: “Agent Cooper. Listen to the sounds.” Da un vecchio grammofono fuoriescono le misteriose intermittenze sonore, che richiamano l’elettricità, e che, come abbiamo visto, costellano significativamente l’universo di Twin Peaks.
Significativamente… e il loro significato? “Non tutto può essere detto ad alta voce”.
Un’evoluzione in un certo qual modo elettrica accade al Braccio di Mike, ovvero il Nano della Loggia (The Man From Another Place): è diventato qualcos’altro: the Evolution of the Arm (E2 S3), un albero nudo con una sorta di massa informe come testa continuamente attraversato da scariche elettriche e, naturalmente, parlante… Uno di quegli esseri mostruosi, eppure sorprendenti nella loro semplicità, che popolano l’universo teatrale e visionario di Lynch. Il mondo della Loggia è abitato da esseri deformi, lontani dalla norma (il gigante, il nano, l’uomo con un braccio solo; lo stesso Bob, volendo, è mascherato da uomo nero): un sipario rosso è il suo ingresso attraverso i boschi di Twin Peaks. Parlano in uno strano modo, anch’esso deformato. La teatralità è la condizione ordinaria di quel mondo. Lo stesso Bob muove i suoi ospiti come un burattinaio.
Oscurità, ambientazioni notturne, suoni cupi e prolungati, elettricità, interferenze, il vento nel bosco… il legame tra questi elementi, spesso alla base di alcune tra le scene più potenti e significative di Twin Peaks, ha a che fare con il Male e la sua diffusione. Ecco allora apparire la figura del woodsman (i taglialegna anneriti), presente in ogni significativa situazione di malvagità. La più emblematica è sicuramente quella riguardante la genesi dello stesso Bob: nella stessa notte in cui ha origine il rock, si materializzano questi taglialegna anneriti, accompagnati da suoni intermittenti di elettricità.
Uno di loro si dirige verso la stazione radio locale, uccide i presenti schiacciando loro la testa e si impossessa del microfono attraverso cui diffonde una criptica litania (“This is the water, and this is the well…”), che fa cadere addormentati tutti gli ascoltatori di quella stazione radiofonica… nello stesso anno in cui ha origine il rock: nel 1956, infatti, Elvis Presley è ospite dell’Ed Sullivan Show: è il 9 settembre, the day America was rocked. Se, come pare evidente, esiste un legame tra ciò che the woodsman compie nella stazione radiofonica e l’origine della diffusione del rock negli USA, questo legame sottolinea l’aspetto di corruzione e malvagità -l’aspetto satanico– del genere in questione.
L’iperbole musicale in Fire Walk With Me e The Return
All’interno di un classico brano rock possiamo tranquillamente individuare il momento iperbolico nell’assolo della chitarra elettrica: come se l’intera struttura melodica venisse in qualche modo sublimata da quella determinata esecuzione fatta di accelerazioni, ellissi, distorsioni. Ma quella parte può ovviamente esistere solo se sorretta dall’impianto armonico dello stesso pezzo. È in questa ottica che cercheremo ora di mettere a fuoco alcuni assoli contenuti nella saga, ovvero alcuni momenti topici in cui il rigore estetico e l’alta significatività si intrecciano in modo unico e assoluto, proprio del cinema lynchiano.
Chris Isaak, che potremmo definire la rockstar della porta accanto, nei panni dell’agente Desmond è presenza accattivante e tranquillizzante al punto giusto; ancor più disturbante ne risulta quindi l’improvvisa e irrazionale scomparsa.
Ma questo è niente rispetto alla deflagrazione che è l’entrata in scena (e la subitanea uscita) di David Bowie, alias Phillip Jeffries. La sua apparizione nella storia rappresenta l’irruzione del sogno nella cosiddetta realtà, e questo risponde perfettamente alla caratura di un artista unico come Bowie, che non ha certo qui bisogno di presentazioni.
Questo è un altro momento di altissima teatralità del film. L’effetto dell’entrata di Jeffries negli uffici FBI è puro rock sia per la struttura narrativa (di che parlava Jeffries? e che attinenza ha con il resto?) sia per lo spettatore (cosa è accaduto? quello era davvero David Bowie?). Un grandioso momento musicale, in senso lato, di cui si avverte l’assoluta potenza, ma di cui si fatica a comprendere l’esatta collocazione.
Quando vediamo l’ufficio di Gordon Cole (E3 S3), nella sede dell’FBI di Philadelphia, non si può non restare colpiti dalla gigantografia alle sue spalle, che raffigura un’esplosione atomica (quella del primo test nucleare in New Mexico). In Fire Walk With Me, al suo posto vi era la raffigurazione dell’assoluta pace e tranquillità di un lago in un bosco. Sempre 25 anni dopo, nello stesso ufficio, la parete di fronte ospita un ritratto (un’altra gigantografia) di Franz Kafka. In S3 il parallelo tra Gordon Cole, direttore FBI, e David Lynch, regista della serie, è più volte sottolineato, sì che il quadro del fungo atomico (elemento centrale nella cosmogonia di Twin Peaks) al posto dell’idillio boschivo e, in maniera ancor più sfacciata, il ritratto di Kafka (autore amato da Lynch), ammiccano prepotentemente, indicandoci una precisa corrispondenza.
Durante la scena dell’obitorio (E7 S3), quando il cadavere privo di testa del maggiore Briggs viene mostrato all’incaricata della Difesa, avviene il passaggio di uno dei taglialegna, figure tra le più misteriose della serie: la sua comparsa è accompagnata dall’inconfondibile tappeto sonoro formato da scariche elettriche ad intermittenza. Nell’inquadratura successiva vediamo un grande quadro raffigurante una pannocchia di mais: l’elemento da cui ha origine quella crema che gli abitanti della Loggia chiamano Garmonbozia, ed è nutrimento legato alle azioni malvagie di Bob. È interessante notare come alla crema di mais, classico prodotto industriale (infatti viene spesso mostrato dentro le lattine, come nel misterioso Convenience Store), simbolo legato alla malvagità, si contrappongono le artigianali torte alla ciliegia, soprattutto quelle di Norma, classicamente fatte in casa, che Cooper non finisce mai di elogiare nelle prime due stagioni.
Comunque, anche il quadro della pannocchia si trova nell’ufficio di Gordon Cole, che vediamo seduto davanti la gigantografia del fungo atomico, mentre sta fischiettando. Cosa sta fischiettando? Sembrerebbe essere il famoso motivo della colonna sonora di Amarcord, composto da Nino Rota, con qualche piccola variante, che lo rende più simile al canto di un uccellino… È una citazione diretta? Anche Fellini è un artista molto amato da Lynch. Questo è uno dei suoi classici rompicapo, ennesima sfida alla nostra mente detective.
Twin Peaks, il rock, e l’origine del male
Ma la vera sfida che ci aspetta è l’episodio 8 della terza stagione, un’ora di pura videoarte. La genesi di Bob avviene in New Mexico, in data 16 luglio 1945 con Trinity, il primo test nucleare della storia, nell’ambito del progetto Manhattan: il momento in cui, come dicono gli americani “il genio è uscito dalla bottiglia”. Una pura distorsione sonora e visiva ci conduce fin dentro l’esplosione: l’essere chiamato Judy (o Jowday “in olden times”) produce delle uova all’interno di una sostanza gelatinosa, e una di queste uova racchiude Bob. Segue l’origine del Convenience Store e dei taglialegna.
La reazione a questo cruciale avvenimento della storia umana accade dentro una futuristica fortezza, posta sulla cima di un’impervia montagna che sorge nel mezzo di un oceano viola. Dentro vi sono il Fuochista (il gigante delle prime stagioni) e la signorina Dido (seňorita Dido), un nuovo emblematico personaggio, con elegante vestito e acconciatura fine anni 40 / inizio 50, gli anni del dopoguerra. La signorina siede a fianco di un vecchio fonografo che suona una musica che richiama quell’epoca, e anche l’arredamento è nello stile di quegli anni. È questa la Loggia Bianca? Parrebbe di sì, anche a giudicare dalla successiva presenza della testa fluttuante del maggiore Briggs.
Suona uno speciale allarme, e l’esplosione viene proiettata in un’altra sala della fortezza: è un cinema teatro (a theater), sempre anni 50, e dunque antecedente a quello che sarà il lungo cammino di appropriazione televisiva della narrazione filmica. Il Fuochista crea a sua volta un uovo color oro che contiene l’immagine della giovane Laura Palmer. La signorina Dido insuffla l’uovo nel nostro mondo, proiettato sul grande schermo cinematografico.
L’azione ritorna in New Mexico, ma ora è il 1956: l’uovo Bob si schiude, ne esce una creatura ibrida, a metà tra l’insetto e l’anfibio (una rana-falena) che entrerà nella bocca di una fanciulla sprofondata in un sonno irreale (la futura madre di Bob o Sarah Palmer?). E qui l’ultimo tassello di questo complicato mosaico cosmogonico: nella notte, tra le intermittenti scariche elettriche, si materializzano i taglialegna (the woodsmen), completamente anneriti, come se avessero l’oscurità della notte addosso. Segue la scena sopracitata del massacro alla stazione radio locale e la diffusione del misterioso mantra che fa stramazzare tutti quelli che sono in ascolto.
Gli elementi costitutivi coinvolti nella narrazione di questa grandiosa genesi, genesi forse di tutto il mondo di Twin Peaks (l’uovo contenente l’immagine di Laura può riferirsi all’intera storia, alla serie stessa) sono medium -fonografo, cinema, radio- parti fondamentali di questo grande puzzle. Attraverso la radio si diffonde, per la prima volta, la musica rock, ovvero la musica del diavolo. In un vecchio cinema viene creato l’antidoto (l’uovo / Laura) al Male / Bob. Nell’anno in cui il rock corruppe l’America l’enigma di Twin Peaks diviene realtà.
Metatestualità e mise an abyme
La figura del woodsman, l’enigmatica connessione tra il Male e la radio, figura legata al Convenience Store (altro luogo altamente simbolico), è forse da relazionarsi al defunto marito della Signora Ceppo, il personaggio più emblematico e caratteristico tra gli abitanti della cittadina? Questa domanda, destinata comunque a restare senza risposta, non fa che evidenziare la rete di rimandi interni e possibilità interpretative di questa fitta e complessa trama di eventi e personaggi, il cui scopo primario è l’istituzione di un mistero perenne e non il racconto della soluzione di un enigma.
Un esempio? Proprio la Signora Ceppo (the Log Lady), ovvero Margaret Lanterman, interpretata da Catherine Coulson, che in The Return è visibilmente provata e sofferente, come personaggio e come persona (morirà di lì a poco). La morte della Signora Ceppo (E15 S3) avviene nello stesso episodio a lei dedicato (in memoriam, come tutti gli episodi dedicati agli attori deceduti): dedicato però non all’attrice, ma allo stesso personaggio: Margaret Lanterman. Si tratta dunque di un canto del cigno di rara intensità, perché i due mondi (il nostro e quello di Twin Peaks) sembrano non solo avvicinarsi, ma addirittura sovrapporsi. Tutta la parte finale di S3 sembra puntare in questa direzione, la sovrapposizione dei due mondi.
La mise en abyme (letteralmente messa in abisso) è un concetto introdotto da A. Gide per indicare un momento di sublimazione metanarrativa all’interno di un’opera, sia attraverso la significativa reduplicazione di una sequenza, sia attraverso l’utilizzo di un’inedita prospettiva, posta su un piano differente da quello dei personaggi (da una parte il più classico degli esempi è l’arrivo degli attori in Amleto e la successiva recita dell’avvelenamento del re; dall’altra, l’irrompere nella narrazione di un soggetto consapevole della finzione affabulatoria, esempio illustre l’opera di Lautréamont).
In questa ottica è da leggersi la scena del sogno, in rigoroso bianco e nero come tutti i momenti metanarrativi della serie, con Monica Bellucci: questo non è solo il racconto di un sogno perché, coinvolgendo la famosa attrice nel ruolo di se stessa, al personaggio di Gordon Cole si sovrappone la realtà di David Lynch, postosi al di fuori dell’opera, di cui sembra volerci qui svelare uno dei significati ultimi, attraverso le antiche parole (“the ancient phrase”) pronunciate dalla Bellucci: “We are like the dreamer who dreams and then lives inside the dream. But who is the dreamer?” (Siamo come il sognatore che sogna e poi vive dentro il sogno. Ma chi è il sognatore?). Se noi siamo come il sognatore, certo non possiamo essere il sognatore. Come quando ci capita di rivivere un pezzo rock nella mente in uno stato di totale immedesimazione: ne condividiamo in toto l’incantesimo, eppure non siamo il sognatore.
Twin Peaks e il rock, tra maschere e sogni
Ad un livello più ampio, ad ogni concerto si è consapevoli che il frontman incarna ogni pezzo con cui si esibisce, a prescindere dalla natura della canzone: la natura di una performance musicale non è mai in discussione. Si pone, al limite, come questione sulla potenza, l’originalità, la riuscita dell’esecuzione; non certo sulla verità dei suoi contenuti. I protagonisti della storia del rock incarnano da sempre le diverse maschere del principio dionisiaco, già contenuto in nuce nella violenza sonora di amplificazioni e distorsioni proprie di una chitarra elettrica. Queste maschere sono talvolta dei veri e propri tulpa dell’artista, diabolicamente provenienti dal lato oscuro di questo mondo.
Questo elemento di esasperata teatralità, cupa o trasgressiva, è essenziale al gioco: senza ribellione non c’è rock. E come abbiamo visto, tutta Twin Peaks è ambiguamente pervasa dalle compresenze dialettiche di retorica e ribellione, elettricità e malvagità, luce e oscurità e, ça va sans dire, verità e finzione.
Nei sogni non occorre distinguere la forma dal contenuto, il significato dalla melodia, il brivido dal concetto. Il cinema e il rock non sono forse generatori di sogni?
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La versione completa di questo saggio è stata pubblicata a settembre 2020 sul numero 23 di Elephant & Castle, “30 anni di Twin Peaks” (a cura di Jacopo Bulgarini d’Elci e Jacques Dürrenmatt). Il numero è leggibile e scaricabile qui.