“Ho dovuto offrirmi come un pezzo di carne e rendermi patetico” confida agli intervistatori Harris Dickinson, uno dei protagonisti di Triangle of Sadness (Triangolo della Tristezza), film vincitore a Cannes nel 2022. Per la seconda volta il regista Östlund conquista l’ambita Palma del cinema. Nel 2017 ci riuscì con The Square: ritratto al vetriolo del mondo dell’arte contemporanea con Claes Bang (Bad Sisters, Dracula).
Questa volta Östlund ci porta in crociera. I protagonisti di Triangle of Sadness sono due modelli che rimpinguano il loro salario con l’attività di influencer su instagram. Dopo averli visti immersi nelle loro incerte vite professionali fatte di audizioni e cene in ristoranti che stentano a permettersi, li vediamo imbarcarsi su uno yacht di lusso.
Lei, la bella Yaya (Charaabi Dean Kriek – la cui recente morte improvvisa ha scioccato il mondo), ha vinto l’ambito viaggio in qualità di influencer. A bordo, oltre al suo ragazzo, Carl (il pezzo di carne, come si è definito l’attore), vi sono decine di multimiliardari. Oligarchi russi, armatori, uomini d’affari… quasi tutti vecchi, rifatti e insoddisfatti.
Lo staff della crociera invece è composto da giovani e ambiziosi “servitori” che sono a bordo per allietare in ogni modo i ricconi. Dire sempre di sì è il loro motto: una squadra di ragazze e ragazzi che silenziosi e sorridenti si apprestano a fare da zerbino agli oligarchi per tutta la durata del viaggio. Invisibili e semi nascosti nelle stive come topi vi sono poi i manovali, le donne delle pulizie e altri operatori. Perlopiù di origine filippina o asiatica.
“La fine della civiltà occidentale” in Triangle of Sadness
Östlund ha descritto il progetto originale di Triangle of Sadness come una storia che “inizia nel mondo della moda, va su uno yacht di lusso e finisce su un’isola. Sarà la fine della civiltà occidentale”. Composto in tre atti, il film non maschera nemmeno nel trailer il suo scopo: un violento naufragio non solo dei protagonisti, ma dell’intera mentalità contemporanea.
Un po’ come era successo con The White Lotus, serie pluripremiata agli ultimi Emmy. E della cui prima folgorante stagione abbiamo parlato qui nel podcast e qui con un articolo.
A metà del lussuoso navigare, la barca incappa in una tempesta che non lascia scampo. Dopo un’interminabile sequenza dove tutti i miliardari vomitano per il mal di mare, la nave finisce alla deriva. Il mare si porta via gran parte dei passeggeri. Un manipolo di sopravvissuti, tra cui i nostri due modelli, un paio di inservienti, qualche riccone e una donna delle pulizie si ritrovano a lottare per la propria esistenza in un ambiente a dir poco ostile.
Sull’isola manca tutto. E la cameriera filippina Abigail (Donnie de Leon) è l’unica a saper pescare e accendere un fuoco. Si rovesciano così le gerarchie. Abigail instaura un matriarcato e gli oligarchi si ritrovano ad elemosinare per un tentacolo di polpo che solo lei sa pescare.
Pubblico contro critica
Nonostante il film abbia stravinto a Cannes, lascia i critici perplessi. Un’ironia d’accatto e un nichilismo commerciale aleggiano senza sosta per tutte le due ore e mezza del film, a detta di molti. Östlund non è sorpreso che la sua ultima opera abbia deluso alcuni critici per il deliberato cattivo gusto. Ma si è detto entusiasta delle reazioni del pubblico.
“Alla prima e alle proiezioni di prova fuori dalle città, in campagna in Spagna, per esempio, la gente rideva e urlava. Noi europei urbani non siamo un buon pubblico. Il mio obiettivo era quello di interpretare il film come una montagna russa per adulti, di usare il cinema per quello per cui dovrebbe essere usato. Non per stare a guardare in modo intelligente”.
Risate garantite, questo è certo. Anche grazie alla magnifica interpretazione di Woody Harrelson, che incarna un folle capitano dalle idee marxiste.
Abbasso i ricchi: da Triangle of Sadness a Succession, Squid Game, Billions, Loot…
Triangle of Sadness è l’ennesimo interrogativo che la cultura pop, dal cinema alla tv, si pone in questi tempi sulla ricchezza smodata di alcuni e la miseria umana dei più. Succession, la serie in tre stagioni (in arrivo la quarta) è l’esempio più calzante e riuscito su questa tematica. Ma possiamo pensare alla recente commedia Loot. O ad altre serie che abbiano trattato, dai conflitti tra ricchi di Billions alla lotta di classe di Squid Game.
La domanda imperversa: perché un mondo di persone che a fatica arrivano a fine mese è costretto a strisciare ai piedi di pochi ricchi senza morale ed etica? Oltretutto, non sono più nemmeno i ricchi di una volta, spietati stacanovisti che con perfidia e ingegno diabolico conquistano imperi. No, sono ormai vecchi rincoglioniti che annegano nel denaro. O, peggio ancora, i loro figli o nipoti, totalmente avulsi dalla realtà. Gente ricca da generazioni, incapace di badare a se stessa ma paradossalmente a capo di imprese con migliaia di dipendenti.
Sempre più si rafforza il dubbio che si stia ricadendo in una sorta di nobiltà degenerata, dove i “potenti” si ritirano in fortezze vacue e inutilmente lussuose, al pari di Versailles (ragionamento che abbiamo fatto qui nell’articolo sulla serie storica). Una degenerazione della ricchezza che però non smette di affascinare, anche se i toni della narrazione sono sempre più minacciosi.
Triangle of Sadness fa sorgere il sospetto di una rivolta nell’aria imminente. O almeno questo è quanto si augura il capitano mentre la sua nave va alla deriva, facendo colare a picco – tra merda e vomito – il concetto stesso di capitalismo.
Come è cambiato il racconto della ricchezza in film e serie? Ascolta il podcast!
Da Dallas a Succession: ricchezza e famiglie in tv | PODCAST