La domanda se la sono fatta tutti, in Gran Bretagna e in giro per il mondo: This England arriva troppo presto? L’intensa, impegnativa, coraggiosa miniserie Sky Atlantic ha debuttato a fine settembre e si è appena conclusa anche in Italia (Sky e NOW, 6 puntate da mediamente un’ora ciascuna). Ha al suo centro l’intreccio di due storie. La prima, la conosciamo tutti, perché tutti l’abbiamo vissuta: la pandemia da Covid-19. La seconda è il governo inglese di Boris Johnson, che si trova a dover fronteggiare l’epidemia. Entrambe le storie sono, in un certo senso, concluse. E in un altro sono più vive che mai.
La pandemia nel momento in cui scriviamo non è più al centro dei pensieri di quasi nessuno, come invece è stata – più o meno intensamente – per gli ultimi due anni e mezzo. Eppure non può dirsi conclusa, anzi. Lo stesso vale per la vicenda politica di Boris Johnson. Travolto da alcuni scandali di cui la miniserie racconta la genesi, il primo ministro inglese si è dimesso quest’estate. Ma a soli due mesi di distanza è tornato prepotentemente sulla scena pubblica britannica: con le dimissioni di Liz Truss, in carica da appena 45 giorni, il controverso BoJo è sembrato poter (già) tornare al numero 10 di Downing Street, sede dei governi inglesi.
Insomma: storie recentissime, storie ancora vive, storie che potrebbero conoscere ancora sviluppi futuri. Magari dirompenti. This England sceglie di metterle in scena quando ancora l’inchiostro con cui sono scritte non è asciugato. È in questo rischio che la serie mostra il proprio coraggio. Ma è anche per questo che risulterà, per alcuni, non facile da guardare: troppo recente la ferita della pandemia, troppo forte l’angoscia, troppo grande la paura che la malattia torni a segnare le nostre vite.
Di cosa parla This England
Creata e sceneggiata da Michael Winterbottom e Kieron Quirke, This England è una produzione britannica. Ruota attorno alla figura dell’ex primo ministro britannico Boris Johnson (Kenneth Branagh), che si trova a governare il Regno Unito al momento dello scoppio della pandemia di COVID-19. Quando il virus travolge non solo il suo Paese ma anche la sua vita.
Il 5 aprile 2020 Johnson, positivo da giorni e costretto all’isolamento proprio mentre l’epidemia inizia a devastare la Gran Bretagna, viene ricoverato al St Thomas’ Hospital di Londra. Il giorno successivo viene trasferito in terapia intensiva. Guarito dal Covid, Johnson riprende le redini del governo. Proprio mentre sta per nascere il figlio frutto della sua relazione con l’allora compagna Carrie Symonds (Ophelia Lovibond).
This England racconta un anno cruciale della leadership di Johnson. Inizia ricordando la vittoria epocale ottenuta nel dicembre del 2019, che assicura a lui e al partito conservatore una maggioranza come non si vedeva da un quarto di secolo. Sotto l’insegna della Brexit, di cui Johnson era stato uno dei fautori. Il trionfo sembra aprire a un periodo di riforme spinte, tese a modernizzare il Regno Unito: ma si infrange contro la morsa spietata del virus.
Assistiamo così al tentativo del governo di comprendere e poi arginare la portata della minaccia. Agli sforzi spesso disperati ed eroici degli operatori sanitari. Alla sofferenza, tante volte solitaria e malinconica, delle vittime del Covid, in particolare gli anziani delle case di riposo. E ad un anno tumultuoso e terribile nella vita di un Paese, tra tragedie e scandali, tra coraggio e miserie.
Boris Johnson: nascita, morte… e resurrezione?
Due parole sul personaggio centrale della storia: Boris Johnson. Una figura tanto controversa quanto popolare, intelligentissima, buffonesca ma dotata di una caratura quasi shakespeariana. Magari dalle parti di Falstaff, d’accordo – ma pur sempre del Bardo parliamo. Nato a New York da famiglia inglese (di diverse influenze etniche) nel 1964, Johnson è diventato celebre in Gran Bretagna negli anni ‘90 come giornalista. Le sue durissime critiche all’Unione Europea e alla sua smania di regolamentazione, spesso caricaturali o mistificanti, lo resero una star. E contribuirono non poco, anni dopo, a fomentare il clima della Brexit.
Dopo alcuni anni da parlamentare, dal 2008 per due mandati è sindaco di Londra. Qui perfeziona il suo personaggio, anche nelle caratteristiche fisiche: un leader politico capace di essere popolaresco, apparentemente sciatto, a volte apertamente ridicolo, mal vestito, sempre spettinato. In realtà si tratta (come racconta anche John Oliver nell’approfondimento che pubblichiamo qui sotto) di un’abile posa, attentamente studiata per conquistare il favore popolare (“è uno di noi”). Johnson ha studiato nel più esclusivo college inglese, Eton, prima di laurearsi ad Oxford. Le sue grandi passioni sono la storia e l’oratoria. Da Pericle a Shakespeare, dagli storici greci a Churchill, il suo eloquio è costantemente infarcito di citazioni, discorsi elevati, una retorica brillante. This England esalta sapientemente questo aspetto. La miniserie prende il titolo da e si chiude con, come vedremo, una citazione shakespeariana.
Dopo due anni come ministro degli esteri nei governi di Theresa May, diventa primo ministro. Dal 2019 al 2022. È qui che lo incrociamo nella serie. E oggi? A un paio di mesi dalle sue dimissioni, BoJo è di nuovo in pista. Pronto a provare a riconquistare la corona – appunto, come un grande personaggio shakespeariano.
Una serie di Winterbottom – e Branagh
This England ha due padri. Uno è il suo creatore, Michael Winterbottom. L’altro è il protagonista, Kenneth Branagh. Winterbottom, tra i nomi più rilevanti del cinema europeo dell’ultimo quarto di secolo, ha conosciuto alterne fortune. I suoi primi film segnarono la scena continentale della fine degli anni ‘90: Butterfly Kiss, Go Now, Jude, Welcome to Sarajevo, Wonderland, tutti usciti tra il 1995 e il 1999. I successivi vent’anni l’hanno visto alternarsi tra documentario, cinema impegnato, esplorazione romantica.
La curiosa commistione di generi e stili tipica del regista – tra impegno politico e sociale, sguardo tagliente, capacità intimista verso vicende familiari – la si ritrova almeno in parte anche qui. Della miniserie Winterbottom è creatore, showrunner, co-sceneggiatore di ogni puntata. Avrebbe dovuto dirigerle tutte, ma a inizio 2021 ha ceduto parzialmente il timone. È Julian Jarrold il regista principale, affiancato da Winterbottom, Anthony Wilcox e Mat Whitecross.
L’altro padre, si diceva, è Branagh. L’attore, autore, regista inglese (Oscar per la sceneggiatura del recente Belfast, ma vincitore di tantissimi premi in una carriera lunga 40 anni) è nato sulle tavole del palcoscenico. Con la Royal Shakespeare Company. Enfant prodige del cinema inglese, conquista la fama proprio grazie agli adattamenti di opere del Bardo (Enrico V, Hamlet, Molto rumore per nulla). Più di recente ha firmato successi popolari, come i nuovi Poirot (abbiamo parlato qui di Assassinio sul Nilo).
Ci voleva un attore del suo talento, e con una spiccata propensione per la grandeur shakespeariana, per affrontare e restituire (potentemente, magistralmente) un personaggio così vivo. Al di là del trucco e della zazzera bionda, Branagh lavora su due aspetti cruciali. Postura, fisicità, modo di incedere aggredendo fisicamente lo spazio. E – assieme alla voce, mirabilmente replicata – la peculiarissima dizione del nostro. Irrinunciabile, va da sé, la lingua originale.
https://youtu.be/ymMm7bv5koQ
Guardare This England ripensando all’Italia. Ripensando a noi
La serie racconta tre storie intrecciate. L’arrivo della pandemia, con le sue conseguenze su alcune famiglie, sugli ospedali, sulle case di riposo. La risposta governativa complessiva. E la vicenda umana del capo del governo, Boris Johnson.
Bisogna capire una cosa. La lavorazione di This England è partita già nel 2020, a pochi mesi dall’inizio della pandemia. Winterbottom voleva essere tempestivo. Non pensando che quella parentesi della storia diventasse la Storia del nostro tempo. Qualcuno ha osservato che lo show è troppo benevolo nei confronti del governo inglese. Ma, come ha detto l’autore, nonostante confusione ed errori “c’era la sensazione che tutti stessero facendo quello che potevano”.
L’ambientazione è inglese, certo. Ma è impossibile guardare This England senza pensare all’Italia. Senza pensare a noi, alla nostra tragedia collettiva. E non solo perché, specie nelle prime puntate, frequenti sono i riferimenti alla situazione italiana, con tanto di scene girate in Italia, o riprese da notiziari nostrani (il virus, ricorderete, giunse prima da noi). Ma anche perché le assonanze sono totali. La tragedia è in fondo questo: un’esperienza del dolore, del fato, del limite che sa farsi universale.
Non importa dove eravamo. Anche se con sfumature diverse, tutti ricordiamo le stesse cose. Io, per esempio, in quel tempo lavoravo al ministero dell’Interno. Ma le cose che facevano male, dal cuore del governo centrale, erano le stesse che chiunque viveva: le case di riposo con i vecchi che morivano soli; la penuria di mascherine; gli enormi dubbi su cosa fosse giusto fare. Il distanziamento, il lockdown, i divieti. Posti diversi, stessa storia: è questo che rende This England non facile da guardare. Perché è come dover rivivere un incubo che stava iniziando a svanire sul retro della nostra mente collettiva e individuale.
https://youtu.be/6MYoEAOJ6RE
La tragedia, il teatro e il tempo
E quindi, quella domanda da cui eravamo partiti: è troppo presto per drammatizzare il grande tema del Covid? In un certo senso, sì. Appunto: è una partita ancora aperta, una pandemia che continua a mordere, a reclamare vite, a minacciare la nostra ritrovata normalità. In un altro senso, no. Forse This England arriva proprio al momento giusto. Quando stavamo per dimenticare. Quando stavamo per andare oltre. Forse è giusto ricordare quella sofferenza, quello sgomento, quella sensazione di impotenza collettiva. Di essere alla mercé di un evento grande e terribile. Offrendo un nuovo, doloroso (perché vivo e reale) capitolo di quel grande racconto della pandemia che cinema e tv fanno da decenni, e che abbiamo analizzato qui in forma scritta e invece qui con una puntata del podcast.
Due aspetti aiutano. Il primo è la messinscena. Winterbottom, pur nel mescolare i registri, sceglie un tono misurato, prossimo all’oggetto ma distaccato, quasi clinico. Vediamo la malattia da vicino, siamo dentro le stanze di ospedale, nelle case, e così nei luoghi del potere. Ma la frammentazione delle esperienze e dei punti di vista evita un eccessivo (e più facile) coinvolgimento emotivo. La musica di David Holmes incalza e tiene la tensione, senza patetismi. La buffa intimità del primo ministro umanizza il volto del potere. Le frequenti scene di gente che applaude (ricordate? Cittadini, operatori, governanti che scendevano in strada ad applaudire lo sforzo collettivo) punteggiano la partitura, e sottolineano con gelido sarcasmo l’inanità dell’umano agire.
Il secondo aspetto che aiuta a digerire l’indigeribile in This England è la teatralità, nel suo impasto di volontà tragica e destino. È teatrale Boris Johnson, dal risveglio domestico ai messaggi pubblici. È teatrale il suo linguaggio. In Shakespeare si rifugia, o a volte nei greci, a raccontare l’indicibile e rendere più comprensibile l’impensabile. Nubi lambiscono il suo governo, nel finale della miniserie, e il Paese si appresta a fronteggiare la seconda ondata del Covid. Johnson / Branagh guarda mestamente fuori dalla finestra e recita la fine del monologo del moribondo Giovanni di Gaunt nel Riccardo II.
Questo superbo trono di re, quest’isola scettrata,
questa fortezza che la natura si è costruita
contro ogni contagio o minaccia di guerra,
quest’aiuola beata, questa terra, questo reame, questa Inghilterra.
Glielo avevamo già sentito recitare, all’inizio del racconto, con ben altro spirito. Ora, nel cupo finale, aggiunge quei versi che normalmente non vengono riportati:
Quell’Inghilterra usa a asservire gli altri,
è ignobilmente ridotta a asservire se stessa.
Leggi la nostra riflessione sulla rappresentazione della pandemia tra cinema e tv