Perché all’epoca mi sono sorbito tutte e dieci le puntate della prima stagione di The Wilds, uscita a dicembre 2020 su Amazon Prime Video? Perché, a distanza di anni, mi sono costretto a guardare (vabbé, occhieggiare, diciamo) pure la stagione 2? Mi piacerebbe dirvi che l’ho fatto io per convincervi a non farlo voi. Ma la visione di un paio di puntate, ammettiamolo, avrebbe prodotto lo stesso consiglio – quello di evitarla.
Consiglio utile, visto che la premessa narrativa, e produttiva, non era male. Rischiando – ora come allora – di ingannare lo spettatore incauto. O nostalgico. O ottimista. Perché The Wilds, incrociando un po’ di Lost a una spruzzata de Il signore delle mosche, colloca su un’isola deserta un gruppo di adolescenti. Tutte femmine (nella prima stagione). Ponendole di fronte a una sfida che non è solo per la sopravvivenza, visto che – non svelo nulla che non emerga fin da subito – le ragazze sono vittime di un esperimento sociologico segreto. Che punta a studiare la loro capacità di resilienza.
L’ho detto: non suona male. E ad aumentare il pericolo, c’è pure un giudizio critico medio che è stato, sorprendentemente, piuttosto positivo. Si potrebbe anzi dire che sia l’unico mistero di quest’isola di cui valga la pena occuparsi…
Dicevo: perché ho continuato a guardarla, oltre il necessario? Mettendo da parte possibili spiegazioni nevrotiche, penso sia scattato un meccanismo diverso. Un esempio da manuale di quella patologia dello spettatore contemporaneo, che – pur in presenza di un catalogo ormai strabordante – ci fa continuare a guardare show che sappiamo essere deludenti. Ma che nondimeno non riusciamo a interrompere, per una ragione o per l’altra.
L’influenza duratura di Lost (sulle serie, e su di noi)
Nel caso in questione, e almeno per me, è probabile si tratti dell’impatto generazionale e fondativo che ha avuto Lost, uno dei capisaldi della moderna serialità. Tale è stata la sua influenza, e il piacere che ha saputo costruire nelle sue sei stagioni (che non sono invecchiate di un giorno, come raccontiamo in questo podcast registrato in occasione dei vent’anni della mitica serie), da indurre anche lo spettatore smaliziato a cercare di ritrovarne lo spirito. A volte disperatamente. E persino con prodotti che ne sono, più che figli legittimi, cloni mal riusciti. Su quell’isola, ogni tanto, “we have to go back”, come gridava Jack in un momento di svolta del capolavoro di Lindelof, Abrams, Lieber.
The Wilds, serie creata da Sarah Streicher per Prime Video, è in effetti una sorta di clone imbastardito. Di Lost scopiazza grossolanamente la premessa narrativa (un gruppo di naufraghi deve risolvere il mistero del proprio incidente), l’ambientazione (un’isola deserta), l’idea generale dei caratteri (ciascuno con i propri demoni) e lo schema drammaturgico principale (l’uso dei flashback).
Il tema, qui, ha però una variante anagrafica: è un gruppo di teenager tutto al femminile che dovrà trovare il modo di sopravvivere, capire cosa sia successo, tornare alla civiltà. Cosa che fra l’altro richiama una serie (bruttina) della prima metà del 2019, The Society, in cui si raccontava di una ricca cittadina americana da cui, improvvisamente, scompaiono gli adulti. C’è poi l’invenzione, che accennavo, dell’esperimento sociologico e del controllo a distanza: ma sono possibilità che i fan di Lost si erano già immaginati, come ho ricordato in questo articolo di retrospettiva.
Sullo sfondo, ma proprio tanto sullo sfondo, si staglia l’ombra sempiterna del classico Il signore delle mosche, grande romanzo d’esordio del premio Nobel William Golding.
Il signore delle mosche: un romanzo più citato che capito
È molto evidente che agli autori di The Wilds piacerebbe l’accostamento. Né sono stati i primi a provarci: ma come sempre, questo straordinario libro è più citato – o evocato – che realmente compreso. Pubblicato nel 1954, Il signore delle mosche (Lord of the Flies) racconta di un gruppo di ragazzi britannici che, naufragati su un’isola deserta, scivolano progressivamente verso il caos e la violenza. La storia mette in luce la fragilità delle strutture sociali e la bestialità della natura umana quando viene privata delle regole che la imbrigliano.
Un po’ più in dettaglio, il romanzo è ambientato durante una grande guerra, e racconta la discesa nella barbarie di un gruppo di giovani e giovanissimi. Quindi, in teoria, “innocenti”. E resi ancora più emblematici dal loro status di partenza: studenti, membri di un coro musicale, tutti inglesi, tutti ordinati e civilissimi. All’inizio, tentano di mantenere un’organizzazione sociale nonostante l’assenza di adulti, stabilendo regole per governarsi. Tuttavia, con il passare del tempo, iniziano a emergere comportamenti primitivi e paure irrazionali che portano i ragazzi a un progressivo stato di anarchia e violenza. Questo percorso rivela il lato più selvaggio e oscuro della natura umana. Le paure ancestrali e il comportamento antisociale che si sviluppano nell’isola trasformano il tentativo di autogestione in un incubo ad occhi aperti. Sanguinario, spietato, “barbarico”.
È la visione pessimistica della natura umana che Golding propone, senza sconti. Quella per cui “Gli umani producono il male come le api producono il miele”. E che però i vari tentativi di appropriazione, o evocazione, falliscono quasi sempre a comprendere, e rispettare. Fermandosi al “setting avventuroso”: cosa succederebbe se… Anche The Wilds sfrutta questa premessa. Fermandosi alla superficie. E incasinando assai il prosieguo narrativo.
La stagione 2 di The Wilds: arrivano i maschietti
La seconda stagione di The Wilds, uscita nel maggio 2022, tenta di dare una svolta introducendo un nuovo gruppo di giovani naufraghi: stavolta ragazzi. In un cambio di prospettiva, scopriamo che esiste un esperimento parallelo condotto su un gruppo maschile, su un’isola vicina, con le stesse dinamiche della “sfida di sopravvivenza”. Il tentativo di rinnovare la trama si traduce però in una narrazione ancora più frammentata, in cui i nuovi personaggi maschili faticano a emergere come figure interessanti o memorabili – proprio come era successo alle controparti femminili nel primo capitolo.
Le due linee narrative – quella delle ragazze e quella dei ragazzi – si sviluppano in parallelo, ma senza riuscire a creare né un senso di unità “eroica” (la condivisione di una sfida, che resta separata), né di innovazione o avanzamento. I flashback, che già nella prima stagione avevano il compito di svelare i retroscena dei personaggi, diventano ancora più ridondanti. E confondenti, se si pensa che (anche qui con una scopiazzatura un po’ pigra del meccanismo narrativo caratterizzante di Lost) ai flashback dedicati al passato dei personaggi si sommano i flashforward sul loro destino ultimo (che però rimarrà enigmatico, come vedremo).
Insomma. L’introduzione dei ragazzi, e di nuove dinamiche, dovrebbe far maturare e rilanciare le tensioni accumulate nel primo capitolo, e la curiosità dello spettatore. Ma in realtà a crescere sono solo confusione e noia. Anche perché la seconda stagione di The Wilds soffre della mancanza di coerenza e direzione che già affliggeva la prima. E due torti, si sa, non fanno una ragione.
Un (involontario) manifesto anti-femminista? O anti-giovani?
Torniamo un attimo indietro. Ho scritto che il gruppo di ragazze protagoniste della prima stagione di The Wilds “dovrà trovare il modo di sopravvivere”, ma sarebbe più giusto dire “dovrebbe”: nel senso che non fanno niente di quello che ci si aspetterebbe da chi si trovasse naufrago su un’isola deserta. Sporadica è la preoccupazione per cibo, acqua, fuoco. Pressoché assenti i tentativi di organizzare o facilitare il proprio ritorno a casa. Inconsistente la ricerca di spiegazioni sui misteri dell’isola, del viaggio che le ragazze stavano facendo, delle curiose coincidenze che potrebbero far sospettare una macchinazione di qualche tipo. E questo nonostante, a differenza appunto di Lost, vi sia dietro ogni stranezza una spiegazione. Quella appunto dell’esperimento sociologico e formativo.
In compenso c’è abbondanza di drammi adolescenziali, di crisi di nervi, di recriminazioni: non un gran manifesto femminista, in paradossale contrasto con le intenzioni testuali e metatestuali della seria. Cioè: mostrare giovani donne che affrontano una sfida estrema.
E però il secondo capitolo, introducendo i maschi, sembra paradossalmente aumentare anziché ridurre queste debolezze. Ci si aspetterebbe che i personaggi provassero a confrontarsi con l’isola e i suoi misteri. Assumendo il senso di una sfida non solo personale ma collettiva, morale, psicologica, filosofica. Ma anche nella stagione 2 di The Wilds l’interesse principale resta concentrato sui conflitti interpersonali, sui problemi individuali. E quindi di nuovo litigi, crisi di nervi, iper-problematizzazioni della sfera sessuale. Per i giovani virgulti, tutto molto concitato. Per noi, fioccano gli sbadigli. A meno che non si intenda come un (involontario) manifesto anti-adolescenziale.
La cancellazione di The Wilds ci ha risparmiato una stagione 3
Non so se fortunatamente, pietosamente o meritoriamente, Amazon Prime Video ha deciso di cancellare la serie dopo due stagioni. Lasciando molte delle domande sollevate senza risposta (no, niente a che fare con il controverso finale mistico di Lost, per proseguire le analogie). Il cliffhanger conclusivo, che avrebbe dovuto gettare le basi per una stagione 3 di The Wilds, lascia gli spettatori appesi al dirupo. A chiedersi, auspicabilmente, perché poi desiderassero tanto sporgersi sul precipizio (sul baratro) di questa storia. O in cosa, misteriosamente, sperassero: un colpo d’ala? Una svolta geniale?
La verità è che la cancellazione ci ha risparmiato un terzo capitolo in cui non osiamo immaginare quale sarebbe stata la nuova trovata – dopo due stagioni segnate, rispettivamente, da un’isola con sole ragazze e una con soli ragazzi…
Per carità, non siamo certo ai livelli di un’altra serie malamente parassitaria di Lost, e cioè The i-land, una vera schifezza come non capita di frequente di vederne. Ma, così come noi non rimpiangiamo per un secondo la mancata conclusione della serie, voi potete rinunciare senza troppi pensieri a guardarla. O a guardare la seconda stagione se avete visto la prima, e non vi ha conquistato: lo show non migliora, anzi.
A meno che non abbiate molto tempo libero; oppure una passione davvero estrema per il genere survival combinato ai drammi adolescenziali al femminile (e poi al maschile), e/o per gli esperimenti tecno-sociologici del tipo “cosa succederebbe se”…
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