The Thing About Pam (NBC, 2022 – in Italia andata recentemente in onda su Top Crime) è una miniserie americana in 6 episodi, ispirata ad una storia realmente accaduta.
La vicenda è talmente surreale che, dopo averne fatto un articolato oggetto di cronaca – con episodi tra i più seguiti nella sua storia – Dateline NBC (programma di informazione ed approfondimento) ha prodotto nel 2019 un omonimo podcast, anche questo da ascolti record. Con la voce narrante di Keith Morrison: la stessa voce narrante della serie – che segue fedelmente titolo, trama e sviluppo della suddetta versione audio.
Protagonista assoluta di The Thing About Pam – con una performance davvero notevole – un’irriconoscibile Renée Zellweger (due volte premio Oscar). Completamente trasformatasi per l’occasione in un essere terribilmente sgraziato, sfatto e obeso. Una recitazione brillantemente debordante, sempre sopra le righe, tanto da poter sembrare a volte addirittura esagerata. Soltanto alla fine, con i titoli di coda dell’ultimo episodio, venendo mostrati dei video originali della donna che l’attrice interpreta, si può pienamente apprezzarne lo scrupoloso lavoro di immedesimazione. Immedesimazione che, tra l’altro, ha richiesto due ore – per ogni giorno di riprese – soltanto per poter applicare le apposite protesi a corpo e viso.
Ma quale è la storia – realmente accaduta – narrata da questa miniserie? Durante una sera delle vacanze natalizie del 2011, nella cittadina di Troy, Missouri, la polizia riceve una concitata e confusa telefonata. Russell Faria (Glenn Fleshler – Billions, Barry), appena rientrato a casa dopo essere stato con gli amici, dice di aver trovato il corpo della moglie, Betsy – ovvero Elizabeth Kay Meyer Faria (Katy Mixon – American Housewife) – riverso nel sangue, sul pavimento della cucina…
Russ, Pam, e le 55 coltellate a Betsy
Il corpo di Betsy è straziato da una moltitudine di coltellate, e lo stesso coltello è ancora piantato nel collo della donna. Per qualche strambo motivo, legato forse all’erba fumata poco prima o forse solo alla sua dabbenaggine, Russ dice che la moglie – che stava lottando contro un cancro al quarto stadio – deve essersi suicidata.
Gli investigatori orientano da subito le indagini presumendo, da luogo uxoricida comune, la colpevolezza del marito. A rafforzare i loro sospetti vi è l’appassionata testimonianza di Pamela Hupp: antipatica, ingombrante e invadente amica della vittima. L’ultima ad averla vista in vita. Ma la colpevolezza di Pam si intuisce praticamente fin da subito, e così i suoi più o meno goffi tentativi di incastrare il povero Russ.
Perché The Thing about Pam non è semplicemente un colorito true crime ambientato nella provincia americana, in cui la tensione è data dal cercare di capire chi è stato (whodunnit), ovvero chi è l’assassino. Piuttosto è un avvincente ed incalzante affresco di una personalità decisamente borderline: narcisista, manipolatrice e bugiarda patologica.
L’aspetto tragicomico di questa storia è che la sequela di menzogne di Pam, che dipinge il bonario ed innocuo Russ come un mostro omicida, convince tutti in paese. Convince la madre e le figlie di Betsy, convince la polizia… Ma soprattutto convincerà procura, giudice e giuria. E Russ, nonostante l’appassionata difesa del brillante avvocato Schwartz (Josh Duhamel – Jupiter’s Legacy), viene condannato per il brutale omicidio – 55 coltellate! – della moglie.
The Thing about Pam e il teatro dell’assurdo
Ma perché Pam – donna d’affari, come lei stessa amava definirsi – avrebbe dovuto uccidere Betsy, sua amica e collega di lavoro? Forse perché pochi giorni prima, ad insaputa dei suoi stessi familiari, Betsy aveva cambiato il destinatario della sua assicurazione sulla vita (Pam, of course). Per il bene delle figlie, ancora minorenni – dice, giustificandosi, l’esuberante sociopatica. Eppure diversi anni dopo le due giovani donne – entrate nel frattempo nella maggiore età – non avranno ancora visto un soldo di quella polizza…
Questo solido movente, assieme a nuove prove sull’inefficienza della polizia durante le indagini, non incluse nel precedente processo, portarono nel 2016 all’assoluzione in appello – e quindi alla sacrosanta scarcerazione – di Russ. La vicenda aveva ormai da tempo ampiamente travalicato i confini provinciali, divenendo oggetto di morbosa attenzione di stampa e televisione a livello nazionale. Il gioco facendosi più pesante, persino il pubblico ministero della contea (Judy Greer) – che di questo aveva voluto fare un caso esemplare per la sua stessa carriera, puntando pregiudizialmente tutto sulla colpevolezza di lui – viene costretta a rivedere le sue precedenti posizioni. E a pagare il prezzo politico di tanta miopia, da lei presieduta, a livello investigativo prima e giudiziario poi.
Anche la suddetta voce narrante, che accompagna lo spettatore all’inizio e alla fine di ogni episodio, è più interessata a commentare questo irreale e grottesco susseguirsi degli avvenimenti. Che, poco a poco, porteranno alla luce le surreali malefatte di Pam. L’evoluzione in questione viene di volta in volta introdotta con un’ironia tendente spesso al lezioso, ma – vedere per credere – giustificata dalle successive azioni della donna. Frutto di un crescente delirio che le farà raggiungere vere e proprie vette da teatro dell’assurdo.
La pena per una pessima messinscena
Tralasciando il dubbio suicidio (omicidio?) della propria madre, la Hupp verrà condannata all’ergastolo per un terzo delitto – quello di Louis Gumpenberger – che, nelle sue deliranti intenzioni, doveva figurare come complice di Russ nell’uccisione di Betsy. Nel suo nuovo racconto, Louis – un tizio che per gli inquirenti è letteralmente sbucato dal nulla – era entrato in casa sua per minacciarla con un coltello: lei aveva dovuto sparargli per legittima difesa.
In verità, questi era solo un poveraccio – con evidenti problemi psicomotori – che lei stessa aveva casualmente abbordato, con la promessa di un provino per la televisione. E che si era quindi portata in casa. Per inscenare un dramma che – nella sua testa – avrebbe rispedito Russ in prigione, scagionandola in tal modo da ogni sospetto per l’omicidio di Betsy.
La folle ed elaborata messinscena prevedeva dunque un’aggressione da parte del giovane handicappato che lei, temendo per la sua vita, uccide. Il tutto in diretta telefonica con il 911.
E questa nuova vittima, come lei dirà concitatamente ai detective accorsi sulla scena, aveva sbraitato di essere stato il complice di Russ nell’assassinio della moglie.
Ma la sua storia, questa volta, fa davvero acqua da tutte le parti. A partire dalle menomazioni del giovane malcapitato, che gli impedivano di correre e di poter alzare un coltello contro di lei. Per non parlare dei tracciati del suo cellulare, che smentiscono la sua versione, collocandola nei pressi dell’abitazione di Louis poco prima della millantata aggressione.
Pam viene finalmente arrestata per l’omicidio di Gumpenberger. Sarà condannata all’ergastolo. Di fatto però si è tuttora in attesa di un responso per l’omicidio di Betsy. E rimane ancora sospetta la morte della madre: un suicidio che pare la Hupp abbia più o meno abilmente inscenato. Sempre per soldi.
La fiaba nera di The Thing about Pam
The Thing about Pam è quindi la storia di una psicopatica pluriomicida realmente esistita. I cui omicidi risalgono a poco più di una decina di anni fa. L’intervallo che intercorre tra gli eventi reali e la finzione seriale si è fatto ultimamente sempre più breve. Questo rende più difficile fare una riflessione approfondita sulla portata degli eventi stessi. Correndo – più o meno consapevolmente – il rischio di mettere in risalto nella finzione soltanto l’aspetto sensazionalistico degli avvenimenti in questione.
Con tutte le enormi differenze tra i due diversi show – rispetto a The Thing about Pam, una serie altrettanto recente come Dahmer ha sicuramente avuto dalla sua il tempo, riferendosi a fatti accaduti più di 30 anni fa. Concentrando in 10 episodi una profonda riflessione psicologica, filosofica e sociologica sul significato della storia del cannibale di Milwaukee.
Eppure del nostro tempo questo è indubbiamente uno dei segni distintivi: così come i social hanno in un certo qual modo annullato la possibilità di mediare, ovvero di ponderare un pensiero, una reazione, una risposta – lasciando porte spalancate a commenti istintivi d’ogni tipo e d’ogni sorta. Achtung: questa superficialità non è per forza un male. Anzi, attraverso l’affabulazione seriale, si riesce forse a raccontare l’essenza di ciò che è accaduto. Senza contaminazioni ermeneutiche. Restando proprio sulla superficie, come sognava Oscar Wilde. E proprio perché non c’è stato il tempo di elaborarla, di personalizzarla, di falsificarla – se vogliamo.
Nello specifico The Thing about Pam si presenta come una fiaba nera. Assolutamente fiabesco è il tono con cui questo racconto comincia. Evolvendosi presto, al contempo, in tragedia e in parodia. Un altro segno dei tempi: quello di non riuscire più a distinguere l’aspetto drammatico da quello farsesco di un avvenimento. Basti pensare all’attacco a Capitol Hill del 2021.
Una psicotica narrazione personale contro la NBC
Pamela Hupp è un personaggio (una persona? difficile in questo caso separare una cosa dall’altra) assolutamente sgradevole: egoista, saccente, arrogante… e fino all’ultimo – teatrale. Nel senso parossistico e parodistico del termine.
Fino, ad esempio, al plateale tentato suicidio: compiuto quando è ormai in arresto, ed ha finalmente realizzato di non avere più vie di uscita. Un tentativo improvvisato, inutile e malfatto. Come il piano per incastrare una seconda volta il povero Russ. Ed in fondo come il piano della prima volta, che si è realizzato solo grazie ad un’assurda condotta delle indagini. E ad un’assurda pregiudiziale da parte della procura.
Pam viveva letteralmente all’interno di una propria peculiare narrazione. Una narrazione, tra le altre cose, piuttosto costosa. Per mantenere il suo stile di vita – da borghese della classe media, niente di troppo sfarzoso, al limite qualche ritocco di chirurgia estetica – doveva talvolta attingere alla riscossione di polizze sulla vita a lei intestate. E dunque coinvolgere il resto del mondo nella sua folle narrazione. Una narrazione folle, e tragica. Causa, ad esempio, 55 coltellate.
Fino a quando il resto del mondo si limitava alla propria contea, le cose sono filate piuttosto lisce. Ma quando il resto del mondo è diventato il resto degli Stati Uniti d’America – la sua ambizione drammaturgico narrativa ha dovuto scontrarsi contro l’iceberg della cosiddetta realtà. Ovvero contro ben altre narrazioni, molto più potenti e molto più avvincenti della sua. Tipo quella di Dateline NBC. E per Pam non c’è stato più niente da fare.
Da soggetto narrante si è ritrovata ad essere oggetto della narrazione. Una narrazione seriale, dal titolo The Thing about Pam. Ideata da Jenny Klein. Per la regia di Scott Winant, Logan Kibens e Adam Kane. Prodotto da Blumhouse Television, NBC News Studios.
The End.
Una strana storia di omicidi familiari: Bad Sister