The Strain è una serie americana horror creata da Guillermo del Toro e Chuck Hogan, andata in onda per 4 stagioni (totale 46 episodi) sul canale FX (2014-17). Oggi in Italia è oggi disponibile su Disney+.
Il pluripremiato Del Toro aveva iniziato ad ideare il progetto già nel 2006, ma alcune divergenze creative con la FOX (pare che il presidente del network cercasse di imporgli di virare sul genere comedy!) ne impedirono lo sviluppo.
Anni dopo, in collaborazione con Hogan, venne pubblicata una trilogia di romanzi – The Strain (La progenie, 2009), The Fall (La caduta, 2010) e The Night Eternal (Notte eterna, 2011). Dai quali è poi stata fedelmente tratta la sceneggiatura della serie. Showrunner è Carlton Cuse (già co-autore e a lungo sceneggiator e regista della mitica Lost).
In The Strain si inventa un nuovo modello di vampiro
The Strain è un audace esperimento di moderna rivisitazione di un tema ultraclassico dell’horror: il vampirismo. Che diviene essenzialmente un’infezione, causata dalla trasmissione di un virus patogeno. Senza però perdere quei tratti dark e demoniaci che da sempre lo contraddistinguono. Un esperimento audace, dicevamo, concepito dal regista messicano, riconosciuto maestro del genere horror fantastico (Il labirinto del fauno, La forma dell’acqua). Del Toro ha impresso allo show il suo stile personalissimo, seguendone lo sviluppo anche in veste di produttore esecutivo e, occasionalmente, di regista.
Non abbiamo più a che fare con il Dracula di Coppola o con il Nosferatu interpretato da Klaus Kinski. Il Padrone oscuro di The Strain è il balcanico Strigoi, che infetta l’umanità tramite vermi parassiti, capaci di trasformare i deboli esseri umani in creature mostruose assetate di sangue e dal Padrone totalmente controllate. Alle atmosfere di terrore sovrannaturale si sostituisce, fin dal primo episodio, un approccio medico scientifico. Lo stesso Del Toro parla a riguardo di realismo documentaristico. “Vogliamo ottenere uno stile da documentario (…) che si evolva in uno stile più elegante e horror”.
“Un mix di vari stili (…) Qualcosa che non si è ancora visto in televisione.” – in effetti, nel bene e nel male, The Strain è uno show coraggiosamente inedito. Nel bene e nel male. Con lo scorrere delle stagioni si ha spesso la sensazione di trovarsi davanti ad uno psicotico pot-pourri che percorre simultaneamente percorsi narrativi eterogenei molto distanti tra loro, dislocati nel tempo e nello spazio. Spieghiamo subito i motivi di questa dislocazione spaziotemporale: protagonisti della storia sono diversi personaggi che, a vario titolo, avranno tutti un ruolo determinante nella battaglia contro il Padrone, antichissimo vampiro con l’obiettivo di conquistare New York (per poi passare al resto del mondo, of course).
Buoni e cattivi per una lotta all’ultimo sangue
Vi sono dunque Ephraim Goodweather (Corey Stoll), tormentato epidemiologo alla disperata ricerca di salvare il figlio adolescente Zach (interpretato da Ben Hyland nella prima stagione e da Max Charles nelle successive), che verrà eletto il personaggio televisivo più antipatico dell’anno – per almeno un paio d’anni. C’è il misterioso Abraham Setrakian (David Bradley), un vecchio armeno sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti che combatte il Padrone da tutta la vita; il suo negozio di pegni sarà uno dei luoghi di ritrovo dei buoni. Vi sono il pragmatico disinfestatore di topi di origini ucraine, Vasiliy Fet (Kevin Durand), Gus (Miguel Gomez), il giovane messicano abile conoscitore dei bassifondi della città e l’hacker Dutch Velders (Ruta Gedmintas)… ve ne sarebbero ancora molti altri, ma è ragionevole fermarsi qui.
Questo gruppo di persone sarà destinato ad incontrarsi e scontrarsi, a perdersi e ritrovarsi, e noi a seguire le loro avventure sparse per i meandri e i grattacieli di New York, con incursioni in altre città americane. Oppure con flashback – soprattutto di Abrahim – ambientati in Europa e sparsi nel corso dei secoli, con i quali ripercorreremo il rapporto tra vampiri e nazisti (e qui si cade spesso e facilmente in una retorica pacchianeria). Ma la storia riesce a spingersi oltre nel passato, fino a giungere ai gladiatori della Roma Antica. E ancora più in là, fino alla sapienza occulta degli Antichi Egizi (lascio queste e altre sorprese al coraggioso spettatore che voglia addentrarsi nella visione di The Strain)…
Vi sono poi i cattivi, ovvero l’entourage del Padrone. Qui spiccano le figure di Thomas Eichorst (Richard Sammel), servo umanoide del vampiresco maestro nonché ex gerarca nazista, e di Eldritch Palmer (Jonathan Hyde), miliardario che finanzia i piani di conquista della metropoli con la promessa di ottenere la vita eterna. Quest’ultimo richiama alla mente il protagonista di “Le tre stimmate di Palmer Eldritch“, romanzo di Philip K. Dick su un imprenditore galattico trasformato, dentro e fuori (per via delle protesi che lo rendono più cyborg che umano), dall’incontro con entità aliene. Last but not least, il figlio mezzosangue del Padrone, Quinlan (Rupert Penry-Jones), che cova una millenaria vendetta nei confronti del padre…
I tanti, forse troppi ingredienti di The Strain
Insomma, gli ingredienti ci sono tutti – e sono forse anche troppi. I percorsi si divideranno tra la ricerca medico scientifica, poiché per ogni virus esiste potenzialmente un vaccino; la ricerca storico misterica, poiché esiste un antico libro, l’Occido Lumen, nel quale viene spiegato come si possa uccidere il Padrone; l’attività disinfestatrice, che coinvolge forze dell’ordine ed esercito, poiché i nuovi vampiri, temendo la luce del sole, infestano letteralmente le fogne di New York…
Se a questo aggiungiamo la quarantena di una città infettata da questo terribile virus, con tutte le fobie e le psicosi che questo comporta (partorite in tempi non sospetti rispetto al nostro maledetto Covid); la necessità di dotarsi di una testata nucleare, da utilizzarsi eventualmente come extrema ratio; le immancabili relazioni sentimentali e famigliari, dal retrogusto talvolta soap e strappalacrime; la fragilità e le debolezze dei protagonisti umani, troppo umani (alcolismo, paura, sensi di colpa…); la corruzione politica necessaria a disattivare le difese della città; infine, oh my god!, le travolgenti passioni amorose, sempre dietro l’angolo quando si rischia di morire…
E sicuramente sto dimenticando svariati altri aspetti e contenuti, più o meno importanti. Ma questo elenco dovrebbe bastare a dare l’idea del caotico intreccio narrativo che può talvolta derivarne. Anche se tutte le strade alla fine si ricongiungeranno per chiudere unitariamente – e sensatamente – questo ricco e variegato racconto distopico, così lontano e così vicino alla nostra attuale sensibilità riguardo zombie e pandemie, complottismi e black out di matrice terroristica…
Un racconto ibrido, tra realismo e splatter
Racconto che si apre con una sequenza memorabile, un incipit che riporta inevitabilmente alla mente Fringe. All’aeroporto di New York, il John F. Kennedy, è atterrato un volo, il Regis Air proveniente da Berlino, ma l’aereo non dà segni di vita. Le porte rimangono chiuse e le luci sono spente. Al suo interno verranno trovati duecentosei morti e quattro sopravvissuti, in preda ad uno smemorato e angosciante delirio. A fare questa macabra scoperta sono il direttore del Centro per il Controllo delle Malattie Infettive (CDC), il succitato dottor Eph, con la collega Nora Martinez (Mia Maestro). Prima che i due arrivino a comprendere in cosa realmente si sono imbattuti, l’infezione vampiresca avrà già cominciato il suo fatidico corso.
Si parte da subito con tono deciso, puntando contemporaneamente sugli aspetti di suspense gotica e di indagine alla CSI. Nel corso delle stagioni non mancheranno i colpi di scena al cardiopalma e i twist esplosivi (più o meno letteralmente). Non mancheranno le visioni sanguinolente, a volte addirittura di matrice splatter gore – sempre però impeccabilmente stilizzata dalla poetica di Del Toro.
Non solo, infatti, il look dei vampiri agli ordini del Padrone è efficace e disturbante al punto giusto, ma il loro stesso corpo è uno spettacolo orribile, dotati come sono di un lungo pungiglione che fuoriesce dalla bocca per succhiare il sangue. Il loro sangue, invece, è bianco e vi sguazza la miriade di vermi che possiede questo loro corpo. Il poster della serie mostrava uno di questi vermi mentre entra in un occhio umano, ma in seguito alle numerose lamentele ricevute negli USA il canale FX lo ha sostituito.
The Strain e la psicosi pandemica, tra finzione e realtà
Il millenario supervampiro, lo scienziato diviso tra fede e materia, il vecchio saggio enigmatico che si affida ad un vecchio enigmatico libro. Una New York sempre più in preda al contagio e alla follia isterica di massa. Le musiche di Ramin Djawadi (Pacific Rim, Game of Thrones).
Questi sono gli elementi di questa stralunata, caotica e brillante serie horror distopica decisamente fuori dagli schemi.
E capace di raccontare, attraverso la rilettura del mito di Dracula, in un mondo corrotto e malato ma ancora popolato da irriducibili eroi positivi, la sottile psicosi pandemica. Che si è ormai ai nostri giorni insinuata, come un virus patogeno mentale, dentro la maggior parte di noi.
Un’altra moderna versione del vampirismo: Midnight Mass
Midnight Mass: splendido racconto gotico sulla follia religiosa
Leggi il nostro speciale sulla rappresentazione di virus e pandemia tra cinema e tv.