The Sinner è una serie televisiva americana poliziesca ideata da Derek Simons (per USA Network) di tipo antologico – ovvero ogni stagione racconta una diversa indagine condotta dal protagonista, il detective Harry Ambrose (un grande Bill Pullman) – in onda dal 2017.
Inizialmente era prevista solo la prima stagione, in forma di miniserie da 8 episodi, basata sull’omonimo romanzo della scrittrice tedesca Petra Hammesfahr. Dato il grande successo, la serie è stata successivamente rinnovata per una seconda, una terza e una quarta stagione (2022) – sempre di 8 episodi ciascuna.
In Italia lo show è stato penalizzato da una distribuzione iniziale un po’ caotica, con alcune stagioni disponibili su alcune piattaforme e altre su altre. L’intera serie è però ora visibile su Netflix.
Le abbiamo anche dedicato una puntata del podcast, qui.
Cosa distingue The Sinner dai normali polizieschi
The Sinner è una serie crime psicologica che si distingue nettamente nel vasto panorama di offerte del genere (altrove chiamato detection): uno dei motivi della sua originalità è senza dubbio legato alla figura del protagonista, un detective maturo – meglio, inizialmente ad un passo dalla pensione – e acciaccato, lontano dagli stereotipi dei polizieschi d’azione; un uomo pieno di zone d’ombra e complessi irrisolti (con le figure genitoriali, la moglie, l’amante, la figlia, se stesso…).
In una parola, per quanto il titolo – soprattutto nelle intenzioni della stagione d’esordio – sembri riferirsi al colpevole del caso in questione, diviene via via sempre più chiaro che il peccatore è anche e soprattutto il detective protagonista, alla disperata ricerca di un’impossibile redenzione attraverso la risoluzione di questi crimini paradossali.
Paradossali perché, per lo meno nelle prime due stagioni, appare subito chiaro che il fulcro della storia non sta nella ricerca del chi: entrambe le vicende si aprono infatti con un omicidio. L’assassino è da subito disvelato ma è l’assassinio in questione ad essere apparentemente inspiegabile – da qui l’alone di mistero in cui le vicende sono immerse. La terza si apre incredibilmente senza che nessun preciso delitto sia avvenuto; e così, in un certo senso, si chiude la quarta.
Compito non convenzionale del poliziotto sarà dunque capire il perché di questi omicidi – o di queste morti – e cercare di svelarne le segrete motivazioni. Bill Pullman è superlativo nel dare corpo – attraverso sguardi e silenzi – a questa personalissima ricerca, piena di improbabili retroscena e assurdi interrogativi, che diviene di volta in volta sempre più esistenziale: una ricerca in cui il detective si ritrova costretto a confrontarsi con il proprio passato ed i suoi enigmi.
Dalle parti di True Detective e Twin Peaks
Senza forsennate scene d’azione o truculenti spargimenti di sangue, più vicino alle atmosfere, in un certo qual modo, di True Detective (S1) e della successiva Omicidio a Easttown, senza mai dimenticarci di Twin Peaks, The Sinner si svolge nel segno dell’introspezione psicologica. Attraverso il sapiente utilizzo di flashback a mosaico per ricostruire eventi particolarmente significativi – nella vita del colpevole come in quella di Ambrose. Un’introspezione vissuta come una personale discesa agli inferi, ovvero nel luogo dei peccatori.
La storia è sempre sull’orlo del soprannaturale, senza però mai cascarci: l’atmosfera di mistero è tutta nella perlustrazione degli oscuri meandri dell’animo umano, della sua psiche, e della psicologia della colpa.
Inizialmente ambientata a Dorchester (per la prima stagione), cittadina immersa nel verde anche se poco distante da New York, boschi e piante in genere sono una costante della narrazione. Il detective sembra conoscerle perfettamente, addirittura più degli esseri umani. Non solo ne conosce le diverse specie ma anche, significativamente, le malattie e i modi per prevenirle o curarle.
Ciò che invece sembra non saper curare sono i rapporti con i suoi cari: sta divorziando dalla moglie, parla a stento con la figlia, ha un rapporto malato con l’amante e, nella terza stagione, si trascina zoppicando per via di una dolorosa sciatica, assolutamente sintomatica della sua condizione tout-court. Nella quarta rischia di perdere anche l’ultimo vero concreto affetto che gli era rimasto vicino.
Per chiudere, le corrispondenze tra i casi che segue e i suoi, per così dire, peccati sono abilmente e sottilmente intrecciate a doppio filo: sta alla sensibilità di ogni spettatore ripercorrerne la trama (nel senso anche di tessitura), nella misura in cui si sente chiamato a farlo, ché la trama della storia scorre comunque, a prescindere da ciò, perfettamente intatta.
L’oscura ricchezza narrativa delle prime due stagioni
In quanto serie antologica, in The Sinner distinguiamo la stagione iniziale, che vede Jessica Biel (la giovane attrice di Settimo Cielo, poi moglie di Justin Timberlake) nel ruolo di produttore esecutivo e di protagonista (per lei Golden Globe come miglior attrice, più una nomination agli Emmy), nei panni di Cora Tannetti, moglie di Mason (Christopher Abbott) e madre dalla vita normalissima. Che un giorno, in una gita al lago con la famiglia, si avventa ferocemente su uno sconosciuto, accoltellandolo a morte dopo aver sentito una canzone (“Huggin & Kissin” dei Big Black Delta). Per la procura il caso è già chiuso ma non per Harry Ambrose che, di fronte ad un gesto talmente efferato quanto inconsulto, non riesce a darsi pace. Certo, è stata lei a compiere il delitto: ma perché? Davvero è sua e soltanto sua la colpa di questo incomprensibile atto sanguinario?
Nella seconda stagione, il protagonista torna nella sua città natale, Keller, scossa dall’omicidio di una coppia, avvelenata da un ragazzino di 13 anni, Julien (un bravissimo Elisha Henig), reo confesso. La coppia e lo stesso ragazzo venivano dalla comunità di Mosswood, sorta di setta fondata da uno psicologo sedicente guru. E ora gestita dalla sua assistente più fidata, Vera Walker (Carrie Coon), che dice di essere la madre del giovanissimo assassino. La comune in questione predica un percorso per il raggiungimento della completa libertà dello spirito, senza vincoli morali imposti dalla società, previa la totale accettazione della dualità bene-male insita in tutti gli esseri umani. Anche in questo caso il detective Ambrose, lasciandosi guidare dalla sua grande capacità empatica, cercando i motivi di un gesto così estremo arriverà ad una più grande verità. Che coinvolgerà lui stesso e le persone a lui vicine.
The Sinner: terza e quarta stagione, il cerchio si chiude
La terza stagione di The Sinner cambia lo schema. Non si tratta più di un delitto inspiegabile ma di un incidente stradale in cui perde la vita tale Nick Haas (Chris Messina) mentre sopravvive, praticamente incolume, un professore di storia che sta per diventare padre, Jamie Burns (Matt Bomer). Insospettitosi per alcune incongruenze, Harry Ambrose inizierà un’ossessiva indagine su quest’ultimo, indagine che diventerà una relazione pericolosa all’insegna dell’abusata figura dello Übermensch – il superuomo di nicciana memoria, confusamente travisato per l’ennesima volta. Pur di sapere come le cose siano accadute nella fatidica notte dell’incidente, il detective si metterà completamente in gioco. Fino a rischiare la sua stessa incolumità e quella delle persone a lui più care…
La quarta, e con ogni probabilità l’ultima stagione di The Sinner vede il nostro detective, ormai andato in pensione, andare in vacanza sull’isola di Hanover, nel Main. In compagnia della nuova compagna – la pittrice Sonya Barzel (Jessica Hecht), conosciuta durante il caso precedente, da cui finalmente sembra essere compreso e amato. Ma l’inquietudine fatica ad abbandonare Harry Ambrose: durante una delle sue insonni passeggiate notturne, egli vede una giovane donna lanciarsi da una scogliera. Sembrerebbe un suicidio, eppure, qualcosa nello sguardo, pieno di dolore, di quella ragazza – che si volta indietro un attimo prima di lanciarsi nel vuoto, incrociando quello di Harry – turba profondamente il nostro protagonista. La ragazza in questione è Percy Muldoon (Alice Kremelberg), appartenente ad una delle famiglie più importanti della piccola isola di pescatori, capitanata dall’energica e volitiva nonna Meg (Frances Fisher).
La famiglia non crede al suicidio, il corpo della giovane non viene ritrovato… Il nuovo mistero rivitalizza letteralmente Ambrose, che sembra addirittura ringiovanire ritrovandosi – non certo suo malgrado – ad inseguire i fantasmi di questo misterioso luogo. E dunque, come sempre, i suoi stessi fantasmi…
Il paradosso tra vittima e carnefice
Questo caso, ancora più del precedente (S3), è a dir poco paradossale, mancando vittima e assassino. Ma questa è essenzialmente la forza e la bellezza di The Sinner. Non un’indagine volta a scoprire ‘chi ha fatto cosa’, ma il perché, anzi meglio, il segreto perché delle cose stesse, ovvero di quelle particolari relazioni umane che sfociano come risultato in una vittima e un carnefice. Attenzione però, non siamo dalle parti di Motive, altra serie poliziesca canadese che indaga sul movente di un delitto, i cui insospettabili protagonisti – vittima e carnefice – incarnano quei ruoli dopo un burrascoso susseguirsi di imprevedibili fatalità. In The Sinner si scava andando ben oltre il cosiddetto movente, anzi tentando proprio di giungere al cuore oscuro e irrazionale del crimine omicida.
L’universo interiore dei personaggi della storia viene scandagliato, così come il vissuto del protagonista. Se indagare il cuore di un essere umano (vittima o carnefice che sia) significa innanzitutto districarsi tra le sue relazioni con gli altri esseri umani, portando così alla luce il bene e il male insiti in queste relazioni, allora mai come in questa ultima stagione l’indagine di Ambrose, che sempre svela l’enigma delittuoso svelando anche pezzi del suo stesso mistero, si muove tra i suoi fantasmi interiori, e non. Harry infatti rimane infine da solo nell’isola – non ci sono più la compagna, l’ex moglie, la figlia, l’amico, l’amante o il distretto con cui confrontarsi. In S4 Harry Ambrose è solo come non mai, pericolosamente solo. E tra religione pagana, filosofia esistenzialista e traumi passati, la ricerca sulla scomparsa Percy è più che mai una ricerca di sé.
The Sinner, un’indagine a doppio senso
Traumi e manipolazioni: Cora, Julian, Jamie e Percy sono i peccatori, con cui Harry Ambrose si trova a confrontarsi e a rispecchiarsi. Le prime due figure sono colpevoli, la terza è vittima e colpevole al contempo; ma lo stesso discorso varrebbe anche per i primi due, no? Quanto può essere labile talvolta questo confine? Ad ogni modo, ponendo non sia in fondo così labile, la figura di Percy è esclusivamente (squisitamente, verrebbe da dire) vittima.
Fin dalla sigla iniziale, che richiama subito il test delle macchie di Rorschach, The Sinner si dichiara come un’intima indagine a doppio senso. In bilico tra follia e normalità, conscio ed inconscio, serenità e senso di colpa, peccato e felicità.
Questa indagine a doppio senso, che mette in crisi la tradizionale figura del detective (sempre abbia ancora senso riferirsi a tale carattere cosiddetto tradizionale) – che solitamente incarna il lato buono della storia – diviene l’affascinante materia di una sublime e originalissima serie psicologico-poliziesca. La quale, come si è detto, cerca coraggiosamente di sondare le profondità di impulsi e motivazioni che sottendono l’umano – troppo umano – delittuoso agire: il lato cattivo.
Bill Pullman, qui nella sua più matura interpretazione, se non la migliore della carriera, riesce a rappresentare in modo sublime quel dolore perennemente trattenuto, quell’angoscia emotiva che esplode nel finale del terzo capitolo, e che nella quarta stagione di The Sinner arriva a materializzare la figura di Percy davanti ai suoi occhi. È infatti con il suo fantasma che Harry avrà i confronti più accesi ed intimi.
Il male di vivere di Ambrose si rispecchia con il Male, con la malvagità degli esseri umani. Se nella stagione 3 il Male era la risposta che Jamie cercava di dare al suo vuoto esistenziale, nella stagione 4 di The Sinner la risposta al Male è nell’incomprensibile ed ipotetico suicidio di Percy. Ambrose è quindi qui costretto a fare i conti definitivi con il lato più oscuro del suo stesso essere.
Ed è proprio questo a conferire alla quadrilogia di The Sinner quell’aura metafisica che la contraddistingue da qualsiasi altro giallo poliziesco. Rendendola un imperdibile gioiello nell’attuale panorama crime seriale.
Ascolta la puntata del podcast su The Sinner
The Sinner: trovarsi colpevoli di colpe non nostre | PODCAST
La crisi del detective nel giallo postmoderno