Bisogna essere buoni per fare del bene? È la domanda principale di The Politician, serie in 2 stagioni uscita per Netflix nel 2019 e creata dal prolifico – e ormai ricchissimo – Ryan Murphy. Già, perché The Politician ha inaugurato la sua collaborazione quinquennale per Netflix, suggellata con un contratto da 300 milioni di dollari.
A chi, come me, ama quest’autore irriverente, leggero ma attento a problemi come la sessualità e il razzismo, comico senza essere grottesco, critico ma non moralista, The Politician senz’altro piacerà.
Tuttavia non è certo l’opera migliore dell’autore di Nip/Tuck, Dahmer, Hollywood. Pecca di superficialità (ammesso la superficialità sia un peccato). E gli attori sono indubbiamente sopra le righe nell’interpretare questa storia rapida ed indolore. Due stagioni volano: se avete voglia di una commedia leggera ma non stupida, The Politician fa per voi.
The Politician, tra allegoria e racconto di formazione
È la storia di Payton Hobart (Ben Platt), figlio adottivo di una ricca famiglia di Santa Barbara, California, e del suo entourage di aspiranti politici. Una storia di ambizioni e crescita. Potremmo definirla una serie “di formazione”, come gli omonimi romanzi che raccontano la crescita morale di un adolescente nel passaggio alla sua età adulta.
Payton è un rampante studente convinto che il suo destino sia quello di diventare presidente degli Stati Uniti. Il suo primo passo verso la Casa Bianca consisterà nell’essere eletto come rappresentante del suo liceo. E per questo userà machiavellicamente tutti i mezzi a sua disposizione, fino a dubitare moralmente della propria persona.
Dopo un momento di inevitabile sconfitta e disperazione, Payton tornerà alla carica nella sua carriera politica, sempre sostenuto dai suoi fedelissimi consiglieri che ambiscono a stargli accanto per tutta la vita, contribuendo al suo successo pubblico.
The Politician ridicolizza non solo la politica in senso stretto, con i suoi tristi e meschini meccanismi, ma anche una società sempre più ossessionata dal “politically correct”. Una società che rischia di diventare inevitabilmente piatta e pericolosissima in mano a persone straordinariamente brave a camuffare i loro pensieri. Esprimendosi sempre senza ferire niente e nessuno, in un preoccupante qualunquismo.
Ryan Murphy e il grande tema del politicamente corretto
Libertà ai tempi dell’Inquisizione. La serie ci mostra un microcosmo che seppur giovanissimo e frizzante (la prima stagione è ambientata in un liceo) è adombrato dalla paura di dire o fare sempre qualcosa di sbagliato infrangendo così la “libertà di espressione”. E dove le presunte minoranze divengono il baluardo non solo dei nostri giovani aspiranti politici, ma di chiunque voglia fare un discorso pubblico.
In The Politician Murphy prende in giro proprio i concetti a lui più cari. Uguaglianza sessuale, antirazzismo, antiomofobia, sostegno delle persone più fragili (disabili, minoranze etniche, etc) non sono più idee per cui lottare ma dogmi ai quali è proibito non aderire.
Il nostro aspirante politico Payton è incoraggiato dai ‘suoi’ a prendere come vice una delle persone più deboli della scuola, una ragazza malata di cancro. E tra i suoi consiglieri non può mancare un esponente LGBTQ di colore. Questi sono gli ingredienti di un buon governo.
Il coraggio a metà di The Politician
Perchè no? Viene da dirsi. Già: perché no. Ma Murphy decide a modo suo di mettere in dubbio questo meccanismo: forse dal suo punto di vista oggi per gli adolescenti farsi strada in questo mondo di “diversi” è così facile che la stessa diversità perde di significato. Omologandosi in una sorta di inquietante organismo dal quale è molto difficile uscire.
Nella serie si parla poi molto di ecologia, e di tutti gli incubi delle nuove generazioni. Facendoci chiaramente capire che i ragazzi con i loro cartelli “save the planet” sono sulla strada giusta – e che dovremmo seguirli tutti, correndo. Tuttavia The Politician non assume nessuna scelta coraggiosa, accennando appena a quella che poteva essere un’interessante polemica di scardinamento dei nuovi costumi.
Castigat ridendo mores. Vabbè: però poi tutto finisce lì.
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