Diciamolo subito e sgombriamo il campo dagli equivoci. Non c’è niente di male nelle soap opera. Intanto perché, se ci pensate, è da lì che nasce – certo per evoluzione robusta – la complex tv che amiamo tanto. Con i suoi archi narrativi lunghi e le trame orizzontali che assomigliano più appunto alla soap che al telefilm, episodico per definizione. La stessa Twin Peaks, madre della serialità moderna, riprende ampi elementi e meccanismi del vituperato genere. Rapida premessa per dire che se, parlando di The Morning Show, uso la categoria della soap opera non lo intendo come un insulto. Casomai come un pezzo di ragionamento critico.
Certo, non è neanche un gran complimento. Ma è proprio questo il punto. The Morning Show esemplifica in modo perfetto una nuova tendenza che possiamo cogliere da qualche tempo nella tv seriale del nostro tempo. È una tendenza composita e coinvolge anche noi spettatori. Sintetizzando ciò che proverò ad articolare meglio nei prossimi capitoli, il senso è questo: si punta al meglio, perché ogni piattaforma (quelle di streaming in primis) vuole avere il suo prestige drama acchiapremi e da esibire; si radunano talenti cospicui, davanti e dietro la macchina da presa; si scelgono temi seri e importanti; ma poi ci si ricorda che alla fine quel che conta è tenere la gente incollata, per cui – diffidando della forza del proprio stesso prodotto – si vira su robuste iniezioni di melodramma, riabbracciando appunto i cari vecchi e rodatissimi stilemi della soap.
Ed è esattamente questo che fa di The Morning Show una serie che è da un lato molto facile voler guardare e che, allo stesso tempo, mette mirabilmente in scena la propria sconfitta. E il fallimento delle alte ambizioni di partenza, nella confusione sulla propria stessa identità.
Cos’è e di cosa parla
The Morning Show esplora i personaggi e – le dinamiche giornalistiche, personali e aziendali – dietro a un programma tv mattutino di notizie in diretta. Quei programmi che aprono la giornata televisiva USA, attorno alle 6. E che, complice l’ora, mescolano la gravitas che le notizie mondiali e nazionali imporrebbero con la levitas, la leggerezza, di uno show di intrattenimento.
La premessa della serie è semplice e intrigante. The Morning Show (titolo oltre che della serie anche del programma in questione) va in crisi quando il co-conduttore maschile, Mitch Kassel (Steve Carell), è costretto a lasciare dopo accuse di molestie sessuali. Chi affiancherà la star femminile, Alex Levy (Jennifer Aniston), nella assai ambita conduzione del popolarissimo programma? La fin lì semi-sconosciuta Bradley Jackson (Reese Witherspoon), aggressiva e turbolenta reporter di emittenti locali che porta nuova energia in un programma un po’ imbolsito.
Uscito a fine 2019 su AppleTV+, The Morning Show ha subito fatto parlare molto di sé, tanto per il cast stellare quanto per l’attualità dei temi (#metoo e dintorni). Una combinazione che ha spinto la casa di Cupertino a investirci pesantemente sopra, sia in termini di budget (che si traduce pure nell’elevatissimo numero di attori di peso che, come vedremo, arricchiscono lo show) che di programmazione. La seconda stagione è andata in onda nell’autunno 2021 (risentendo della pandemia). La terza si è conclusa nel novembre del 2023 – ma per The Morning Show è già annunciata una stagione 4.
L’ispirazione viene dal libro del giornalista Brian Stelter “Top of the Morning: Inside the Cutthroat World of Morning TV”. Creatore dello show è Jay Carson, che dopo una brillante carriera da comunicatore politico è entrato nello showbiz. Prima come consulente per House of Cards, poi scrivendo il film del 2018 The Front Runner, con Hugh Jackman.
La prima stagione di The Morning Show: l’ombra del “#MeToo”
Alex Levy e Mitch Kessler sono stati partner per 15 anni. Sullo schermo, sono una coppia affiatatissima e amatissima. Ma anche dietro le quinte i due sono migliori amici, con un rapporto – lo capiremo nel corso delle puntate – che rende problematica la posizione di Alex quando lo scandalo scoppia. L’arrivo di Bradley, catapultata dalla provincia al centro di un complesso meccanismo mediatico, economico, politico, ridefinisce tutti i rapporti. E, almeno all’inizio, anche lo stesso programma.
Nella prima stagione di The Morning Show (la migliore, senza dubbio) seguiamo una tripla dinamica. Da un lato la vicenda di Mitch, che non accetta di essere cancellato e prova a combattere per la propria sopravvivenza. Sostenendo una propria sgradevole “verità” sulle accuse (in sostanza: sarò anche un dinosauro nei modi, ma non ho mai aggredito nessuno, le donne venivano con me perché sono ricco, potente, di successo). Dall’altro le ricadute della sua cacciata, che costringe tutti (rete, redattori, altri giornalisti, e appunto la stessa Alex) a interrogarsi – e a volte difendersi – dall’idea di aver ignorato segnali anche evidenti di molestie. Aspetti del movimento #MeToo vengono quindi esaminati da diverse prospettive, man mano che emergono ulteriori informazioni sulla cattiva condotta dell’anchorman caduto in disgrazia.
Infine, ed è il terzo grande filone della stagione 1 di The Morning Show, ci sono le dinamiche giornalistiche e produttive. La rete vuole tutelare i propri investimenti. Il programma – e la stessa Alex – hanno bisogno di essere ridefiniti. Emerge come centrale l’altro grande personaggio della serie, Cory Ellison (il fantastico Billy Crudup), prima capo del settore notizie per il network (e più avanti CEO dello stesso): iperdinamico, abilissimo, luciferino e insieme genuinamente ispirato, Cory crede solo ed esclusivamente nello spettacolo. E nella conquista del pubblico, a qualsiasi costo.
Le stagioni 2 e 3: Covid, insurrezioni, guerra, internet, finanza, spazio…
Come il titolo di questo capitolo fa intuire, le successive stagioni di The Morning Show non hanno lo stesso focus della prima. Il caso di Mitch perde progressivamente di centralità, anche se rimane ben presente nella prima metà della seconda stagione. Mescolandosi all’emergere del Covid, cosa che porta all’incongrua parentesi italiana – che affossa definitivamente la serie. Se esce di scena Steve Carell, altri nomi eccellenti entrano nel cast: Julianna Margulies (ER, The Good Wife) dalla seconda stagione, Jon Hamm (Mad Men) nella terza. Accanto ad altre comparsate di lusso: Will Arnett (Arrested Development), Stephen Fry, Marcia Gay Harden, Tig Notaro.
Ma non c’è solo la pandemia, o la parata di volti noti, a complicare e spesso confondere il quadro di una serie che vorrebbe chiaramente riprendere il modello dell’assai più riuscita e coraggiosa The Newsroom (2012-2014). Bella ma poco fortunata serie con cui Aaron Sorkin raccontava una redazione davanti e dietro la telecamera, e che appunto faceva interagire personaggi di finzione con eventi veri e ben noti della politica e della cronaca. Le stagioni 2 e 3 di The Morning Show parlano di ineguaglianza razziale, dell’assalto al Campidoglio del gennaio 2021, dell’invasione russa dell’Ucraina, di attacchi cyberterroristici, di imbarazzanti filmini privati che minacciano carriere, di mega incendi e cambiamento climatico, di omosessualità…
Troppa carne al fuoco? La terza stagione fa di più. Mettendo al centro del racconto la crisi del mercato tradizionale della rete e la crescente necessità di costruire un’alleanza, o una fusione (che ha il sapore della capitolazione), con la multinazionale del mega-miliardario Paul Marks (Jon Hamm). Uno spietato colosso delle nuove tecnologie che gioca con i viaggi nello spazio e fa shopping di piattaforme giornalistiche e mediatiche. Come Jeff Bezos ed Elon Musk, per capirsi.
The Morning Show. I punti di forza e di debolezza
Possiamo fare un bilancio dei punti di forza e di debolezza di The Morning Show. Al primo capitolo vanno ascritti la confezione, sempre di gran classe e di assoluta qualità, e il cast (con una notevole eccezione, di cui ora dico). La solita impeccabile professionalità degli attori americani emerge a tutti i livelli, da figure minori come il metereologo “seconda fila”, Yanko, di Nestor Carbonell (Lost) passando per l’aspirante documentarista interpretata con coraggio da Valeria Golino fino all’ottimo produttore frustratissimo, Chip, di Mark Duplass, fino ai ruoli dominanti.
Jon Hamm costruisce un vero e credibile villain plutocratico, Reese Whiterspoon è bravissima nel dare corpo al mix di idealismo, rabbia anti-sistema e cinica ambizione della sua Bradley, Steve Carell riesce a rendere umano (e sfaccettato) il cattivo della storia, continuando a confermare le sue grandi qualità extra comiche di attore capace di innervare il dramma di ironia. Ho già citato il meravigliosamente teatrale Billy Crudup, per me l’anima della serie.
C’è una sola ma cospicua eccezione: Jennifer Aniston, questo vero mistero la cui popolarità (dai tempi di Friends) posso solo pensare derivi dal suo look slavato da “ragazza della porta accanto” più che dalle indefinibili capacità attoriali. Nel tempo, forse complice il botox, la sua espressività si è ulteriormente ridotta, sembra perennemente fuori sincrono, e finisce per sabotare la gran parte delle scene in cui è presente (che, essendo la protagonista della serie, come potete immaginare non sono poche). Arrivato alla terza stagione avevo voglia di gettare il telecomando contro lo schermo in certi suoi momenti di particolare evanescenza.
Il vero punto debole di The Morning Show però è, più in profondità, la sua assenza di bussola. Una storia che era nata in un certo modo (riflettere sul #MeToo nell’ambito televisivo) chiude maldestramente il proprio filone centrale e si disperde tra mille altri temi. Facendo vagare i personaggi per luoghi e vicende in modo sempre più erratico e superficiale. Smarrendo per strada la credibilità anche dolente della prima stagione per arrivare alla farsa melodrammatica del capitolo italiano e all’incredibile rinuncia a qualsivoglia verosimiglianza di certi momenti della stagione 3 (a partire dal viaggio spaziale cui Bradley partecipa all’ultimo minuto, senza uno straccio di preparazione e verifica).
La stagione 4, ci sentiamo di azzardare, non saprà portare The Morning Show fuori dalle secche su cui si è arenata.
Cosa The Morning Show ci dice della deriva della tv (e del pubblico)
Lo sapete. Più del giudizio, sempre soggettivo, a noi di Mondoserie interessa un’altra cosa: provare a capire cosa uno show, di successo o comunque importante, ci mostri del nostro mondo, del nostro tempo. Nel caso di The Morning Show è quanto anticipavo in premessa, e che ora posso meglio argomentare. Questa serie è, in un certo senso, la vendetta postuma della vituperata ma mai realmente dimenticata stagione delle soap opera. O anzi, più precisamente, di quella sua sotto-categoria specifica che è la telenovela. Incarnazione sudamericana della soap, da cui si distingue per una tendenza ancora più accentuata al melodramma. Specie nelle dinamiche familiari o relazionali, e per il ritmo più forsennato dei colpi di scena. Le telenovelas, infatti, proprio come le serie di oggi, tendevano a durare meno delle soap: e quindi a concentrare con più rapidità svolte e sorprese narrative.
Lo stesso fa The Morning Show, che prova a sostituire la bussola smarrita gettando sempre nuova carne sul fuoco. Che mescola in modo finanche esasperante le dimensioni personali e affettive a quelle professionali e pubbliche (il fratello di Bradley). Che finisce per ricorrere a stratagemmi degni davvero di una telenovela (gli incidenti automobilistici in Italia!). Come già detto, non è un insulto: è una riflessione.
The Morning Show è una serie che si guarda fin troppo volentieri. Io stesso ne ho viste, solo di recente e piuttosto rapidamente, le tre stagioni ad oggi disponibili. Siamo dalle parti di quei piaceri perversi (guilty pleasure) che ci si concedono di tanto in tanto. E che ci portano a voler guardare ancora – anche quando sappiamo che nulla di realmente significativo verrà fuori da un prossimo episodio. Lo sanno molto bene le case produttive. Lo sanno, auspicabilmente, gli autori di una serie che era nata per raccontare il problematico legame tra informazione e intrattenimento, con toni e ambizioni da prestige drama – e finisce invece appunto per diventare una soap, che può andare avanti all’infinito, ormai dimentica del suo punto di partenza e della sua ragion d’essere.
Ecco, l’importante sarebbe saperlo anche noi spettatori. Anche per non lasciare che con troppa facilità il mondo dello streaming finisca per rassomigliare a quello, da cui eravamo fuggiti, della tv generalista.
Informazione, economia, prestige drama: Succession
Informazione, PR, potere in salsa thriller: Suspicion