Vi è mai capitato di vedere qualcosa di così brutto e sgangherato da non riuscire a smettere di guardare? Provate The i-land, serie creata da Anthony Salter per Netflix e che fin dal titolo si sforza di essere arguta. Senza successo.
La premessa: dieci estranei si svegliano, senza ricordare chi sono o come sono giunti lì, su quella che sembra un’isola deserta. Dico sembra perché non si prendono neppure la briga di esplorarla; e poi perché viene subito fuori che sono in realtà all’interno di una simulazione digitale sperimentale.
Non prima, tuttavia, che lo spettatore abbia capito una verità molto più importante: che questo show è il peggiore dell’anno di grazia 2019 e uno dei più brutti di sempre. Scritta da bestie, assemblata con una modalità che si deve sperare sia stata casuale, recitata sopra le righe, The i-land cerca con tutta evidenza ispirazione in Lost, pietra miliare della serialità moderna, e finisce per esserne tragicomica e involontaria parodia.
Sette puntate una peggio dell’altra. Ma talmente catastrofiche da riuscire incredibilmente a tenermi avvinto fino alla fine. Lo ammetto con un misto di sconcerto e meraviglia: d’altra parte, anche la fascinazione magnetica per l’orrido è parte delle esperienze del nuovo universo seriale.
Giudizio: così brutta da risultare (quasi) irresistibile.
Una versione parziale di questo articolo è stata pubblicata il 6 ottobre 2019 su The Week, settimanale del gruppo editoriale Athesis.