No, i russi non esclamano mai “Huzzah!” Anzi, è un termine tutto inglese che secondo il dizionario di Oxford deriva dal semplice “hourra”. Nella brillante miniserie inglese The Great (10 episodi, su StarzPlay), scritta da Tony McNamara, l’esclamazione ritorna in quasi tutte le scene, ritmando una commedia storica divertente, pungente e, a detta dell’autore, “occasionalmente vera”.
Se pensate che le ambientazioni storiche televisive siano lente e soporifere, eccone la prova contraria. The Great fa piazza pulita del linguaggio polveroso e altisonante che spesso si associa alle serie in costume. Tanto per darvi un esempio, l’imperatore Pietro III è incapace di articolare una frase senza l’ausilio del musicalissimo termine “fuck”, delineando fin da subito un personaggio rozzo e irruente, abilmente interpretato da Nicholas Hoult, che rivela qui tutto il suo talento comico.
La miniserie è un adattamento della pièce teatrale di McNamara, acclamato co-sceneggiatore di The Favorite, film biografia della regina Anna vincitore di numerosi premi.
La storia di The Great: una sedicenne che diventa imperatrice.
The Great narra l’ascesa al trono di Caterina II, che vede nel ruolo un’eccellente Elle Fanning. Arrivata sedicenne dalla Prussia, Sophie Augusta d’Anhalt-Zerbst, che poi diventerà Caterina la Grande, subisce uno shock culturale. Dopo un incontro con il capo dei preti ortodossi che non le rivolge la parola ma in compenso le infila due dita nella vagina per constatarne la verginità, rimane attonita di fronte al marito alcolizzato e violento e ad una corte ignorante, frivola e perversa.
Le donne (anche nobili) non hanno alcuna educazione, i servi vengono fustigati senza pietà e gli uomini bevono e si picchiano dalla mattina alla sera. L’imperatore poi incarna in modo esilarante e incosciente la famigerata crudeltà russa, alla quale lei è incapace di adattarsi.
Particolarmente divertenti sono le scene ambientate durante le cene dove a suon di bicchieri rotti e huzzah! Pietro regala alla sua sposa un orso (per poi sparargli dopo qualche giorno), picchia a destra e a manca i suoi collaboratori e al momento del dessert fa servire ad ogni commensale un piatto con la testa mozzata di un nemico, a fianco del gelato. Tutti mangiano senza battere ciglio, sotto gli sguardi macabramente fissi delle teste. Momento cardine della scena è quando Pietro, con un inaspettato gesto di cortesia nei confronti di Caterina, propone di scambiare le due teste, offrendo alla sua sposa quella di un nemico biondo, come lei.
Orrori, intrighi, ruffianerie.
Nonostante Pietro la picchi, la stupri e la cornifichi, non riesce a risultarci odioso. Tutt’altro: lo spettatore attende con gioia qualche nuova trovata dell’Imperatore, che, tra il suo complesso di Edipo e qualche ordine di tortura, dona un ritmo incalzante ad una corte altrimenti spenta e senza iniziative. Ottimi anche il personaggio di Elisabeth, interpretato da Belinda Bromilow, dolce, spregiudicata e perversa zia di Pietro, e la coppia di nobili che conduce con lui un ménage à trois passando il tempo ad elogiarlo per ottenerne favori.
Dopo i primi episodi coinvolgenti e turbinosi, entra in scena l’amante di lei, rovinando in parte l’atmosfera satirica e spregiudicata. Poco convincente anche l’intrigo di corte che si va sviluppando attorno a Caterina. Deboli intermezzi fatti di dialoghi sdolcinati e difficilmente credibili dove alla luce del sole l’imperatrice, la sua cameriera e qualche altro personaggio senza troppa forza interpretativa tentano di evocare il colpo di stato realmente avvenuto che detronizzò Pietro III in favore della nuova imperatrice.
Pietro III, un “cattivo” con cui si simpatizza.
Tuttavia serie come questa confermano la speranza che la storia possa essere trasmessa in modo ironico e coinvolgente. Aprendo inoltre le porte ad analisi diverse di personaggi “negativi” come Pietro III: trasformati in caratteri se non vincenti senz’altro interessanti e sfaccettati come solo la realtà sa essere.
Carlo Pietro Ulrico di Holstein-Gottorp, successivamente Pietro III, ricevette un’educazione talmente dura da renderlo presto demente e incline all’alcool. Nelle sue memorie Caterina dice di averlo visto già ubriaco al loro primo incontro, quando Pietro aveva appena undici anni. Sembra che i suoi tutori lo lasciassero in ginocchio sui ceci così tante ore da danneggiarne per anni il modo di camminare e che lo privassero dei pasti, costringendolo a guardar mangiare i suoi servi.
Una volta adulto è noto si divertisse a torturare cani e gatti e certamente non risparmiava gli uomini.
Sarebbe stato facile farne un personaggio di secondo piano, bruttarello, magari deforme e sadico. Invece nella serie, verso la fine, quando la sua detronizzazione è oramai imminente, quasi ci dispiace. Allo stesso modo Caterina non è mostrata come una fulgida perfetta eroina inflessibile ma appare spesso debole, ingenua e tormentata dalla propria bontà.
Veleno, malattie, rimedi brutali.
C’è poi un episodio della serie particolarmente interessante, specie di questi tempi. Ad un certo punto Pietro viene avvelenato. Lo vediamo a letto in fin di vita, delirante. I due medici, uno vestito addirittura da dottore della peste, con tanto di maschera nera a becco d’uccello, erroneamente diagnosticano vaiolo. Gli appendono un topo morto al collo per “scacciare la malattia dal suo corpo”, gli ordinano di evitare qualsiasi “cibo blu” e lo rassicurano: prepareranno un decotto di aceto ed arsenico in grado di rimetterlo in piedi. Pietro poi guarisce, non certo grazie al decotto ma probabilmente per la bassa dose di veleno ingerito.
Ma questa breve scena non è la solita estemporanea citazione sui dottori ciarlatani dell’epoca, per farci due risate. Il vaiolo, nel caso di Pietro solo evocato, poco dopo scoppia davvero. L’epidemia serpeggia veloce nei piani inferiori del palazzo, i più sporchi e affollati, dove naturalmente vive la servitù. Val la pena riportare qui il dialogo tra Pietro e Caterina. Lei entra trafelata nella stanza dove gozzovigliano al solito l’imperatore e la sua combriccola di nobili, e, preoccupata per il destino dei servi che stanno morendo a mucchi, annuncia il contagio:
Caterina: “Devo parlarvi. Nelle stanze della servitù è esplosa un’epidemia di vaiolo”
Pietro: “Non preoccuparti. Isoleremo i servi e daremo loro fuoco per eliminare il morbo”
Caterina: “Ma non moriranno tutti!”
Pietro: “In genere si, basta appiccare un fuoco bello grande”
Caterina: “Intendo, la malattia non ucciderà tutti, potremmo isolarli e tentare di curarli…”.
A quel punto interviene il medico (lo stesso del decotto all’arsenico) che prende in giro le idee rivoluzionarie dell’Imperatrice secondo cui tutti, servi e aristocratici, dovrebbero ricevere la stessa cura. La tavolata dei nobili scoppia a ridere e il seguito è tutto da scoprire. Basti sapere che il racconto si basa su un fatto realmente accaduto.
The Great tra finzione e realtà: l’epidemia di vaiolo del 1767.
Nel 1767 un’epidemia di vaiolo cominciò a mietere in Russia, in particolare in Siberia, decine di migliaia di vittime. Caterina, da sempre interessata ai progressi della medicina e della scienza, fece chiamare a corte il medico inglese Thomas Dimsdale, celebre per le sue pionieristiche sperimentazioni sui vaccini. Nel diciottesimo secolo la vaccinazione (chiamata inoculazione) era ben più spaventevole di oggi: consisteva nel fare un taglio nel braccio del paziente per inserirvi una pustola di pus di vaiolo.
Il pus era stato precedentemente prelevato da una persona che aveva contratto la malattia in forma benigna, nella speranza che il ricevente venisse infettato nello stesso modo, ottenendo così un effetto immunizzante. Il rischio di morte era tuttavia elevato e Caterina, che oltre a sé fece inoculare anche il figlio, dimostrò un grande coraggio. Fortunatamente l’inoculazione funzionò (si narra che il medico avesse fatto preparare dei cavalli sellati fuori dal palazzo per darsi alla fuga, se le cose fossero andate diversamente).
In seguito non solo tutta la corte venne vaccinata ma vi fu un programma di immunizzazione di massa, che permise di vaccinare milioni di russi alla fine del secolo. Come dichiarerà più tardi l’imperatrice: “Con il mio esempio, ho voluto evitare la morte di numerosi miei sudditi che, spaventati e ignari del vero interesse di questo procedimento medico, sarebbero stati abbandonati a se stessi”. Caterina era talmente a favore dell’immunizzazione da aver definito in una lettera personale gli “anti-vax” come dei veri imbecilli, ignoranti o semplicemente cattivi.
Una despota amante della filosofia illuminista.
Il suo pensiero era rivoluzionario: seguace di Voltaire, Diderot e dell’Illuminismo francese, fu una dei primi monarchi a concepire (e in parte a mettere in pratica) l’idea di uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Se per noi oggi l’idea di bruciare vivi un centinaio di servi per bloccare il contagio appare raccapricciante, all’epoca non lo era affatto. Raccapriccianti se mai, per molti, erano le idee di Caterina e dei filosofi francesi che frequentò e protesse a lungo.
Nel decimo episodio di The Great, Pietro, che nel frattempo si è innamorato di lei, vuole farle una sorpresa. Coglie l’occasione del suo ventesimo compleanno per far venire espressamente dalla Francia Voltaire. Quale miglior regalo per una fanatica di questa nuova moda europea: la filosofia. Lei, incredula e felice, si siede al tavolo con entrambi. V’è un ridicolissimo dialogo a tre, dove Voltaire e l’Imperatrice conversano tra loro di noti argomenti mentre il nostro Pietro si arrabatta tra vari huzzah! e brindisi in lode al nuovo amico “Volti”.
Nei suoi anni di regno Caterina II fu sempre attenta alle idee filosofiche emergenti, al punto da attuare una radicale riforma scolastica, che prevedeva scuole pubbliche in tutto il paese con libri a portata di ogni studente. Sistema che venne assai criticato.
CURIOSITÀ. Nella realtà storica, Caterina e Voltaire non si incontreranno mai, ma saranno corrispondenti fedelissimi per molti anni, sostenendo a vicenda le proprie idee fino al 1778, anno della morte del filosofo.