“Adoro spingere lo spettatore ad apprezzare personaggi detestabili” ci confessa Jesse Armstrong, creatore di Succession. Pluripremiata serie americana che ha debuttato nel 2018 (20 episodi, 2 stagioni, una terza in arrivo prossimamente e di cui diamo alcune anticipazioni qui, in Italia su Sky).
Potente, ironica e al contempo agghiacciante, Succession mette in scena i giochi di potere e le tensioni interne di una ricchissima famiglia newyorkese, i Roy, a capo di un impero di televisioni, media e turismo.
Di cosa parla Succession
La serie apre con l’ottantesimo compleanno del suo presidente, il patriarca Logan Roy, un uomo che si è fatto da solo e che nel primo episodio pare sul punto di lasciare il suo impero in gestione a uno dei figli, Kendall. Un passaggio di testimone che però non andrà come ci si aspetta.
Il patriarca in realtà non vuole mollare il trono, e nel corso della serie continuerà a mettere alla prova i suoi quattro figli, trascinandoli in un inferno di stati umani dove ogni difetto verrà esasperato dalla frustrazione di non essere all’altezza del terribile padre.
Brian Cox, straordinario attore scozzese membro della prestigiosa Royal Shakespeare Company, che con la sua interpretazione del patriarca Logan Roy ha vinto il Golden Globe come miglior attore protagonista, ce ne parla così:
“Logan è una sorta di Re Lear, ma che non ha nessuna intenzione di farsi veramente amare dai suoi figli. Non li reputa davvero i suoi eredi, li vede viziati e indegni a succedergli.”
Nel corso dei venti episodi seguiamo da vicino ogni debolezza e meschinità dei protagonisti, nati nell’oro e pronti ad avventarsi sull’eredità con un’incoscienza senza scrupoli.
L’idea di Succession, tra realtà e finzione
La potenza della trama sta nella scrittura dei ruoli e dei personaggi, mai stereotipati ma continuamente spinti dalla velocità dei brillanti dialoghi a donarci tutta la loro umana fragilità.
Come molti eroi dostoevskiani, attraverso i loro comportamenti ci buttano in faccia la miseria a cui sono condannati. Nessuna ricchezza li toglierà dall’imbarazzo di sentirsi prede dei giornalisti e pedine di un padre che non accenna a morire.
La serie è nata da una vecchia sceneggiatura di Armstrong, che nel 2010 aveva scritto un intrigo satirico basato sul magnate australiano-americano Rupert Murdoch e altri capi di aziende di comunicazione (Maxwell, Hearst, Black…). L’idea era di esplorare le similitudini di queste figure tanto potenti da poter comandare la politica e l’economia americana e mondiale.
Lo sceneggiatore aveva poi archiviato il lavoro, per rispolverarlo all’alba delle elezioni di Trump, rimettendoci le mani e creando un nuovo universo maligno, sempre ispirato alla figura di Murdoch ma con dei personaggi di pura finzione.
Succession, oltre a trasformare una storia di politica e dissidi familiari in un capolavoro quasi teatrale a cavallo tra Shakespeare e una divertente commedia nera, esplora il delicatissimo momento di passaggio che stiamo vivendo tutti: la sovranità dei media che diventano di giorno in giorno più complicati e la gestione delle notizie e dell’informazione, spesso in mano, come in questo caso, a dei magnati che governano a proprio piacimento l’opinione pubblica.
Vecchi e nuovi ricchi, e una tragedia scozzese
E ancora più a fondo, la serie scava dolorosamente sulle differenze tra i vecchi e i nuovi ricchi. Logan Roy, un uomo partito dalla Scozia con nulla in tasca e che con violenta fatica ha creato un impero smisurato, si confronta coi figli, sangue del suo sangue, che non hanno idea nemmeno di quanto costi un litro di latte e che da sempre sguazzano nel denaro calpestando il prossimo.
ANEDDOTO: Qualche giorno fa ero in macchina con un paio di amici di New York venuti in Francia a passare le vacanze: guidando e scherzando si parlava di serie. Io scateno il mio entusiasmo elogiando Succession e li trovo concordi. Lei mi dice che oltreoceano si aspetta con ansia la terza stagione e l’altro mio amico, che è di origine scozzese, se ne viene fuori che il patriarca Logan Roy (come lo stesso attore Brian Cox) è del suo stesso paese natìo, Dundee.
Il mio amico poi mi ricorda la bellissima puntata della seconda stagione, dove Logan Roy deve lasciare momentaneamente New York per recarsi, assieme a tutta la famiglia, nella sua città d’origine in Scozia, dove riceverà un premio alla carriera. La nona puntata della seconda stagione è tutta ambientata a Dundee, dove però il nostro patriarca mette piede con angoscia e disgusto.
“A Dundee oggi c’è poco o niente, mi dice il mio amico scozzese, ma in passato, all’epoca della giovinezza di Logan Roy, era un vero inferno. Le industrie erano fallite in massa e la gente versava nella più totale povertà. Famiglie falciate dalla fame e dalle malattie emigravano in massa, se potevano. Mio nonno, dopo che mia nonna morì di tubercolosi, trovò lavoro come cuoco in un altra città e allevò da solo i figli. Non c’è da stupirsi che Logan Roy ritorni con poca voglia a Dundee. E’ un paese ostile, dove nessuno si vanta. Una città di uomini duri e silenziosi.”
Succession e il problema (molto reale) del potere
La storia di Dundee mi ha ricordato molte, infinite storie simili a Succession, anche se con famiglie meno ricche e potenti. Senza andare troppo lontano, quanti ottantenni italiani negli anni ‘60 han tirato su piccoli e grandi imperi dalla fame e dal nulla, che oggi sono nelle mani dei loro figli viziati e senza la stessa carismatica ferocia negli affari? La mia regione d’origine, il Veneto, ne è un esempio perfetto.
Succession inoltre, pur trattando di gente privilegiata, getta uno sguardo sui problemi del potere che coinvolgono tutti. Parla delle trappole che la ricchezza crea senza guardare in faccia nessuno. E’ un grande intrigo di una famiglia di imbecilli, con l’aggiunta che se litigano tra loro ci rimette mezzo Paese. Un’ostilità momentanea tra padre e prole può far oscillare la Borsa.
Saltano posti di lavoro, intere aziende vengono falcidiate per colpa dell’incompetenza di un figlio viziato o di un cugino ambizioso.
— Figli del privilegio, all’ombra del padre: i titoli di testa di Succession.
La serie fa veramente luce su alcuni dubbi che molti di noi abbiamo avuto almeno una volta nella vita.
E se il capo del mio ufficio fosse solo il fratello incapace del direttore generale?
E se il giornale che sto leggendo non dicesse la verità ma fosse manipolato a piacimento da editori invischiati nella politica?
Se i miei risparmi fossero nelle mani di persone disoneste?
E se gli ordini che mi vengono dati dall’alto provenissero da un totale idiota capace di mettermi in seri guai?
Se vivete con questi sospetti, Succession non farà che fomentarli, dato che è un inquietantissimo specchio della realtà politica finanziaria attuale dove molte famiglie sono a capo di smisurati imperi. Non a caso da anni si parla di un ritorno alla vecchia aristocrazia.
Succession è una saga fantastica con una colonna sonora strepitosa e degli attori magnifici, ma con sangue vero: il nostro. Ed è proprio per questo che ci piace tanto.
Leggi qui il nostro articolo sulla terza stagione di Succession.