La stagione 4 di Stranger Things è uscita tra fine maggio (la prima parte, di 7 puntate) e inizio luglio (le puntate 8 e 9). Poche settimane che sono bastate a riaccendere un fenomeno globale come pochi, rinverdendo i fasti un poco stagnanti di Netflix. E che al contempo erano pur necessarie per assimilare questo nuovo capitolo del gioiellino dei Duffer Brothers. Anche solo in termini temporali. Nessuno dei 9 episodi dura infatti meno di un’ora. L’ultimo, poi, raggiunge quasi le 2 ore e mezza: la durata di un filmone.
Ma non c’è solo un tema quantitativo. Stranger Things, nel suo 4° capitolo, raggiunge infatti vette di complessità che ne consolidano lo status tra le grandi produzioni del nostro tempo. E, cosa ancora più evidente, tocca note decisamente più dark. Molto, molto, molto più dark rispetto alle prime annate.
In questa puntata del nostro podcast abbiamo fatto una riflessione a tutto tondo su temi e sviluppi di questo divertentissimo show. In attesa della quinta stagione che lo porterà a conclusione, qui vogliamo fare un’operazione più particolare. Questa: provare a identificare le citazioni e i riferimenti più importanti che segnano la stagione 4 di Stranger Things. E che ci aiutano a meglio interpretare quel tono più maturo, più complesso, più dark che dicevamo.
SPOILER: per forza, ma senza esagerare.
https://youtu.be/22j8um1XOHE
L’idea di partenza di Stranger Things
Nata nel 2016, 34 episodi in 4 stagioni, Stranger Things è stata fin da subito un successo globale. L’intuizione iniziale dei Duffer Brothers era limpida ed efficace: proporre al pubblico del nuovo millennio una storia che avesse tutto il sapore di un’epoca già quasi mitizzabile, gli anni ‘80. Decennio che aspettava da tempo, rispetto ai periodi precedenti, una più convinta e “scientifica” glorificazione.
Ambientata appunto negli anni ’80 (1983-1986 per le prime 4 stagioni) nella fittizia città di Hawkins, nell’Indiana, Stranger Things inizia con la sparizione di un bambino, Will. Cercandolo tra i boschi e le strade che circondano la cittadina, e avvvicinandosi al misterioso Hawkins National Laboratory che conduce esperimenti a metà tra applicazioni militari e fringe science, i suoi amici si imbattono in Undici (Eleven), una bambina dai capelli rasati dotata di poteri telecinetici. Fuggita proprio da quel laboratorio. E che sembra avere una connessione con il Sottosopra. Un’oscura dimensione parallela al nostro mondo, popolata da creature mostruose, dove il loro amico è scomparso…
Attenzione: la nostalgia non è solo per l’ambientazione, gli anni, la musica, i riferimenti. Che pure, come vedremo, sono un elemento centrale. L’abilità dei fratelli Duffer è quella di proporre agli spettatori d’oggi una storia che degli anni ‘80 non avesse solo le caratteristiche “formali”. Ma anche quelle sostanziali. Il colore. Il sapore. L’anima. E quindi la schiettezza di una provincia ancora ordinata, operosa, pulita, felice. Con la sua innocenza, purezza, semplicità. In cui i cattivi sono cattivi, i buoni buoni. In cui le parole hanno un senso. Un luogo in cui crescere, nel senso pieno del termine, è ancora possibile. E in cui il Male è ontologico, e un gruppo di ragazzini in bicicletta lo può stanare, affrontare, sconfiggere. Senza troppe sfumature, senza troppe complessità.
La nostalgia degli anni ‘80: i riferimenti base
La nostalgia non è quindi solo per l’epoca ma per i suoi valori. E l’abilità dei Duffer Brothers è stata quella, stagione dopo stagione, di costruire una storia che non poggiasse le proprie fortune solo sul potente elemento della nostalgia. Ma che da qui costruisse, in modo efficace e formidabile, un edificio altro. Certo, a partire indubitabilmente da una perfetta gestione della grammatica degli anni ‘80. Una grammatica narrativa, letteraria, visiva, musicale. Piena di citazioni e riferimenti.
Di base: Stranger Things, e questa stagione 4 non fa eccezione, è spesso stata descritta così. Come l’equivalente di un film scritto da Stephen King, diretto da Steven Spielberg e musicato da John Carpenter. Con il terzo, ovviamente, che avrebbe avuto più di qualcosa da dire anche su scrittura e regia. Romanzi, film e musiche di quegli anni si respirano in ogni scena della nostra serie. Dal senso di avventura e meraviglia di E.T. a quel grande romanzo di formazione che è IT. Passando per mostri che ricordano La Cosa. E poi, un film a modo suo iconico del periodo: I Goonies, gran successo dell’85, da allora visto e rivisto da generazioni di ragazzini. La stessa scelta di un attore come Matthew Modine, esploso proprio in quegli anni.
E la musica? Nei sintetizzatori dello show risuonano gli echi di Jean-Michel Jarre, Tangerine Dream, Vangelis, Goblin…
Altre influenze evidenti: il David Lynch di Twin Peaks (1990) ma anche del precedente Velluto Blu (1986). Con la sua rappresentazione “doppia” della provincia americana. E sempre in tema di provincia profonda e orrori ivi nascosti: la letteratura fantastica di H. P. Lovecraft. Ma anche videogiochi iconici come Silent Hill. E il cinema di alcuni altri maestri dell’horror del periodo: Wes Craven, Tobe Hooper… Ne parleremo.
Stranger Things 4: il 1986 e le ombre
Lo abbiamo detto: nella stagione 4 di Stranger Things la complessità cresce. Vi è più maturità. E più cupezza. Certo, un po’ questo riflette un fatto anagrafico: come i loro interpreti, i ragazzini del primo capitolo non sono più dodicenni. Ma riflette anche il passare “storico” degli anni.
Il primo capitolo (ambientato nel 1983) riportava le influenze orrorifiche di The Thing. Però c’erano anche quelle più fiabesche di E.T.: i ragazzini in bicicletta tra i boschi della provincia USA. Due blockbuster del 1982. E poi c’era naturalmente Eleven, personaggio che pareva mutuato da Fenomeni paranormali incontrollabili (Firestarter, 1984): film tratto da un romanzo minore di King del 1980 (L’incendiaria). Che metteva in scena militari, esperimenti, scienza di confine. Una bambina dai poteri spaventosi, per questo braccata (Drew Barrymore).
Arriviamo al 1986, l’anno di ambientazione di questo nuovo capitolo dello show. In mezzo c’è stato il primo, seminale Nightmare (A Nightmare on Elm Street, 1984) di Wes Craven. Ci torneremo dopo, perché è di particolare importanza in questo capitolo 4 di Stranger Things. Ma poi nell’86 esce IT: forse il capolavoro di Stephen King, il suo romanzo più toccante e complesso. Una fluviale e sinistra saga che parla di amicizia, della dolorosa necessità di diventare grandi, della costante battaglia contro le proprie fragilità. Pennywise il clown è un antico mostro che si nutre di paura: proprio come Vecna in Stranger Things 4. Dove risiede? Sotto la città, che avvelena progressivamente. E chi lo combatte? Un gruppi di ragazzini.
Ancora il 1986. Esce al cinema Stand By Me, di Rob Reiner, tratto dalla novella The Body, ancora di King. Quattro amici vanno alla ricerca del corpo di un ragazzo scomparso. Un racconto generazionale potente, una riflessione agro-dolce. Un mondo più dark.
Una crescente complessità: narrativa, morale, culturale
Nuovi riferimenti, sotterranei e se volete meno visibili, che vanno più nettamente a definire le coordinate di Stranger Things alla sua stagione 4. Insomma, quello che si era presentato come un innocuo e splendidamente confezionato divertimento a metà tra nostalgia degli anni ‘80, Goonies / Ghostbusters / E.T., musiche evocative e riedizione deluxe di una sorta di America Felix, in cui certo si può scomparire e persino – persino – morire, ma in cui ogni male verrà corretto e sconfitto da amicizia purezza di cuore e coraggio, tutto questo magnifico giocattolone rivela ora la propria raggiunta maturità.
O meglio: rivela di essere sempre stato più maturo, più adulto, più complesso di quello che pensavamo. E più cupo. Una complessità non solo morale ma anche narrativa. Perché quello che fa il capitolo 4 è anche e soprattutto ridefinire il senso della storia complessiva di Stranger Things. Attenzione: non tanto farla evolvere. Ma proprio ridisegnarla, raccontarla sotto un’altra luce. Non sto parlando della scelta, annunciata dai Duffer Brothers, di modificare retroattivamente alcuni piccoli elementi delle stagioni precedenti per correggere modesti errori di continuità. Ma piuttosto di come la nuova stagione costringa lo spettatore a ripensare a tutte le precedenti. Ah! Ma allora era tutto connesso! Ma quindi tutto ciò che abbiamo visto – i cattivi i mostri le sfide – venivano in un certo modo da un’unica fonte…
Le 9 nuove puntate riscrivono le precedenti 25. Svelando con un potente effetto retroattivo le origin story dell’eroina che già conoscevamo (Eleven) e della Nemesi che non avevamo ancora scorto. Mentre la violenza e l’orrore aumentano, sfumano i contorni – prima così netti – tra Bene e Male. Tra Buoni e Cattivi.
E così, citazioni e riferimenti d’epoca finiscono per riflettere questa nuova e più cupa dimensione morale, narrativa estetica. Vediamo come.
Dungeons & Dragons in Stranger Things 4
Prendiamo Dungeons & Dragons. L’inizio dello show, con la prima stagione ambientata nel 1983, ci mostra i quattro amici impegnati in entusiasmanti partite del celebre gioco di ruolo. Nato negli anni ‘70 come evoluzione spiccatamente fantasy dei classici wargame, negli anni ‘80 Dungeons & Dragons divenne il gioco di riferimento. Nella nostra serie, il gioco permette ai protagonisti di affrontare un mondo altrimenti indecifrabile. Offre ruoli, stimola il coraggio, insegna l’importanza del gruppo. Persino il Sottosopra (Upside Down), versione deformata e corrotta della nostra realtà, ricorda un luogo del gioco, la Valle delle Ombre. E così i suoi nemici: il Demogorgone, i mostri, e ovviamente Vecna.
Nella stagione 4 di Stranger Things Dungeons & Dragons è più centrale che mai. Vecna, appunto, è un potente avversario nel gioco. C’è l’Hellfire Club, che vive e muore attorno alle avventure ludiche, fattore identitario e di auto-definizione orgogliosa rispetto al resto dei coetanei. E una parte importante della trama – dopo l’ingresso nel Sottosopra – è strutturata proprio come una classica quest. Un gruppo che parte in missione per sconfiggere un nemico soprannaturale. Ciascun personaggio con un ruolo ben preciso, abilità e debolezze comprese.
Ma occhio. Il tono più dark di Stranger Things 4 sui riflette anche sul gioco. D&D, innocuo passatempo nella prima stagione, è ora sotto attacco. Sconvolto dai brutali omicidi, il paese di Hawkins accende le fiaccole: i giocatori sono sospetti, l’Hellfire Club suona come un gruppo di adoratori del demonio. È un riferimento molto preciso al “panico satanico”, alimentato dalla destra cristiana americana, che a metà degli anni ‘80 mosse guerra contro il popolare gioco. Accusato di pervertire la gioventù a stelle e strisce. E bersaglio di una serie di feroci campagne volte a bandirlo o sradicarlo.
Il gioco è divenuto minaccia.
La Russia, Reagan, e WarGames
Un altro interessante tema di realtà che fa il suo ingresso con forza nella serie è quello, diciamo così, geopolitico. Nella scorsa stagione entrava in scena la Russia, grande e mitico nemico dell’America. In questa stagione 4, il mondo russo diventa più rilevante nell’universo semantico di Stranger Things. Il campo di prigionia in cui è rinchiuso Hopper, e in generale le ambientazioni in una gelida e inospitale e decadentissima Kamchatka, tutto sembra l’opposto dei cari vecchi Stati Uniti. Come se la Russia fosse un’incarnazione reale, politica, statuale del Sottosopra. Con cui infatti cerca di trafficare, facendo esperimenti sui suoi mostri, aprendo varchi perigliosi.
Siamo nel 1986: lo ricordo, ancora in piena Guerra Fredda. Il conflitto tra USA e URSS sta per giungere alla fine (o almeno così si pensava, prima che l’attualità si incaricasse di ricordarci che nel grande libro della Storia la parola “fine” non c’è). Ma nessuno lo sa. Manca ancora un anno al celebre discorso dell’allora presidente americano Reagan a Berlino: “Mr. Gorbachev, tear down this wall!” (Signor Gorbaciov, tiri giù questo muro). E due all’effettiva caduta del Muro, inizio fisico della dissoluzione sovietica.
Ma appunto nel 1986 la Russia è ancora, nella definizione di Reagan, “L’impero del male”. L’anti-America. E la fonte di una minaccia costante. Minaccia evocata da un film molto celebre del 1983: WarGames, in italiano Giochi di guerra. In cui un giovane hacker entra nel server che gestisce la difesa nucleare degli Stati Uniti e rischia di scatenare una nuova guerra mondiale. Stranger Things 4 richiama esplicitamente il film. In episodio 5, Mike e Will chiamano il numero telefonico misterioso che hanno ottenuto, e scoprono che è un computer. WarGames viene citato per nome, e la sua colonna sonora evocata per alcuni secondi.
La fantascienza in Stranger Things 4
È ovvio che il genere fantascientifico abbia un’influenza particolarmente forte sullo show, fin dagli esordi. E.T., La Cosa, Alien sono tutti riferimenti ben presenti, e ovviamente rilevantissimi nel plasmare l’immaginario dell’epoca. Qua voglio mettere in evidenza due agganci decisamente espliciti – e dark – che la stagione 4 di Stranger Things sembra fare.
Il primo ha proprio a che fare con la saga di Alien. Ma, paradossalmente, non con il secondo capitolo, uscito proprio nel 1986, anno di ambientazione di questa stagione della nostra serie. Piuttosto con il terzo, e assai bistrattato, film: e cioè Alien 3, o meglio al cubo, di David Fincher. Il film è del 1992, quindi fuori dal periodo di riferimento dello show. Eppure la sua ambientazione, in una remota spartana e desolata prigione in cui tutti i prigionieri hanno i capelli rasati e in cui la protagonista Ripley è l’unica donna tra tanti uomini, ricorda la cattività di Hopper, americano tra i russi in un gulag spettrale. Ovviamente in ambo i casi un mostro alieno richiederà, per sconfiggerlo, che vengano forgiate improbabili alleanze.
Ma il riferimento più serio, e che potrebbe passare inosservato, è invece al film del 1980 Stati di allucinazione (Altered States). La pellicola di Ken Russell segna il debutto al cinema di un attore iconico degli anni ‘80, William Hurt, scomparso pochi mesi fa. Ed è celebre soprattutto per aver popolarizzato le vasche di deprivazione sensoriale. Lì uno psicologo studia il potenziale della mente umana, spingendosi addirittura ad esplorare a ritroso l’evoluzione umana. Da noi, Eleven viene calata nelle vasche del progetto Nina, anche visivamente molto simili a quelle del vecchio film, con lo scopo di riacquisire i propri poteri. Ma nel farlo, anche qui, dovrà confrontarsi con la propria “origin story”. E i suoi mostri.
Case stregate e famiglie perseguitate
Ancor più delle stagioni precedenti, la 4 porta al centro dell’universo di Stranger Things un vero e proprio topos dell’horror e del fantastico: la casa stregata. Un luogo infestato di presenze sinistre, quasi sempre collegato a un altro punto fermo dei succitati generi: la famiglia perseguitata. Una famiglia normale che scopre come lo spazio “sacro” per definizione, cioè appunto quello domestico, sia stato invaso da forze soprannaturali.
Lo stile e l’aspetto della casa infestata di Vecna richiamano da vicino quello di un gran classico: Amityville Horror, del 1979. Capostipite di una serie di ben 33 film (sì, avete letto bene: trentatré). La pellicola appare anche, in VHS, nel negozio di videonoleggio in cui lavora Steve, nel primo episodio della stagione. La strage della famiglia Creel, in questa stagione, richiama quella della famiglia DeFeo: storia vera che ispirò il film. Nel dicembre 1975, la famiglia Lutz si trasferisce in una casa ad Amityville, New York. Ne fugge un mese dopo, sostenendola infestata. Lì, un anno prima, c’era stato un brutale omicidio: Ronald DeFeo Jr. aveva ucciso sei membri della sua stessa famiglia.
Altra celebre casa stregata del cinema, altra chiara influenza: quella di Poltergeist, film di Tobe Hooper del 1982. Una delle fonti a cui lo show attinge con forza: la storia è quella di una bambina che viene strappata alla quiete del suo quartiere suburbano e risucchiata in un angosciante mondo parallelo. Attraverso, profeticamente, la televisione. La stagione 4 di Stranger Things evidenzia il collegamento: la corda di lenzuola usata per andare avanti e indietro tra mondo normale e il Sottosopra sembra quella che la famiglia protagonista del film usa per salvare la bambina scomparsa.
La musica di Stranger Things 4
La serie Netflix si è imposta anche per un uso efficacissimo e peculiare della musica. E non solo in senso evocativo e nostalgico. Con la colonna sonora originale, tutta atmosfere e strumenti del periodo, e la presenza di artisti come Peter Gabriel, Madonna, Joy Division, Toto, New Order, Cyndi Lauper. “Should I Stay or Should I Go?” dei Clash segna la prima stagione. La canzone de “La storia infinita” (gran successo del 1984) la terza stagione.
Ma la quarta stagione regale due perle immediatamente entrate nel mito collettivo. Entrambe in forma diegetica (la musica non è esterna ma interna all’azione). La prima è l’ormai celeberrima scena in cui è l’ascolto di una canzone del 1985 di Kate Bush, “Running Up That Hill (A Deal with God)”, a far tornare letteralmente dal regno dei morti Max, che Vecna ha imprigionato. È il finale dell’episodio 4. Un momento semplicemente perfetto, che ci riconcilia con una stagione che fin lì era parsa un po’ dispersiva. È anche uno snodo emotivo e narrativo potentissimo, che regala profondità psicologica alla serie. Una delle migliori rappresentazioni della depressione mai viste su schermo: l’isolamento dagli altri che ti paralizza, la paura di non poter tornare alla luce. “I’m still here”, sono ancora qui, mormora Max quando è riportata alla vita dalla forza della musica e dall’amore degli amici. Lacrime.
“Running Up the Hill” è tornata in vetta alle classifiche in tutto il mondo, 37 anni dopo il suo lancio. L’altro momento topico, lo sapete, è il sacrificio di Eddie. Personaggio amatissimo, nerd carismatico che assurge alla statura di eroe. Chitarra elettrica in mano, sfida i demoni del Sottosopra suonando il capolavoro dei Metallica “Master of Puppets”, dall’album omonimo. Uscito proprio a inizio 1986. Sarà il metal a salvare il mondo?
Ragazze coi superpoteri, ragazze bullizzate
E a proposito di ragazze, di depressione, del difficile passaggio dell’adolescenza, Stranger Things 4 ha parecchio da dire. Eleven deve, fin dall’inizio, un bel po’ della sua caratterizzazione a due personaggi creati da Stephen King. La Charlie del romanzo L’incendiaria (1980). La Carrie dell’omonimo libro del 1974.
Abbiamo già citato il primo esempio. Nel 1984 il racconto diventa un film di Mark L. Lester, Fenomeni paranormali incontrollabili (Firestarter). La protagonista, una bambina telecinetica, è interpretata dalla giovanissima Drew Barrymore. Le musiche sono dei Tangerine Dream, una delle influenze maggiori sulla colonna sonora dello show. Come Eleven, e in particolare modo nella più recente stagione, Charlie è “figlia” di esperimenti para-militari, e braccata da spietate agenzie governative.
Per Carrie il discorso è più complesso. Il capitolo 4 di Stranger Things porta l’omaggio sulle soglie della citazione diretta con le molte scene dei primi due episodi in cui Eleven, divenuta una ragazzina un po’ impacciata dopo la perdita dei suoi poteri, viene bullizzata dalle sue nuove compagne di scuola, in California. L’eroina è diventata una perdente. La sua rabbia monta e infine trabocca, e il sangue scorre. Proprio come succedeva alla Carrie di King, anch’ella alle prese con una pubertà che porta sconvolgimenti di tutti i tipi: psicologici, ormonali, identitari. Nel film del 1976 di Brian De Palma, chiarissimo riferimento per i Duffer, Carrie era una giovane Sissy Spacek. Che poi sarebbe tornata ai mondi di Stephen King 40 anni dopo con un’interpretazione lancinante nella bella Castle Rock, di cui abbiamo parlato qui.
In ogni caso, è difficile immaginare la nostra Eleven senza queste due tormentate eroine. I cui poteri si scatenano sull’onda della rabbia. Per proteggere chi amano, per punire chi le perseguita.
Stranger Things 4 e l’orrore psicologico
Non è difficile identificare Halloween, enorme successo di John Carpenter del 1978 e capostipite di una fortunatissima e infinita serie di film, come una delle maggiori influenze sulla serie. L’ambientazione nella provincia americana, sulla carta quieta e felice. Lo scaturire di una violenza brutale tra le villette color pastello e i loro giardini. E, naturalmente, le avvolgenti e disturbanti atmosfere della semplice ma evocativa colonna sonora scritta ed eseguita dallo stesso Carpenter.
Ma, anche qui, è la stagione 4 di Stranger Things a portare a maturità il debito. Enfatizzando, come abbiamo già visto, quella dimensione di orrore psicologico che nel nuovo capitolo è più rilevante che mai. La radice familiare di traumi che continueranno a riverberare nel tempo accomuna la serie al film. Come Henry Creel, ancora bambino Michael Myers (il maniaco di Halloween) uccide in modo brutale la sorella, prima di finire recluso in un ospedale psichiatrico. Da cui evaderà per portare il terrore nel mondo. Il debito è evidenziato da una buffa scena nell’ottavo episodio: Eddie, per sfuggire alla città che gli dà la caccia, si nasconde dietro la bianca maschera del serial killer.
Se parliamo di horror psicologico è difficile non menzionare un altro collegamento: quello con Hannibal Lecter. Il personaggio dello psichiatra cannibale debutta al cinema proprio nel 1986 in Manhunter di Michael Mann. Nel 1988 diverrà iconico con il libro e poi (nel 1991) il film de Il silenzio degli innocenti, dando vita a un mito che perdura (abbiamo parlato qui di Hannibal, la serie). Quando Nancy e Robin vanno nel manicomio per parlare con il vecchio Victor Creel, proprio come nel film di Jonathan Demme, percorreranno un corridoio sotterraneo con il muro di pietra. Lì, oracolare, è recluso il “mostro”.
Sempre più dark, sempre più Nightmare
È proprio il personaggio di Victor Creel a portarci all’ultima citazione. La più ovvia, ma insieme la più importante. Quella che suggella l’evoluzione dark dello show. La serie dei film di Nightmare (A Nightmare on Elm Street). Il primo capitolo è del 1984, lo firma Wes Craven, maestro del genere. Nella stagione 4 di Stranger Things il vecchio e sofferente Creel, incarcerato per un crimine che non ha commesso, è interpretato da Robert Englund. Cioè l’attore divenuto icona nei panni del terrificante Freddy Krueger, il mostro della saga di Nightmare. Krueger appare anche in merchandising, nel negozio di videonoleggio.
Non solo. Vecna uccide le sue vittime dopo averle tormentate, inseguite, torturate. Sollevandole in aria e distruggendole, proprio come accadeva alla prima vittima di Krueger nel film del 1984. Si nutre del loro dolore, cresce assimilandone la paura. Vive per infliggere sofferenza, in una perversa vendetta per i torti che aveva a sua volta subito.
Ma la vera analogia, quella più profonda, è un’altra. Giunta al suo penultimo capitolo, con protagonisti più grandi e tormentati, Stranger Things reclama una maggiore complessità, maturità, profondità. Vecna, come Freddy Krueger, insidia le sue vittime entrando nella loro mente. Inducendo allucinazioni. Manipolandone i ricordi, usandone le paure. Pervertendo i loro sogni. Dando loro la caccia una a una, isolandole, separandole dagli amici.
I bambini di ieri non ci sono più. Mike, Will, Eleven, Lucas, Dustin, Max scoprono che più spaventosi dei mostri del Sottosopra sono i propri demoni, le proprie paure. Identità confuse, dubbi, il timore di non essere accettati. Bene e Male non sono più così separati.
L’infanzia è finita, con essa l’innocenza. Stranger Things prepara il suo gran finale in un mondo che è, letteralmente, in fiamme.
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