Avete presente il vecchio detto “Non tutte le ciambelle riescono col buco”? Vale anche per le serie tv. Possono esserci le migliori condizioni, attori da urlo, gli autori giusti, un tema stimolante… e niente, il click non scatta. È il caso di Space Force, un po’ commedia da ufficio e un po’ satira militare. Ma, soprattutto, cospicua delusione.
Presentato con grande fanfara su Netflix, che l’ha prodotto, a metà 2020, lo show è da poco tornato con una seconda stagione. Ai 10 episodi del primo capitolo se ne sommano così 7 nuovi, di durata breve ma non brevissima, attorno alla mezz’ora. Eppure, il nuovo pacchetto di puntate non migliora l’impatto complessivo del programma. Speravamo di sì, come spesso accade a commedie e sitcom che beneficiano di un po’ di rodaggio.
E lo speravamo perché le carte di Space Force erano più che in regola: erano 4 assi. A partire dai creatori, Steve Carell e Greg Daniels, che 15 anni fa ci avevano regalato quel gioiello di The Office (la versione americana, che abbiamo raccontato qui). Carell è nel frattempo diventato una star del cinema. Daniels, oltre ad aver curato l’adattamento a stelle e strisce appunto di The Office, ha lavorato a Saturday Night Live, ai Simpson, a Parks and Recreation. Non basta? Nel cast, accanto al protagonista Carell, c’erano altri nomi belli tosti. John Malkovich su tutti. E poi Ben Schwartz (il Jean-Ralphio della fantastica Parks and Recreation), Lisa Kudrow (Friends, Death to 2020), e un bel po’ di altri validi comprimari.
Non basta ancora? Lo show ambiva a satireggiare la Space Force che solo l’anno prima, nel 2019, l’allora presidente Trump aveva varato. Tra gli entusiasmi dei suoi e le pernacchie dei detrattori.
Come poteva un simile cocktail non funzionare?
Cos’è e di che parla Space Force
Creata e co-scritta da Greg Daniels e Steve Carell, Space Force racconta la nascita del sesto ramo delle forze armate statunitensi. Appunto, le Forze Spaziali. Che vanno ad affiancarsi all’Esercito, alla Marina, all’Aviazione, ai Marines, alla Guardia Costiera. La scelta viene accolta con sarcasmo dai massimi ufficiali americani: compreso quello chiamato, suo malgrado, a dirigere il nuovo soggetto. Il patriottico e solerte ma poco duttile generale a quattro stelle Mark Naird (Carell). Cui gli alti comandi affidano un compito: vincere la nuova competizione spaziale, in primis con la Cina, e riportare astronauti americani sulla Luna entro il 2024.
Naird si trasferisce con la famiglia in un posto in mezzo al nulla in Colorado. Cosa veritiera: il quartier generale della reale Space Force si trova nella Peterson Air Force Base, appunto in Colorado. La moglie (Kudrow) finisce in galera, la figlia nei guai. Lo stesso generale non se la passa bene, a capo di un team a dir poco sgangherato.
Tra il capo scienziato Mallory (Malkovich), eccentrico, pacifista, narcisista. Il fatuo e incompetente social media manager Tony Scarapiducci (Schwartz). E poi spie, rivali, avversari interni, nemici esterni, collaboratori drammaticamente incompetenti. E in più lo spettro della politica, le insidie degli special interest privati, le trappole dell’opinione pubblica e dei mass media.
Una combinazione tanto promettente quanto, sorprendentemente, realistica.
Space Force: la realtà dietro la finzione
Uno degli aspetti più sorprendenti e in fondo interessanti di Space Force è, infatti, la sua prossimità a fatti veri e vere situazioni della storia americana recente e meno. Cosa che, per inciso, fa anche capire i suoi limiti comici.
Un po’ tutti hanno raccontato, quando la serie è andata in onda, che nasceva come parodia di una delle più ridicolizzate decisioni di Trump. L’istituzione, appunto, della Space Force, a fine 2019. In realtà, come spesso succede, c’era una certa dose di superficialità sia nel tic derisorio sia nella ricostruzione della genesi storica.
Le prime discussioni sulla creazione di un servizio spaziale militare risalgono al 1958. In seguito, l’idea fu ripresa in considerazione all’inizio degli anni ‘80 da Reagan. Nel 2001, la Commissione spaziale ha caldeggiato la creazione di uno Space Corps. Tra il 2007 e il 2011 una proposta bipartisan al Congresso degli Stati Uniti ha fatto da preludio allo United States Space Force Act, promosso da un parlamentare Democratico e da uno Repubblicano, e poi firmato dal presidente Donald Trump. Insomma, una storia più complessa del “capriccio” dell’immobiliarista asceso alla Casa Bianca.
Non solo. Altri elementi raccontati nella serie trovano un riscontro piuttosto preciso nella realtà. Per esempio, la feroce rivalità tra l’US Air Force e l’US Army su quale servizio avrebbe ottenuto la responsabilità del programma spaziale militare. E le competizioni interne poi tra Space Force e Aeronautica militare. O il tema dei tagli di bilancio per i programmi spaziali, con cui si apre la seconda stagione. La crescente guerra strategica a bassa intensità tra Cina e USA, dopo quella storica con l’ex URSS. O ancora, le lusinghe irresistibili del settore privato agli impiegati migliori del settore pubblico.
La si può guardare? Sì. Ne vale la pena? Uhm.
Abbiamo definito Space Force un po’ una “commedia da ufficio” (workplace comedy) e un po’ una satira militare. Sulla carta: un incrocio tra The Office, e non solo per la presenza di Carell, e la leggendaria MASH. Ma solo sulla carta. Perché della prima non ha la levità, la demenza, la memorabilità di infiniti riuscitissimi sketch, il campionario splendido di umane sgradevolezze. Della seconda non ha la capacità surreale e graffiante di dissacrare i dogmi del militarismo.
Ci si potevano attendere risate feroci, un gran divertimento, una radicale smitizzazione di certi cliché dell’immaginario patriottico / tecnocratico. Il risultato, purtroppo, è un altro. Puntata dopo puntata, tutto scorre in una placida carineria. Senza mai essere particolarmente interessante.
E dire che ci si impegnano tutti. Carell, ottimo come sempre. Un fantastico Malkovich, qui valorizzato nella sua vis comica (già vista in Being John Malkovich, o nel folgorante omaggio – parodia ad alcuni personaggi iconici dell’immaginario lynchiano). Né si può imputare la delusione a scarsi mezzi: Space Force è produzione ricca. Particolarmente per una commedia. Con tanti esterni, buoni effetti, impegnative ricostruzioni ambientali e persino aerospaziali.
Il suo problema? Detto in tre parole: non fa ridere. O meglio: quasi mai. Perché quando ci riesce, mostra anche – ahinoi – tutto il potenziale che poi non ha saputo mantenere. Un esempio su tutti: la folgorante seconda puntata della prima stagione. Con il tentativo di salvare un velivolo, alla deriva nello spazio, potendo contare solo sul suo equipaggio: uno scimpanzé. E, forse, un cane. Uno dei pezzi di tv più divertenti da anni a questa parte, da lacrime agli occhi.
Ecco: guardate quella puntata, e poi anche basta. La serie, a dispetto del titolo, non ha forza. E non è spaziale.
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