Silicon Valley (2014-2019, in Italia su Sky e NOW) racconta le vicissitudini comiche di un gruppo di programmatori che vive nel centro dell’economia digitale (e non solo digitale…) globale. La zona a sud di San Francisco che tutti chiamano oramai per comodità appunto Silicon Valley.
Della Mecca dell’hi-tech, Silicon Valley è stata una parodia geniale ed irresistibile, capace di incidere sulla cultura del luogo. Con miliardari e startupper che guardavano scrupolosamente il programma ogni settimana. Raccontando – perfino con realismo – la follia lì imperante.
È andata così: dopo i primi episodi, chiunque nella Silicon Valley, soprattutto imprenditori e venture capitalist onnipotenti, si è sentito in dovere di prendere il telefono, chiamare il creatore della serie Matt Judge e dirgli come stanno le cose. È proprio per questo che, andando avanti con le stagioni, le storie diventano sempre più allucinanti. E, al contempo, basate sulla realtà.
Silicon Valley: una Idiocracy al quadrato
Conoscete Matt Judge, il creatore di Beavis and Butthead, cartone non irresistibile ma importante per il palinsesto di quella che fu MTV, un canale che mandava video musicali che non siamo sicuri esista ancora. Il suo talento nella satira sociale ha portato Judge a realizzare un film, Idiocracy, che è diventato di culto: in Idiocracy, un uomo mediocre veniva dimenticato ibernato per svegliarsi secoli dopo. Quando l’America era «regredita» ad una società composta e gestita da idioti totali, al confronto dei quali egli, uomo-medio nel XX secolo, appariva come genio. Qualcuno sostiene che Idiocracy sia un’opera profetica…
Silicon Valley, in realtà, è un’Idiocracy al quadrato. Non solo perché v’è nella trama una larga abbondanza di idioti (per esempio Nelson «Big Head» Bighetti, basso e stupidissimo, a cui però vanno bene tutte) che fanno cosa idiotissime. Ma perché ognuna delle idiozie raccontate sono tratte da storie reali.
Tutto vero!
È vero che in Silicon Valley molti dei vertici delle aziende sono sociopatici aggressivi, privi di qualsiasi umanità (si mormora fosse così anche quello famoso della Apple), se non persone affette dalla sindrome di Asperger.
È vero che ci sono finanzieri che progettano piattaforme marine extraterritoriali dove sperimentare sogni libertari. Vero che in Silicon Valley vi sono feste in costumi improbabili dove può capitare di imbatterti in gangsta rapper di ogni sorta. È vero che i graffitari che vengono a «decorare» le mura delle startup con le loro bombolette possono accettare pagamenti in equity (quello che si fece pagare così quando fu chiamato da Facebook agli inizi ha totalizzato con lo sbarco in borsa 200 milioni di dollari).
È vero che la California, come viene detto, è un Paese che può invidiare le libertà consentite ai cinesi, come il fumare liberamente. E che la California proibisce – severamente! – l’allevamento di furetti. Vero che in Silicon Valley se sei gay e cristiano devi tenerlo nascosto, perché sicuramente puoi essere gay, ma in nessun modo cristiano. Che i satanisti sono ovunque e generalmente tollerati.
È vero che i CEO di Silicon Valley si odiano e si sono attaccati piazzando cartelloni 6×3 davanti alla sede aziendale di chi vogliono canzonare o innervosire. È vero che esistono parole come «Decacorn» (società non quotata che vale più di dieci miliardi), «Brain Rape» (quando in un incontro d’affari scopri che vogliono solo rubarti l’idea o i dettagli sul processo di realizzazione), «Brogrammer» (ragazzo programmatore con cui si ha un rapporto di cameratismo), «Pivot» (cambiare la direzione della startup in seguito a feedback).
E se non è vero che esistono menu pesca-pescetarian (dieta per cui non si mangia nessuna carne e solo tipi di pesce che mangiano altri pesci) siamo certi che poco ci manca.
Così come è estremamente plausibile che qualche Amministratore Delegato abbia detto una frase come «non voglio vivere in un mondo reso migliore da qualcun altro».
Remember Russ Hannemann
In effetti, la galleria di idioti presentati è talmente forte che vale la pena di fare un’altra fermata: Russ Hannemann. Personaggio secondario, interpretato da Chris Diamantopoulos, un attore visto ne I Soprano, sarebbe ispirato in qualche modo a Mark Cuban, investitore e uomo NBA sempre molto in vista negli USA.
Hannemann è giovane e spavaldo, è diventato miliardario più o meno per caso, stravendendo una società durante la bolla degli anni Novanta. Ora fa l’investitore, sempre attento a non scendere sotto il miliardo di networth, perché lui quelle tre virgole (in America per le cifre si aiutano con le virgole, tipo 10 mila è 10,000) le deve mantenere. Se gli dovesse capitare di andare sotto gli toccherebbe una brutta macchina come una Maserati. Che ha le porte che si aprono orizzontalmente e non verticalmente o ad ala di gabbiano, cioè come nelle macchine dei miliardari.
A Russ Hannemann si deve la più sintetica panoramica morfologica del mondo gay mai tentata. Il donnaiolo, infatti, finito dentro ad una sua scurrile metafora, dimostra di sapere cose dettagliosissime sugli idealtipi omosessuali (S04E01).
«Un Twink, un Bear, una Otter, una Circuit Queen, un Chub, un Pub, un Gipster, un Daddy Chaser, un Leatherman, un Lady Boy, un Donald Duck». Un Donald Duck, cioè un «Paperino», spiega compito, è un gay appena buttato fuori dalla Marina.
«Come mai sai tutte queste cose sui gay?» chiede il protagonista Richard Hendricks, sbigottito. Lui risponde che suo nonno ha appena fatto outing, ed è stata un’esperienza bellissima, ispirante.
Il radicale realismo di Silicon Valley
Nel lungo periodo, la serie riesce a porre qualche questione sull’etica della tecnologia e del possibile avvento dell’Intelligenza Artificiale come minaccia, prima che all’umanità stessa, alla privacy.
La serie, terminata nel 2019, rafforzava la domenica americana del canale via cavo HBO, che per anni ha mandato in onda in quelle ore Game of Thrones. La verità è che era un complemento ideale alle tragiche crudeltà di Targaryen e soci. Un formato lieve (30 minuti) e soprattutto tante, tante risate.
I 53 episodi sono stati distribuiti in sei stagioni, che bene o male, hanno mantenuto sempre ritmo ed aspettativa, senza mai saltare lo squalo. Nemmeno quando sparì una delle colonne portanti dello show, T.J. Miller – che avete visto magari in Deadpool, Transformers 4… insomma la sua carriera è decollata. Anche la carriera del pakistano-americano Kumail Nanjiani (ora negli Eternals della Marvel) è partita da qui. La serie ha vinto una montagna di premi, compresi due Emmy. Matt Judge ha così consumato una sua piccola vendetta. A fine anni Ottanta lavorava nella Silicon Valley, dove, ha raccontato, gli sembrava di avere a che fare con androidi.
Elon Musk e Bill Gates, cioè il 1° e il 4° fra gli individui più ricchi del mondo, hanno elogiato la serie – che ripetiamo è satirica, surreale, idiotica – per il suo radicale realismo. Alcuni programmatori lo hanno esperito, invece che come una commedia, come una «meditazione» sul loro stato.
Rendiamoci conto che abbiamo un problemino: chi scrive i codici che regolano le nostre vite è totalmente separato dalla realtà. La qualcosa un po’ dovrebbe preoccuparci.
Giudizio: una satira e al contempo un affresco di quello che è, ahinoi, il centro del mondo. Da vedere, in relax.
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