Scissione (Severance), serie distopica in 9 episodi creata da Dan Erickson per la regia di Ben Stiller (Apple TV+, 2022) divide la critica. Per alcuni un capolavoro che rispecchia il nostro tempo. Per altri un’angosciante visione di un mondo impossibile.
Vi piacerebbe arrivare a casa e dimenticare completamente la vostra giornata di lavoro? La testa vuota, libera dagli affanni a cui spesso il vostro mestiere vi condanna?
E, parimenti, sareste felici di entrare nel vostro ufficio senza altri pensieri? Non avere né moglie né marito, né figli per la mente, neppure gli amici, o il cane… tutto resta fuori dalla porta, o meglio dall’ascensore che vi conduce quotidianamente al vostro posto di lavoro. Siete una cosa sola con il vostro compito: concentrati sul computer e sui vostri colleghi che per voi rimarranno sempre e solo compagni di ufficio.
Oppure trovate tutto ciò non solo impossibile, ma disumano, mostruoso?
Scissione racconta la storia di alcuni impiegati di Lumon, un’azienda che ha inventato un nuovo metodo per rendere massimamente produttivi i suoi dipendenti. La scissione (la “severance” del titolo originale) del loro cervello a cui alcuni di loro si sono sottoposti volontariamente prima di entrare a far parte della corporation.
Scissione: un chip neurale che separa lavoro e tempo libero
Al mattino, appena messo piede in Lumon, il microchip impiantato nel loro cervello dissocia completamente la vita personale da quella lavorativa. Ogni persona che si è sottoposta a scissione è inevitabilmente doppia: esiste un interno e un esterno accomunati solo dal corpo. E nessuno sa niente dell’altro. Uno sdoppiamento totale di personalità diviso nell’arco della giornata e apparentemente senza rischi.
Singolare che il termine “severance” in inglese si usi perlopiù figurativamente per indicare un ‘licenziamento’ dal posto di impiego. Lumon utilizza invece questo termine al contrario. Scissione è un sistema rivoluzionario che permette all’impiegato di non licenziarsi mai perché l’operazione sostenuta impedisce alle motivazioni private di contrastare gli oneri lavorativi.
Potrebbe sembrare una trama interessante ma non del tutto all’avanguardia: di microchip ficcati in cervelli e di impiegati al limite della dignità personale in un universo sempre più tecnologizzato ne abbiamo visti a bizzeffe. A partire ovviamente da Black Mirror.
Eppure la forza dirompente di Scissione non sta tanto nella sua storia, che resta senz’altro affascinante, ma nella sua realizzazione, nei dialoghi asfissianti e taglienti, nella sigla d’apertura che sembra -anzi è- un’opera di video arte, nella musica di Theodore Shapiro e nel cast che ci lascia senza fiato.
Cast, musica, scenografia, drammaturgia: tutto perfetto
La magnifica scenografia di Scissione – minimalista, in un retrò anni ‘80 da incubo – ci fa fin da subito capire che qualcosa non va. Lo spazio di lavoro consiste in un open space quasi vuoto e senza finestre a cui si accede ogni mattina attraverso un labirinto di corridoi. Al centro, quattro micro uffici sono occupati da Mark (Adam Scott), Helly (Britt Lower), Irving (John Turturro) e Dylan (Zach Cherry), che passano le loro giornate a ordinare numeri sui loro schermi, senza sapere perché. Devono raggruppare cifre ‘che fanno paura’ fino ad ottenere dei punteggi grazie ai quali riceveranno assurdi premi, come dei cappellini da festa e delle uova sode.
Al piano superiore, il loro capo, Peggy (Patricia Arquette), segue religiosamente le istruzioni di una direzione invisibile e loro sono costantemente monitorati, per non dire torturati, da un’inquietante e sorridente addetto al personale (Tramel Tillman).
La genialità della serie sta nel non rivelarci un accidente di niente: perché queste persone apparentemente normali si sono sottoposte a una simile procedura? Qualcosa sappiamo del protagonista, Mark, ma degli altri rimaniamo all’oscuro fino all’ultimo episodio.
Si, Scissione è un oscuro scrutare in un mondo che forse piacerebbe a Philip K. Dick. Perchè questo piccolo mondo, mezzo lobotomizzato, composto da passivi senza speranza o appassionati senza ragioni, nasconde ribellioni ontologiche che prendono il sopravvento con gesti calcolati ma deliranti. Portando lo spettatore in un universo che sta chiaramente per cadere a pezzi. Ma non sappiamo come, né quando.
Scissione parla dell’impossibilità umana ad essere mero ingranaggio
Ben Stiller, regista dell’operazione, non ha nascosto la sua gioia all’annuncio della conferma immediata di una seconda stagione.
“È davvero emozionante vedere la risposta che la gente ha avuto a questa serie. Il livello di coinvolgimento che genera! La strada è stata lunga per portare Scissione sullo schermo. Ho letto per la prima volta il pilota di Dan più di cinque anni fa. È sempre stata pensata per essere una serie multi-stagione, quindi sono davvero contento di continuare. Ave a Kier, fondatore di Lumon!”.
Dopo un inizio meccanico e sospettamente meticoloso, dove chiaro è il riferimento all’uomo macchina che vive in stanze tutte uguali, all’improvviso appaiono delle crepe a dir poco quantiche (come un uomo solo in un ufficio che allatta una trentina di caprette) e l’umanità, puntata dopo puntata, invade tutto. Lo spregiudicato desiderio di esistere, di avere e riconoscersi in un’identità, ha il sopravvento.
Scissione non parla di lavoro coatto ma dell’impossibilità dell’uomo di essere un ingranaggio senza personalità di un sistema. Lumon è, d’accordo, un postaccio inquietante. Ma non reagiremmo allo stesso modo anche in un paradiso, se fossimo privati dei nostri ricordi e affetti? Sia che spostiamo numeri su uno schermo senza saperne il motivo, sia che collezioniamo quadri (c’è chi fa questo di lavoro, in Lumen) il risultato è lo stesso.
Una scissione che non può durare, almeno per i nostri protagonisti.
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