Sanremo è un longevissimo fenomeno seriale, giunto alla sua 73^ stagione per diverse centinaia di puntate (serate). E più vicino allo spirito di una sitcom episodica che di una serie drammatica. Della situation comedy ha la ripetizione come struttura: non solo di anno in anno si ripete lo stesso schema narrativo, tutto sommato con poche varianti, ma addirittura all’interno della stessa edizione le serate si ripetono praticamente uguali, riproponendo la medesima scaletta musicale.
Quest’anno in sostanza vi sono stati 28 artisti in concorso: una quantità smodata di esibizioni ogni sera. Più il presentatore mattatore della serata. Con la sua dama di compagnia. Più gli ospiti: altri cantanti, attori, sportivi o personaggi pubblici a vario titolo. E infine l’esito delle votazioni. Questi gli elementi basilari della trama.
Vero protagonista è il conduttore, che è anche il direttore artistico del festival. Sta a lui scegliere quali saranno gli artisti per la gara, quali le donne e gli uomini dello spettacolo che interverranno nel corso della puntata.
I criteri delle sue selezioni sono tutti squisitamente televisivi, hanno poco o niente a che fare con la musica. Non è una visione snobistica dell’arte, ma una semplice considerazione di carattere pratico. Una considerazione che del resto vale per buona parte delle produzioni cinematografiche o anche discografiche: quelle produzioni che comportano un importante investimento economico e che hanno dunque l’obiettivo di incassare il più possibile. Ad ogni modo: criterio televisivo significa audience, né più né meno.
In questo senso Sanremo è il festival della canzone italiana generalista.
E in questo senso, dopo aver letto il manoscritto di Al Lecap dello scorso anno sull’edizione di Sanremo 2022, mi sembrano doverose alcune considerazioni. Che permettano di dare a Cesare quel che è di Cesare, e ad Orietta Berti quel che è di Orietta Berti.
La retorica di Sanremo
Ho la sensazione che Al Lecap debba essere un cantante escluso dal concorso di Sanremo. Oppure un critico intellettuale alle prime armi. Altrimenti faticherei a spiegarmi l’ingenuo attacco al festival nel suo complesso. Addirittura nella sua intera storia. Diceva un filosofo: l’unica cosa peggiore dei borghesi sono gli antiborghesi. Credo sia proprio così. Del resto sparare su Sanremo è come sparare sulla Croce Rossa, no? Ma cercando di andare con ordine, in modo da dare a Dioniso quel che è di Dioniso, e il resto ad Orietta Berti: è a tutti evidente che questo festival della canzone italiana è anzitutto un fenomeno televisivo. E come tale, segue le leggi della televisione.
Ora, le leggi del piccolo schermo – per lo meno quelle legate alla TV cosiddetta generalista – non sono molto dissimili da quelle di qualsiasi massiccia produzione, o di qualsiasi investimento nel mondo dello spettacolo. Sia questo un film per il cinema o un disco da vendersi nei negozi (lasciamo stare il grande cambiamento in atto con cinema e musica in streaming). Ovverosia: lo scopo è naturalmente il consenso, quindi l’audience. Recriminare su questo sarebbe, come dire, infantile.
Le cose stavano così anche per Caravaggio o Michelangelo, per Mozart o Beethoven. Dunque non deve stupire che il conduttore del festival ne sia anche il direttore artistico. Che a lui spetti la selezione iniziale che decreta gli artisti che saranno in gara. E che i criteri di questa selezione cerchino di interpretare lo spirito estetico del tempo. Che prevedano diverse componenti nel pubblico di telespettatori, cercando di soddisfarne le richieste e le esigenze.
“Dinosauri”, “giovani”, pop
Ecco perché ancora in concorso vi è qualche “dinosauro”, per usare le parole di Al Lecap: nemmeno tanti in verità, soltanto tre – immagino a monte vi sia stato un calcolo sulle percentuali delle fasce di età che seguono la kermesse. Né quindi può stupire che tanto spazio sia stato dato al fenomeno che nel pezzo è chiamato “glam pop” – ovvero a giovani artisti che incarnano il meglio della produzione popolare di questo periodo. Popolare, certo: perché pop non ha un senso buono e un altro cattivo (altra ingenua riflessione dell’autore). Pop / popolare significa già, per sua natura, che abbia in sé il meglio e il peggio che il commerciale improntato al successo possa offrire. Ciò non vuol dire niente rispetto alla caratura artistica del prodotto. Sanremo si nutre di esibizioni musicali come a suo tempo faceva Top of the pops: è chiaro che allora come ora la qualità del brano andava di pari passo con la presenza del cantante e/o del gruppo. Non è del resto la stessa logica sottesa a qualsiasi video musicale di quella che un tempo era MTV? Dov’è dunque lo scandalo? Al Lecap afferma pittorescamente il tutto essere normalizzato dal medium televisivo generalista, eppure nemmeno questa affermazione ha molto senso: cosa vorrebbe dire normalizzato? Sembrerebbe implicitamente suggerire che una reale esibizione artistica non possa essere mostrata nelle prime serate televisive. Il che significherebbe considerare artistico solo ciò che fa idealmente scattare una censura: ennesima conferma di una visione tutto sommato infantile di cosa sia l’arte e di cosa sia la televisione…
Sanremo: fiori, società, serialità
Per concludere: Sanremo è una fantastica vetrina di cosa le maggiori etichette discografiche nazionali abbiano da proporre sul mercato. Avviene spettacolarmente in televisione, seguendo le peculiari regole del mezzo. E di questo noi spettatori siamo tutti consapevoli.
Al di là quindi degli intrinseci meccanismi che presiedono all’elezione di questo o quel vincitore della gara, il paese che segue la kermesse è sufficientemente maturo per goderne pienamente, senza remore e senza idiotismi, magari di tanto in tanto canticchiando qualche orecchiabile motivetto presentatosi nel corso delle serate.
Perché allora tutto questo astio, tutta questa rabbia nei confronti di un fantastico festival floreale (per la sede e per le metafore), che è addirittura diventato specchio seriale della nostra società? Nell’arco di una settantina di stagioni, pur non comprendendone per intero la trama, abbiamo però – come in una tra le più longeve e magnificenti soap – potuto seguire la metamorfosi canora, estetica e addirittura sociale del nostro amato paese. E scusate se è poco.
Perché, si dica quel che si voglia, o lo si scriva anche su manoscritte minute, ma fuck! Sanremo è Sanremo.
Abbiamo parlato di Sanremo 2022 qui