Il Festival di Sanremo è la serie più longeva nella storia della televisione italiana? Se lo fosse, sarebbe unica nel suo genere: è infatti in diretta sulle principali reti di stato (Rai1 e Rai2) a partire dal 1955. Ma anche a vederla così, il suo genere di appartenenza (serie o soap?) è oggetto di accese discussioni. Manca infatti un arco narrativo generale che leghi tra loro le diverse stagioni. Allo stesso modo, trama e struttura delle singole edizioni sono quanto meno nebulose.
Quest’anno si è giunti alla numero 72 e la produzione critica si è accresciuta in tal misura che non stupisce il ritrovamento di una folle strampalata minuta manoscritta, casualmente rinvenuta poco tempo fa fuori da un cassonetto del teatro Ariston. Quella che state per leggere: una sorta di delirio poetico su Festival di Sanremo e dintorni. Forse frutto della disperazione di qualche autore presente alla kermesse? Forse un tentativo – psicotico, fallito miseramente – di rileggere la kermesse secondo le regole della critica televisiva?
Autore del bizzarro ritrovamento è il nostro fedele redattore Pacella, che si trovava da quelle parti per tutt’altre ragioni. Il testo misterioso presenta invece in calce una strana firma: Al Lecap.
Di seguito riportiamo fedelmente anche l’intero brano: lasciando a voi lettori ogni possibile giudizio e interpretazione.
Il misterioso manoscritto di Sanremo
Da che parte cominciare con il Festival di Sanremo – noto anche come Sanremo – si sa, è il Festival della Canzone Italiana, IL Festival, un rito collettivo, uno degli eventi televisivi e radiofonici più attesi e seguiti dell’anno, di ogni anno o quasi a partire dal lontano 1951, in quel di Sanremo per l’appunto, con tutti quei fiori metaforici e non, una settimana o quasi in quel di febbraio presso il teatro Ariston, che in TV sembra gigantesco ma che vi assicuro gigantesco non è, e una volta iniziato e finito l’ennesimo tripudio di banalità sentimentali e motivetti azzeccati che dire – immagino di questa storica competizione si sappia già tutto, no? tipo che si tratta di canzoni italiche inedite tra loro in gara, votate da giurie svariate – addetti ai lavori o furor di popolo che si esprime, a seconda dell’epoca, con il Totip o il televoto o gli sms e in futuro con ammiccamenti cerebrali chissà, vincendo le canzoni nelle proprie categorie d’appartenenza, a seconda delle edizioni, Big, Campioni o Artisti o anche Donne, Uomini, Gruppi e Classic, e in futuro di sicuro Transgender e Cisgender, senza dimenticare Giovani o Nuove Proposte che dir si voglia, e il Premio della Critica, creato nel 1982 apposta per la tormentata Mia Martini, e da allora istituzionalizzato perché ci si è accorti che non sempre la critica ci azzecca, oppure è il pubblico che non sempre ci azzecca, comunque sia i due non sempre vanno d’accordo, tranne forse che negli anni Ottanta dove l’utilizzo massiccio del playback avrebbe dovuto scontentare tutti in egual misura, o in ogni caso ricordare che questo festival in fondo è nato per incrementare il turismo nella stagione morta del comune ligure balneare e floreale – non a caso la prima a vincere fu Grazie dei fiori di Nilla Pizzi – con la benedizione delle case discografiche che da qualche parte i loro prodotti li devono pur promuovere, ed ecco allora gli anni ’50 e le canzoni tradizionali italiane di stampo ancora vagamente fascista, con testi Dio Patria Famiglia e l’Amore che fa male fa male fa male, del resto già il regime aveva dimostrato di avere orecchio per la musica leggera, ma senza farla troppo lunga ad un certo punto il blu si dipinge di blu con Modugno, e nel 1963 sic! già allora! si inaugura l’era Mike Bongiorno, e con lui arriva la rivoluzione di Mina, Celentano, Gino Paoli, Bobby Solo…
https://youtu.be/Dpn4kw-tv8Q
Insomma, andava tutto troppo liscio, doveva scapparci il morto – Luigi Tenco, 1967 – e da lì a Pippo Baudo il passo è stato breve, dannatamente breve, figuriamoci quello per giungere a Fausto Leali, Al Bano e Massimo Ranieri, 1968!, ripeto: Massimo Ranieri fa la sua apparizione nel 1968, ed è proprio così, time seems 2 pass, il tempo sembra passare, perché quindi stare a rovistare tra gli elenchi cercando vincitori e vinti fino ai nostri anni, diciamo soltanto che con l’arrivo di X Factor, Amici di Maria de Filippi & company (2009 o giù di lì), il palco di Sanremo smette i panni dei Ricchi e Poveri, Ramazzotti, Anna Oxa, Pooh, Riccardo Cocciante, per vestire – nel bene e nel male – quelli di Marco Carta, Valerio Scanu, Marco Mengoni, Emma Marrone… but that was then, this is now: nel 2022 vi sono stati tre meravigliosi dinosauri in gara, Morandi, Zanicchi, Ranieri (dopo 54 anni!), a confronto con un’allucinante pletora di supergiovani esponenti dell’attuale trap neomelodico – a testimonianza che anche il sottoscritto invecchia e come i vecchi bestemmia davanti al nuovo – anche se le mie bestemmie si devono proprio al fatto che nuovo non sembra, ma anche questa è una storia vecchia, no? torno allora con la memoria a Vasco strafatto, a Zucchero ultimo in classifica, così come i Bluvertigo e penultimi i Quintorigo, o viceversa, se uno ci pensa da che Sanremo è Sanremo serve a lanciare una carriera o a rilanciarla, i veri big della musica nostrana non hanno nessun bisogno di farsi vedere, tanto meno sentire, da quelle parti… parti che hanno da sempre il potere di appiattire qualsiasi profondità, che sia stilistica o linguistica, poetica o musicale, niente su quel palco dell’Ariston può essere realmente sconvolgente, tanto meno grandioso, figuriamoci, è in onda sulla rete ammiraglia della TV di Stato (proprio così, dato che dovrebbe essere pagata dalle tasse), non può quindi e non deve turbare la quiete salottifera della famiglia media nostrana, e questo significa che il Festival di Sanremo è realmente, come si dice, uno specchio della società italiana, lo è a partire dalla conduzione trita e ritrita di buonismo e ironia, sentimentalismo e ammiccamento, tutta all’insegna delle buone maniere ma sempre bisognosa di un qualche espediente improvvisato che faccia alzare gli ascolti – penso al Pippone nazionale che tanti anni fa dissuade un povero cristo dal gettarsi dalle balconate al più semplice divorzio in diretta tra Bugo e Morgan dell’anno scorso…
E che dire del dannato d’annata Grignani che vagando in stato allucinatorio per la platea alla ricerca di qualche segnale di vita, non trova altro che imbarazzo zombiesco, suscitando scandalo indignazione e perfidi commenti? Sanremo ha senso solo nella misura in cui non è pericoloso, e non lo è mai: per questo motivo, sulla ritrovata onda glam pop inaugurata giusto un anno fa da un brillante performer chiamato Achille Lauro, abbiamo in questa edizione assistito ad un impressionante andirivieni di mise particolari e outfit estremi, insomma costumi provocatori, che non provocano assolutamente niente; poiché ormai la TV ha da moltissimo tempo il potere di rimasticare e predigerire qualsiasi tentativo di fuga stilistica, il potere di sdoganare qualsiasi estetica rendendola innocua, trasformandola in un semplice prodotto di consumo, quindi paradossalmente questo Festival è soltanto l’ultimo degli show ad allinearsi col presente, sempre abbia ancora senso parlare di presente – e di presenza, in un contesto in cui è sempre e solo l’assenza a risplendere, perché per quanto talento abbiano gli artisti in concorso, per quanto potenti possano essere le loro esibizioni, per quanto ricercati e innovativi i loro brani musicali, il piccolo grande palco dell’Ariston, fagocitato dal piccolo grande schermo che brilla nelle nostre case, ha il sacro compito di normalizzare e di rendere popolare – nel senso più becero che qui pop possa avere – qualsiasi cosa lo attraversi, nel tempo e nello spazio che è la durata di un singolo festival e di tutte le sue 71 stagioni…
Vale sicuramente la pena scomodare il grande P.P.P. (alias Pier Paolo Pasolini) quando nel ’69 scriveva: “Il Festival di Sanremo e le sue canzonette sono qualcosa che deturpa irrimediabilmente una società.” – chissà cosa avrebbe detto della scorsa edizione, quella andata in scena in un teatro tristemente vuoto causa pandemia, chissà poi cosa avrebbe pensato del Fantasanremo, il gioco virtuale a punti che assegna alti punteggi nella misura in cui qualcosa di improbabile viene fatto o detto sul palcoscenico dell’Ariston, ragion per cui qualcuno si mette a fare flessioni, un altro a dire ‘papalina’, e se non si era capito abbastanza che ospite ed ospiti del Festival altro non sono che marionette dello show business, ecco un riprova del nove all’ennesima potenza, un fantastico motore immobile ed oscuro che spinge presentatore e cantanti a fare e dire cose assurde, più assurde delle solite azioni e dei soliti discorsi di rito intendo, solo per soddisfare le aspettative di un insensato gioco virtuale, che trasforma il telecomando del telespettatore in un vero e proprio strumento di fantastico potere, della serie: stiamo a vedere chi avrà il coraggio di dire ‘papalina’… oh my god, dal fascismo alle fasce d’ascolto, dalle band alle bende sugli occhi, dall’esibizione canora all’esibizionismo da poveri cani… in tutto questo carnevale dell’essere, rituale collettivo e fuga psicogena del singolo, di tanto in tanto accade – incidentalmente e in via eccezionale – di ascoltare della buona musica: dovesse capitare, non fateci troppo caso… perché Sanremo è Sanremo.
Sul pericoloso incrocio tra finzione e realtà, leggi il nostro articolo su I Love You Now Die