SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano è un documentario in 5 episodi (Netflix, 2020) che ricostruisce l’ambigua e controversa storia della più grande comunità europea di recupero per tossicodipendenti e dell’uomo che ne fu fondatore, simbolo e padre-padrone: Vincenzo Muccioli. SanPa, che è il nomignolo dell’arcinota comunità fondata nel 1978 sui colli di Coriano, in provincia di Rimini, è quindi il tema di questa docu-serie. Tema perfettamente interscambiabile con la persona di Muccioli, che fu al contempo oggetto di santificazione e di demonizzazione.
Scritta da Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli, con la regia di Cosima Spender, SanPa è stata la prima serie documentaristica italiana prodotta da Netflix, sull’onda dell’incredibile successo di prodotti come Making a Murderer e Wild Wild Country. Anche se uscita inizialmente in sordina sulla piattaforma, SanPa è divenuto in poco tempo un fenomeno seriale nostrano, grazie al passaparola e alla grancassa di quotidiani e televisione, nonché al giudizio favorevole della critica.
La storia di Muccioli e San Patrignano è raccontata attraverso l’utilizzo di testimonianze e immagini di repertorio: un lavoro di montaggio – durato 3 anni – maniacale e certosino, eseguito a partire da 180 ore di interviste ed immagini tratte da 51 differenti archivi, alcuni dei quali addirittura in Super8. Frutto dunque di una ricerca investigativa assai rigorosa, SanPa – pur riuscendo a raccontare con chiarezza e precisione molti passaggi dell’oscura storia della comunità – rifugge dalle schematiche semplificazioni, lasciando sospeso fino alla fine il giudizio.
SanPa – Sins of the Saviour
I 5 episodi sono altrettanti capitoli (Nascita, Crescita, Fama, Declino, Caduta) di un’epopea tragica di tipo shakespiriano, che inizia con la fondazione della comunità e finisce emblematicamente con la morte del suo fondatore. Nonostante San Patrignano sia ancora in funzione, essendo tuttora la comunità di recupero più vasta d’Europa. L’epica di questo racconto, priva di stabili riferimenti morali, si mantiene in bilico su un sottilissimo filo, su cui ballano assieme bene e male. E su cui deve misurarsi la capacità critica di ogni spettatore, chiamato infine a doversi confrontare con un paradosso storico. Un paradosso incarnato da un omaccione di 170 chili, sui suoi eccessi e sulle sue perversioni. Senza l’esistenza di Vincenzo però, la stessa sopravvivenza dei suoi accusatori in SanPa sarebbe molto probabilmente stata in forse. Non a caso, il sottotitolo inglese usato per la distribuzione internazionale è Sins of the Savior – ovvero Peccati del Salvatore.
Vincenzo Muccioli (1934-1995), figlio di agiati proprietari terrieri, fu un imprenditore per lo più fallimentare, con una passione per l’occultismo. Grazie al matrimonio, riuscì ad acquistare alcuni terreni nel comune di Coriano, in provincia di Rimini. E lì, nel ’78, e nella strada che ha il nome di San Patrignano, accoglie i primi giovani ospiti eroinomani. Non chiede soldi in cambio. E non offre alcun tipo di assistenza medica o psicologica. Chiede però di lavorare duramente. E di credere in lui. Pare anche, in virtù dei suoi trascorsi occultisti, di essere convinto di poter propagare un raggio cristico curativo a chi gli sta accanto. Qualche sberlone, almeno agli inizi. Perché poi le cose peggioreranno drasticamente.
SanPa e la generazione degli zombi
Alla fine degli anni ’70 lo Stato sostanzialmente si disinteressa al fenomeno dei tossicodipendenti. Questi sono anzi visti come derelitti emarginati, senza alcuna possibilità di recupero. Costretti, per mantenere la propria dipendenza, dapprima ai furti in casa e in seguito a scippi e rapine, prostituzione e quant’altro, il loro destino pare già segnato: carcere o morte per overdose. Muccioli si pone quindi da subito come figura messianico salvatrice di una generazione altrimenti perduta. Questo lo trasforma velocemente in una sorta di leggenda vivente, soprattutto tra i disperati familiari dei tossicodipendenti, che vedono in lui l’unica vera alternativa possibile per la salvezza dei propri figli. Numerosi i benefattori che sostengono economicamente il progetto: su tutti i Moratti. Così il casale sulla collina di San Patrignano aumenta in poco tempo e vertiginosamente il numero di ragazze e ragazzi ospiti.
Tra fine anni ’70 e per tutti gli anni ’80 l’ondata della droga pesante chiamata eroina ha invaso diversi paesi europei, tra cui l’Italia, creando la generazione dei cosiddetti zombi. Al tempo il paese era totalmente impreparato a gestire un fenomeno di una portata così vasta. A prescindere dalla concreta ignoranza in materia, sia in campo farmacologico che in quello psicoterapeutico, la società considerava il drogato come un irrecuperabile reietto, relegandolo ai suoi margini. Gli zombi avevano così invaso parchetti e marciapiedi, e bisognava tenersene distanti se non si voleva correre il rischio di essere da loro rapinati.
Il contesto di SanPa
In ambito cinematografico i film più noti sull’argomento eroina sono indubbiamente Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (1981), Trainspotting (1996) e Requiem for a Dream (2000), che raccontano rispettivamente gli anni Settanta, gli Ottanta e i Novanta, tra Berlino, Edimburgo e New York. Mancano però, e non solo in Italia, serie che abbiano la tossicodipendenza come tema centrale. A pochi giorni dalla sua uscita, SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano è diventato virale. Come se la docu-serie avesse scoperchiato la tomba di una memoria sepolta da anni, un rompicapo che si è voluto dimenticare. Perché anche i più agguerriti detrattori non possono negare le migliaia di vite che la comunità ha negli anni salvato.
SanPa è dunque una storia emblematica e problematica al contempo: una di quelle storie che appartengono ad un recente passato con cui il nostro paese tuttora fatica a confrontarsi: Craxi, Ustica, la P2, il caso Orlandi (vedi il nostro pezzo su Vatican Girl)… Questo il contesto in cui si inserisce la figura di Muccioli, visionario filantropo e padre padrone di una realtà che si fa carico di quanto viene rifiutato dalla società, con una politica che a tale riguardo non vuole assumersi alcuna responsabilità.
Vincenzo Muccioli colma dunque con San Patrignano un vuoto politico e istituzionale. Negli anni ’70 la legge sulle droghe equiparava spacciatori e consumatori, mettendoli sullo stesso piano giudiziario. Nel 1975 il dibattito sull’epidemico dilagare della tossicomania porta alle prime somministrazioni di metadone in appositi centri statali.
Il Cenacolo e le iniezioni d’amore
Il drogato è ancora tendenzialmente visto come una sorta di malato mentale, un reietto senza speranze. Ma Muccioli esclude fin da subito la terapia con il metadone, optando invece per agopuntura, tisane e massaggi (sic). Non oso immaginare cosa voglia dire affrontare una crisi d’astinenza con le suddette “iniezioni d’amore”, come il guru amava chiamarle. Del resto il carismatico Vincenzo aveva dato inizio al tutto con un ristretto gruppo di discepoli (dodici: numero significativo) – detto il Cenacolo – con cui effettuava sedute spiritiche e altri piccoli rituali da setta messianica… Tra stimmate autoinflitte ed ammaliante carisma, il piccolo nucleo di adoratori del santone crebbe a dismisura in pochi anni, arrivando a diverse migliaia di giovani.
Muccioli aveva capito che le piazze riminesi e non solo strabordavano di disperati e disprezzati zombi, tutti bisognosi di salvezza, oltre che di un tetto e di un pasto caldo… Tutte cose che lui offriva, ricordiamo, senza il minimo ritorno economico, anzi, spesso rimettendoci. La cittadina, sempre più bisognosa di infrastrutture basilari, sopravviveva grazie alle generose donazioni, in particolare della famiglia Moratti.
Con l’arrivo degli anni Ottanta si assiste al fenomeno dell’AIDS a causa del quale, in quel primo periodo, i sieropositivi venivano trattati come lebbrosi. E San Patrignano naturalmente apre le sue porte a quei lebbrosi. Oltre che a chi è in carcere per detenzione di sostanze stupefacenti e fa richiesta di poter scontare la propria pena nella comunità. Muccioli è quindi il buon samaritano che, senza chiedere niente in cambio, accoglie tossici, sieropositivi e carcerati. E però, circolano anche strane storie su San Patrignano: oppressione, omertà, minacce, reclusioni, violenza fisica e psicologica, persino catene…
SanPa: ogni essere umano ha una sua verità sfuggente
Con il moltiplicarsi dei tossici in cerca di guarigione, iniziano anche i primi sospetti e le prime accuse, che presto sfoceranno in veri e propri processi. A San Patrignano si usano violenti metodi coercitivi, ad opera di una gerarchia manesca e autoritaria, sempre più fuori controllo. Ci scappa addirittura il morto. O meglio, i morti. Ma Muccioli tira dritto a testa alta, apparentemente invincibile. Almeno fino a quando non viene denunciato dal suo stesso cerchio magico. Diventa uno dei personaggi più chiacchierati e discussi d’Italia, soprattutto nei seguitissimi talk show e salotti televisivi vari. Si ammala, e le sue condizioni si aggravano velocemente. Alla sua morte, a soli 61 anni, avvenuta nel 1995, è all’apice della sua popolare impopolarità.
Il salvatore di un’intera generazione era diventato un despota misogino e megalomane. Viene presto dimenticato, praticamente rimosso dalla memoria collettiva e da quella dei politici che tanto l’avevano sostenuto. Fino all’uscita di SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano.
“Ogni essere umano ha una sua verità sfuggente” dice Fabio Cantelli Anibaldi, ex ospite della comunità con laurea in Filosofia, per anni responsabile delle pubbliche relazioni di San Patrignano. La sua voce, tra quella degli intervistati, è indubbiamente la più lucida e tagliente. Cantelli fa ovviamente riferimento all’enigmatica, spaventosa e straordinaria figura del fondatore. Un uomo che, nella sua imponente stazza, riassume in sé le tensioni e le contraddizioni di una narrazione in cui Bene e Male non sono soltanto relativi, ma addirittura dispersi, quasi privati del loro senso.
Sostenitori e detrattori di SanPa
La verità che SanPa cerca dunque di perseguire è in una zona grigia ed ambigua come poche. Ma ciò che rende realmente avvincente questo documentario è la sua volontà di distinguere tra fatti e miti, tra opinioni partigiane e dati concreti. Netflix ha comunque regole assai rigide in materia, tipo il divieto di effettuare imboscate (modello Striscia la Notizia) e l’obbligo di corroborare ogni fatto con almeno tre diverse fonti.
“Essere dei pallosissimi precisetti, scontenti cronici e polemici cagadubbi, a volte paga” – così l’autore, Carlo Gabardini. Eppure la volontà di essere imparziali ha scatenato critiche a non finire, soprattutto da parte di chi considera SanPa come una tendenziosa “gogna postuma” a danno di Vincenzo Muccioli. Ma questo è un lavoro che, lungi dall’esprimere giudizi (manca ad esempio la classica voce narrante), non è orientato né verso la reificazione né verso la beatificazione. Lascia piuttosto che a parlare siano gli ex tossici ospiti della comunità e altre persone a vario titolo vicine al grande capo.
Oltre al sopracitato filosofico Cantelli Anibaldi, viene ad esempio intervistato Walter Delogu, ex autista e guardia del corpo di Muccioli, dai fanatici di SanPa ribattezzato ‘il traditore zero’, perché fu il primo a denunciare gli abusi all’interno della comunità. Tra i sostenitori vi sono invece Andrea Muccioli, figlio di Vincenzo, che guidò San Patrignano dalla morte del padre fino al 2011, e Red Ronnie, il noto giornalista musicale che ancora oggi difende a spada tratta la comunità e il suo fondatore.
Fascino e paura per il condottiero controcorrente
Ad ogni modo San Patrignano ha bollato il documentario come “sommario e parziale, con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori”. Il figlio di Muccioli, Andrea: “non è un documentario, ma una fiction. Cerca l’effetto ‘pulp’ creando più ombre possibili intorno alla figura del protagonista. Ci riesce benissimo, ma ne falsifica la storia e il pensiero”. Queste critiche dimostrano il persistere della logica “con noi o contro di noi”, che fin dagli inizi ha caratterizzato San Patrignano. Una logica impostata contro le critiche dall’esterno ma anche contro i dissensi interni alla stessa comunità.
L’autore Gabardini ha dichiarato al Corriere della Sera: “Se San Patrignano ci avesse riempito di lodi dicendoci: grazie, avete realizzato uno splendido spot per le nostre convention!, sarei stato molto preoccupato. Quella che abbiamo voluto proporre è una storia che aveva bisogno di essere raccontata, ed era doveroso riportare anche nei confronti di quanti ne sono stati protagonisti…”
Servendosi dei contributi di questi protagonisti e di un elaborato montaggio, in questa docu-serie prende vita un’articolata riflessione su un microcosmo che rappresenta un’intera epoca e un intero paese. Un paese affascinato dal condottiero controcorrente e da lui altrettanto spaventato. Un paese sempre più influenzato dal medium televisivo, che ne plasma l’opinione pubblica e il sentimento popolare. Le polemiche sui metodi burberi in uso presso la comunità si scontrano con i dati statistici sull’efficacia terapeutica della permanenza a San Patrignano. Ma quali dati? A detta di chi lavorava nel settore informatico della comunità, era la stessa a fornirli, dopo averli rivisti e corretti in proprio favore.
https://www.youtube.com/watch?v=wx8od36tsJs&ab_channel=Notizie.it
Limiti e divieti in SanPa
Ciò comunque non cambia la domanda essenziale: “quanto male si può tollerare per fare del bene?”. Strano, a ripensarci oggi, come questa fosse in fondo la domanda chiave anche per l’ambiguo e spesso oscuro agire politico di Giulio Andreotti, al massimo del suo potere proprio in quel periodo (come si chiede ne Il Divo di Paolo Sorrentino). Catene e cazzotti vissuti come male necessario affinché il percorso di guarigione avesse buon esito…
Questa la contraddizione di una realtà prodotta dal crescente delirio di onnipotenza di un uomo che si credeva un secondo Cristo. Un uomo che amava considerarsi come il padre di figli scapestrati e di pecore smarrite. Verso il quale anche gli ex ospiti oggi più critici si sentono in buona parte riconoscenti… Un uomo che ebbe la brillante intuizione di affidare il percorso dei nuovi arrivati a chi quel percorso l’aveva già compiuto. Ecco dunque che un veterano era chiamato a stare accanto ad un nuovo arrivato 24 ore su 24.
Le regole di SanPa consistevano soprattutto in divieti (ad es. il caffè) e limitazioni (ad es. le sigarette consentite al giorno). Divieto di ricevere visite durante il primo anno di soggiorno. Divieto di avere rapporti sessuali con altri ospiti (sulla presunta propensione sessuale di Muccioli per i giovani maschi della comunità, il documentario glissa elegantemente). “Scrivete quando volete e quanto volete, non è un problema. Ricordatevi, però, che io le lettere le apro tutte!” diceva candidamente il padre di questa grande famiglia. Vietato quindi esprimere sentimenti negativi o critiche nei confronti della comunità, pena la cestinazione della missiva. E soprattutto è vietato cercare di fuggire da san Patrignano: si veniva rincorsi, inseguiti, riacciuffati, recuperati, riportati dentro – e rimessi in riga. Con tanto di punizione.
Il processo delle catene e il delitto Maranzano
“Quella è San Patrignano, la comunità: vedete quanto è grande? È come una piccola città. Se entrate lì dentro, state sicuri che non uscite più.” Questa la classica minaccia che si faceva, passando da quelle parti, ai giovanissimi in odore anche solo di erba… SanPa ci racconta dunque una struttura fortemente illiberale e repressiva, in cui era vietato fumare, bere caffè, fare sesso, scrivere liberamente. Da cui era vietato uscire. Che usava botte e catene, assieme a massaggi e tisane, per far superare le crisi d’astinenza. In cui era vietato dissentire dalla sacrale autorità di Muccioli. Che si autorizzava da sé ad impiegare i mezzi che riteneva opportuni, per guidare i suoi figlioli prodighi sulla via della salvezza. Con buona pace dei veri genitori. E della società tutta.
Nel 1980 i Carabinieri entrano nella struttura e trovano alcuni ospiti incatenati e rinchiusi in un canile. Muccioli viene arrestato e processato (il processo delle catene): condannato in primo grado, viene poi assolto nei due successivi gradi di giudizio. Il 7 maggio del 1989 viene invece ritrovato in provincia di Napoli il cadavere di Roberto Maranzano, ospite della comunità, pestato a morte. Pochi anni dopo qualcuno confessò di aver assistito alla morte di Roberto, bastonato da tre veterani di SanPa. Il suo cadavere venne portato a Terzigno per depistare le indagini. Muccioli, assolto dal reato di omicidio colposo, venne condannato per favoreggiamento. Ma gli fu incredibilmente riconosciuta l’attenuante per “l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale”.
Tre suicidi e un nastro d’argento
Tre persone – Natalia Berla e Gabriele de Paola nel 1989, Fioralba Petrucci nel 1992 – morirono suicide, gettandosi dalle finestre delle celle in cui erano state rinchiuse per punizione. Nel corso del processo che ne seguì, finito con assoluzione per tutti gli imputati, emersero testimonianze che raccontavano violenza, soprusi e corruzione. Nonostante questa ondata di scandali, Vincenzo Muccioli non perdette mai del tutto il sostegno popolare. Del resto lui diceva d’aver soltanto fatto quanto gli veniva chiesto dagli stessi tossici. Secondo lui, erano loro a pregarlo di non farli uscire. Verosimile. Ma se hai in tuo completo potere una persona, non sta forse a te porre i limiti di tale dominio? Ancora una volta: quanto male si può fare in nome del bene?
Una curiosità: SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano ha vinto il Nastro d’Argento nel 2021, nonostante il premio fosse riservato esclusivamente a film usciti nelle sale cinematografiche. La motivazione afferma che: “occupandoci però con attenzione di ‘cinema del reale’ abbiamo deciso di superare il tema del ‘formato’ perché non avremmo potuto dimenticare nel nostro palmarès un’inchiesta approfondita e documentata come quella a cui abbiamo assistito”.
Un eccezionale documentario sulla tossicodipendenza: Life of Crime
Potrebbe interessarti anche – Making a Murderer: l’irruzione del true crime nella realtà