Miniserie in 2 episodi del 2015 prodotta da National Geographic, Saints and Strangers ci porta nel Nuovo Mondo. Anno: 1620. Una nave carica di un centinaio di disperati sta per sbarcare in una terra ostile.
A bordo della Mayflower ci sono i Santi, un gruppo di Puritani scappati dal loro paese natìo a causa della fede. E gli Stranieri, un misto di fuggiaschi e avventurieri che poco avevano da perdere nel vecchio mondo.
Una volta toccata terra, avranno a che fare con uno sciagurato inverno che si porterà via la metà di loro: ma la popolazione indigena, dopo molte perplessità, deciderà di aiutarli. La tribù di Wampanoags fornirà loro le prime indicazioni per coltivare le piante locali e grazie a questo prezioso aiuto Santi e Stranieri sopravviveranno. In cambio aiuteranno i Wampanoags contro nemici locali.
Il patto verrà suggellato da un grande pranzo di ringraziamento tra immigrati e nativi. Fu il primo vero Thanksgiving, il Giorno del Ringraziamento che tutt’oggi si festeggia in tutta America.
Un quadro anti-epico dei conquistatori venuti dall’Europa
Saints and Strangers è stata accolta dalla critica con entusiasmo. Anzitutto non ha nulla di epico, ma si limita a narrare i fatti. Parte con una lunga e penosa ricostruzione degli ultimi giorni in nave: ammassati, sporchi e belligeranti tra loro, i ‘migranti’ arrivano a destinazione. Non esattamente quella prevista; avrebbero infatti dovuto raggiungere altre colonie, ma non ce l’hanno fatta. Senza cibo scendono dalla Mayflower e nel freddo autunno presagiscono ulteriori stenti.
La star di Mad Men (cui abbiamo dedicato questo articolo e questa puntata del podcast) Vincent Kartheiser interpreta il pellegrino William Bradford. Un uomo che avrebbe poi fondato e governato l’insediamento della Colonia di Plymouth. Kartheiser dice che il suo personaggio e la lotta dei pellegrini per la sopravvivenza gli hanno insegnato il vero valore della festa che celebra da sempre.
“I Pellegrini sono arrivati senza nulla, sono sbarcati in inverno, hanno dormito al freddo e si sono ammalati, eppure erano grati. Questo è il senso del Ringraziamento. Ho un vero apprezzamento per quello che hanno passato e per il loro stato d’animo.”
Quindi anzitutto in Saints and Strangers c’è un quadro ben diverso dei “conquistatori”. Sono una manciata di gente ridotta allo stremo che non sarebbe sopravvissuta senza l’intervento della tribù dei Wampanoags.
La complessità linguistica di Saints and Strangers
E qui si apre un altro capitolo, senz’altro il più interessante di questa miniserie. Gli indiani, divisi in tribù, parlano la lingua originale dell’epoca, il western abenaki. Tutti gli attori che interpretano i nativi hanno dovuto imparare in fretta e furia, grazie ad un dialect coach, questa lingua praticamente estinta. La lingua di Pocahontas, per capirci.
Saints and Strangers è per metà sottotitolata e i dialoghi degli indiani sono estremamente consistenti. Ci permettono di capire le loro angosce miste a pietà per i pellegrini. Li osservano da lontano morire di fame e di stenti. Che fare, restare a guardare morire donne e bambini? Inoltre questi stranieri hanno armi e capacità belliche, potrebbero tornare utili contro i nemici locali. Esitano a lungo, terrorizzati soprattutto dalle malattie che la gente d’oltremare portava. È risaputo che la maggior parte degli indiani morì a causa dei morbi europei contro i quali non avevano anticorpi.
Ruolo essenziale nella storia è quello del mediatore Squanto, interpretato dall’attore Kalani Queypo, membro fondatore del Comitato Nazionale Indiano Americano. Squanto fu un indiano effettivamente esistito che una decina d’anni prima dell’arrivo dei pellegrini era stato rapito da altri europei, ridotto in schiavitù e portato prima in Inghilterra e poi in Spagna. Era poi rocambolescamente ritornato nelle sue terre d’origine scoprendole però macchiate inevitabilmente di sangue. I colonizzatori avevano ucciso tutta la sua tribù costringendolo a vagare fino ad arrivare nel luogo dei Pellegrini.
Farà da interprete tra i superstiti della Mayflower e le tribù locali, spesso mettendosi in una posizione di doppiogioco, falsando le traduzioni a suo vantaggio e facendoci comprendere le sfumature d’intenti dei nativi.
Uno scavo affascinante e originale delle due parti
Questo complesso e lungo tuffo nella lingua antica locale può senz’altro risultare pesante allo spettatore, che tuttavia solo grazie a questo può davvero immergersi (almeno un po’) in quello che era stato uno dei maggiori problemi tra i due “mondi”: il linguaggio.
L’attore Queypo in varie interviste ha raccontato il suo entusiasmo per questa produzione, in grado di portare in vita la storia della comunità dei nativi americani:
“Si respira il forte impegno nel dar vita a una sceneggiatura che analizza le difficoltà e le piccole vittorie di queste persone. Persone che volevano fare qualcosa di grande, ma non sempre hanno preso le decisioni migliori. È la nostra storia, bella o meno. È una parte importante di ciò che siamo come americani.
Nella storia del cinema ci sono caricature dei nativi americani grossolane, e che la gente purtroppo accetta come verità. La serie è stata un’opportunità per far rivivere una storia che è multidimensionale e riguarda persone sofisticate con sentimenti. E un’opportunità per me di far parte di un racconto che non ha solo integrità e verità, ma anche umanità”.
Saints and Strangers rimane uno dei pochi documenti tutt’ora prodotti su questo capitolo di storia che per molti secoli è stato bistrattato e falsificato. Nonostante la sua dimensione un po’ didattica la miniserie resta un importante momento di studio delle tradizioni e atteggiamenti di ambo le parti. Una complessità che risulta ancora difficile da digerire, soprattutto in America.
Saints and Strangers e il politicamente corretto
Il mese scorso mi trovavo a New York con mia figlia di quattro anni che come quasi tutti quelli della sua età ama i dinosauri. Tappa obbligatoria: il Museo di Storia Naturale che da fine 1800 troneggia nell’upper west side di Manhattan. Assecondando l’entusiasmo filiale mi sono ritrovata a vagare per corridoi e corridoi di fossili, animali ricostruiti veri o finti e altre Mirabilia.
Ad un certo punto ci siamo infilate nella sezione delle “ricostruzioni” di scene naturali. Dentro teche debolmente illuminate, animali imbalsamati e “oggetti di scena” misti a natura finta davano vita a scene di lupi nella foresta, serpenti nel deserto, orsi polari nel ghiaccio e così via. Ad un tratto, dentro una delle teche che doveva contenere animali, c’era invece questa singolare composizione. Un gruppo di europei vestiti “alla moda”, attorniati da case ordinate e mulini a vento, il grande oceano di fondo, accolgono dei nativi indiani che, a petto nudo e cresta in testa arrivano portando verdure ed altri regali. Le loro donne seminude cariche di ceste camminano a testa bassa. Un evidente stereotipo del Giorno del Ringraziamento, come ce lo rifilano da sempre. Il glorioso gruppo di pellegrini europei che ha rischiato la vita per arrivare nel Nuovo Mondo e ora festeggia coi nativi. Selvaggi, pronti ad essere colonizzati.
Ma una gigantesca scritta è stata di recente aggiunta all’interno della teca, sopra le teste dei protagonisti: RECONSIDERING THIS SCENE. Riconsideriamo questa scena, dicono. L’incontro del 1660 tra pellegrini e nativi voleva celebrare i fondatori del nuovo mondo. Ma la scena offre solo stereotipi ed ignora quanto violenta sia stata in realtà la colonizzazione. Insomma, il museo invece di togliere la teca ha aggiunto una bella scritta politicamente corretta.
Fortunatamente Saints and Strangers fa di meglio.