Riviera è una sfarzosa e sconclusionata serie televisiva britannica in tre stagioni (2017-20), per un totale di 28 episodi disponibili in Italia su Sky e su Now TV, nata da un’intuizione di Paul McGuinness (ex manager degli U2!) e scritta da Neil Jordan (The Crying Game) assieme allo sceneggiatore John Banville.
Lo show nasce dunque inizialmente sotto la buona stella di un premio Oscar (il sopracitato Jordan) e la produzione può altresì contare su un enorme budget e sull’irresistibile fascino glamour della location (che in realtà rimarrà tale solo per le prime due stagioni), ovvero la Costa Azzurra. La terza stagione, proseguendo con ammirevole perizia le orme dell’inarrestabile delirio narrativo, verrà invece ambientata tra Inghilterra, Italia e Argentina.
Last but not least, un cast di tutto rispetto: dalla protagonista, Julia Stiles (Dexter) a Lena Olin (Alias); e poi Iwan Rheon (Il Trono di Spade), Anthony LaPaglia (Senza Traccia), Adrian Lester (Hustle), Rupert Graves (Sherlock), Will Arnett (Arrested Development) e il nostro Maurizio Lombardi (The Young Pope)…
Riviera: dark drama o soap anni ‘80?
Gli ingredienti sembravano quindi esserci tutti, eppure qualcosa in cucina è andato per il verso sbagliato: lo stesso Neil Jordan ha rinnegato la paternità del risultato finale – il riferimento nello specifico è ai primi due episodi, poco dopo la loro presentazione – affermando che l’idea sua e di Banville era stata completamente stravolta in fase di produzione, tanto da trasformare Riviera “da un dark drama ad una soap stile anni ’80”.
E in effetti, l’atmosfera da soap opera si fa pesantemente sentire fin dalle prime battute: dato per morto il miliardario e collezionista di opere d’arte Constantine Clios (A. LaPaglia) dopo l’esplosione del suo yacht, la seconda moglie Georgina Marjorie Ryland Clios (J. Stiles), una curatrice d’arte americana, indagando per suo conto, scopre gli oscuri segreti del marito, svelando un mondo di menzogne, affari sporchi e corruzione, che ben presto costringerà la sua esistenza in una spirale di violenza e omicidi.
Accettando la difficile convivenza nella lussuosa villa da mille e una notte, di cui ora è proprietaria, con la prima moglie Irina (L. Olin) e i suoi tre debosciati figli – Adam (I. Rheon), Christos (D. Leonidas) e Adriana (L. Duran) – si ritroverà a dover fare da leonessa per proteggere sé stessa e la famiglia Clios da ricatti, rapimenti e minacce di morte…
E naturalmente, in questa retorica escalation da thriller, Georgina scoprirà una parte di sé – the dark side – che non avrebbe mai creduto di possedere.
Un crescendo surreale, fino alla follia della terza stagione
Questo è il riassunto della noiosa trama della prima stagione; da lì in poi la storia continua il suo surreale percorso attraverso una sgangherata sequela di colpi di scena mancati, che ha invero un fascino tutto suo: quello di mostrare fino a dove può spingersi la demenziale confusione creativa degli sceneggiatori, sempre più costretti a tappare vistosi buchi narrativi con altri buchi di dimensioni sempre più sbalorditive… Il risultato è il vuoto assoluto, in un’allegra insensatezza di switch e twist, riapparizioni dall’aldilà, psicotici cambi di personalità, servizi segreti ex machina, corvi portatori di inquietanti messaggi, e per finire un grandioso falò di indicibili capolavori pittorici – dalle ceneri del quale avrà inizio la corrida dell’assurdo, ovvero la terza stagione.
L’ultima parte della serie, infatti, oltre ad esistere inspiegabilmente (con la precedente si chiudevano i percorsi narrativi, per così dire, in modo compiuto) inizia tutta un’altra avventura: la protagonista, dopo aver appiccato l’incendio alla sua stessa inestimabile mostra, si ritrova un anno dopo ad insegnare storia dell’arte in un’università di Londra e a fare da consulente nel recupero delle classiche tele a suo tempo trafugate dai nazisti. Questo l’incipit di un mediocre intrigo fatto di complotti politici e farmaceutici, ricatti (vi è addirittura un antico amore proibito tra una donna e un sacerdote argentino), attentati al primo ministro, e psicopatiche assassine: il tutto – come si diceva – tra Londra, Venezia e Buenos Aires.
Riviera, tra teatro dell’assurdo e condanna morale della ricchezza
Meglio fermarsi qui, nella speranza di aver messo adeguatamente in evidenza l’anima da telenovelas (l’ambientazione argentina è inconsapevolmente più che azzeccata) che pervade in modo ellittico ed esponenziale Riviera.
La ricchezza: i paesaggi mozzafiato del Sud della Francia, le sontuose gallerie d’arte contenenti opere straordinarie, magioni e dimore da restare a bocca aperta, lussuose barche e auto, vestiti all’ultima moda, feste sfavillanti e scintillanti… è proprio questa la patina dello show, che fa al contempo da sfondo e da contenuto. Perché l’idea centrale è in fondo la stessa che fu di Dallas o di Dinasty, in altri tempi e altri luoghi: ovvero il marcio – morale e fattuale – sepolto sotto la facciata di lusso sfrenato che viene alla luce…
Non a caso tutto l’impero della famiglia Clios si fonda sulla proprietà di un’omonima banca: la ricchezza come massima colpa – questa l’amara consapevolezza a cui Georgina, nata povera, dovrà forzatamente giungere, anche se tra salti talmente illogici e assurdi da farci tutti comunque desiderare di essere miliardari senza troppe remore.
Fossi stato miliardario, non mi sarei di certo fatto i problemi che si fanno questi improbabili e implausibili personaggi…
Da guardare senza particolari problemi finanziari e con una particolare prospettiva da teatro dell’assurdo. O forse, meglio – da non guardare affatto.
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