One-Punch Man, guardabile qui su VVVVID, due stagioni (2015 e 2019).
Su una Terra fatta da un unico continente immani mostri e criminali di ogni tipologia seminano il panico: tuttavia senza danno permanente (a parte qualche città incenerita qua e là) perché esiste l’Associazione degli eroi, l’istituzione che gestisce i supereroi dividendoli burocraticamente in varie «classi» e assegnando loro lavori.
Saitama, un eroe non associato, proviene dalla città Z, dove compie atti eroici come hobby.
Il ragazzo, divenuto caratteristicamente calvissimo, si è allenato al punto da riuscire a sconfiggere qualsiasi nemico con un solo pugno (da cui il nome della serie, «L’uomo-da-un-solo-pugno»), ma la sua forza senza eguali lo fa cadere in uno stato di noia profonda che lo disturba.
Quando il giovane cyborg Genos si accorge dell’incredibile potenza di questo strano sconosciuto, chiede di divenire suo discepolo, e lo spinge a iscriversi all’associazione degli eroi, dove però la sua impareggiabile forza non viene riconosciuta, e anzi lo mettono nell’ultima categoria degli eroi, aumentando la sua frustrazione. Né i suoi simili, né il pubblico lo apprezzano: anzi, proprio non lo riconoscono.
Bizzarro e godibilissimo
One-Punch Man è senza dubbio alcuno la serie anime più godibile degli ultimi anni. L’unica per la quale, garantiamo, le ghignate partono a dovere – e questo anche se non si è fan del genere, e non si comprendono i lazzi nei confronti di tutto l’universo mangofilo che puntellano gli episodi.
È un prodotto bizzarro assai: nato in rete da un blog tenuto dal misterioso autore, ONE, che raggiunse milioni di visualizzazioni in poco tempo, fu trasposto su carta con la pubblicazione su tankōbon (raccolta di fumetti da 200 pagine che di solito in Giappone trovi in edicola o al supermercato) per poi, vista la popolarità massiva, essere trasposto in due serie da una dozzina circa di episodi (più qualche minisode) ora strimmabili qui su VVVVID.
Più che nella genesi bottom-up della storia, la bizzarria maggiore risiede nel contenuto, anzi, nella struttura dell’opera.
Invincibile e annoiatissimo
Si tratta di un tema noto al genere umano, quello dell’uomo invincibile: da Gilgamesh a James Bond, non abbiamo mai smesso di celebrare gli eroi indistruttibili. Tuttavia, anche gli epici metaumani dei racconti che si susseguono nei millenni soffrono – Gilgamesh piange la perdita dell’amico Enkidu come Achille quella di Patroclo, e James Bond, secondo la puntuale analisi di Umberto Eco contenuta ne Il Superuomo di Massa, arriva sempre ad un momento in cui sta per venire torturato belluinamente (ricordate il laser di Goldfinger? È il momento in cui tutti i cattivoni, in genere, confessano il piano…).
Saitama, il one-punch-man, no. È troppo potente per qualsiasi nemico, e ha finito per detestare questa cosa, perché non prova più interesse in qualcosa che è risolto in partenza.
Questo fa fare a questo anime una capriola praticamente mai vista: è un storia senza conflitto. Cioè, non siamo nemmeno sicuri che si tratti di una storia, quindi.
Bovarismo supereroico
Il conflitto lo vivono i personaggi secondari (Genos deve vendicare la sua famiglia, gli eroi associati sono una manica di scorbutici che si invidiano l’un l’altro, i nemici hanno motivazioni talvolta elaboratissime), ma giammai il protagonista, che pare trovare motivazione invece in cose come comprare la merce scontata al supermercato nel giorno giusto (come si vede nella scena qui sotto), vincere ai videogiochi di lotta, ricordarsi di portare giù la differenziata al momento della raccolta della spazzatura.
Quindi, tale situazione narratologicamente perversa è ottimale per raccontare il fenomeno della noia, che è un tema qui trattato come in poche altre opere attuali. Diciamo che siamo dinanzi a Madame Bovary se a Flaubert fossero piaciuti i supereroi manga. Tuttavia qui nessuno si prende sul serio e ci si vuole divertire. Ed Emma Bovary, che pure non stendeva con un unico pugno mostri titanici che distruggono la città, ha una vita infinitamente più complessa ed eccitante di quella di Saitama.
One-Punch Man: manga-critica dell’algofobia
La vita quotidiana di Saitama, priva di qualsiasi sfida, diventa quindi un tedio, un fastidio senza fine.
Non si tratta di un argomento leggero. La critica di One-Punch Man alla modernità è quella della Società senza il dolore di cui parla Byung-Chul Han in un pamphlet fresco di stampa per i tipi di Einaudi.
«Oggi imperversa ovunque una algofobia, una paura generalizzata del dolore. Anche la soglia del dolore crolla con rapidità. L’algofobia ha come conseguenza un’anestesia permanente. Si evita qualsiasi circostanza dolorosa», scrive il filosofo e teologo coreano-tedesco.
Alcuni decenni fa, lo studioso del dolore David B. Morris osservava che «gli americani di oggi appartengono probabilmente alla prima generazione sulla Terra che considera un’esistenza priva di dolore come una sorta di diritto costituzionale. Le sofferenze sono uno scandalo». La crisi degli oppiodi (di cui già vi abbiamo parlato per Breaking Bad e per Cobra Kai), dove milioni di persone consumano potenti antidolorifici che li portano al crimine e alla morte, ne è una diretta conseguenza.
Un’esistenza privata di conflitto ha implicazioni sociopolitiche nettissime.
«La “mancanza di alternative” è un analgesico politico» scrive Han. Il “centro” diffuso sortisce un effetto palliativo. Invece di discutere, di lottare per argomenti migliori, ci si abbandona alle imposizioni del sistema. Si fa cosí strada una post-democrazia. Una democrazia palliativa».
Di questo mondo anestetizzato, fatto di consumi domestici e progetti a brevissimo termine, dove l’individuo non conta più nulla e le decisioni vengono calate giù da burocrazie incongruenti, One-Punch Man è la satira più divertente che c’è in giro.
Senza conflitto né catarsi
La mancanza del conflitto produce un altro effetto furiosamente innovativo di questa serie: l’assenza totale di catarsi. Se non c’è lotta, se per l’eroe non c’è un problema interiore vero da risolvere, non può esserci il processo di purificazione del personaggio e del suo pubblico. È qualcosa di inconcepibile anche per il mondo dell’audiovisivo giapponese: da Mizoguchi a Candy Candy, da Kurosawa a Gundam, i finali delle opere nipponiche contengono spesso momenti di abreazione fenomenali. Chiunque abbia visto per intero una serie di cartoni giapponesi da bambino sa di cosa stiamo parlando. Anche il più insulso poteva possedere un finale da far piangere anche le pietre (un esempio a caso: Judo Boy, dove si incrociavano in un’agnizione improvvisa vendetta, amore, parricidio, perdono).
Per tornare a Byung-Chul Ham, «ci si scorda che il dolore purifica, emana un effetto catartico. Alla cultura della compiacenza manca la possibilità della catarsi».
È esattamente ciò di cui è alla ricerca l’improbabile, onnipotente guerriero pelato Saitama: dolore, purificazione. Anche se fare la spesa al supermercato, come si vede in vari episodi, mica gli dispiace.
Rivolta contro il mondo moderno
A pensarci bene, un’opera senza catarsi, tuttavia, è proprio ciò che serve ad un artista davvero libero (quindi, scevro di catene narrative imposte dal genere e dal mercato) per descrivere una società divenuta troppo anestetizzata, privata del conflitto e del dolore (che esperisce oramai solo in enormi disastri, esattamente come si vede in One-Punch Man), narcotizzata dai suoi ritmi blandi e dalla sovrabbondanza di beni di consumo alimentare (è davvero una rara serie dove i supermercati hanno un ruolo non indifferente) e di beni di consumo culturale (le partite ai videogiochi sono più importanti degli scontri con demoni nemici, tutto il culto pubblico degli eroi è una panzana buona solo per il pubblico che ne compra fumetti e action-figure).
Insomma, una bella critica radicale della società moderna, e tutto confezionato in episodi da 30’ minuti sempre divertentissimi, dove fa ridere anche solo il cambiamento di stile usato tra una scena e l’altra. Tra la prima e la seconda stagione c’è stato un cambio di casa di produzione, aspramente criticato dai fan, ma che a noi più di tanto non ha disturbato.
One-Punch Man, satira della noia
Le scene d’azione (quelle, ça va sans dire, degli altri personaggi) sono sempre eccezionali.
Ne vorremmo 50 episodi l’anno, dobbiamo accontentarci di qualche manciata di episodi esistenti prodotti nel corso di un lustro e passa.
Il cartone giapponese da vedere anche per i non-otaku, uno spettacolo scoppiettante per tutti (beh, forse non per i bambini, vista la violenza spesso parossistica).
L’allenamento seguito da Saitama ad un certo punto della prima serie viene rivelato. In rete ci sono sul serio persone che lo hanno replicato e mostrano i suoi effetti sul loro corpo.
Preparatevi ad essere un po’ delusi. Del resto noia e delusione sono due elementi di cui quest’opera eccezionale si fa beffe alla grande.
Giudizio: godibile, esilarante, intelligente. Classe e voglia di divertirsi. Unico.
Una diversa critica alla modernità: Cobra Kai