La miglior serie da guardare in questa metà 2021? Omicidio a Easttown, 7 puntate, appena conclusasi in Italia su Sky (e disponibile quindi anche su NOW).
Perché? Perché è matura, intelligente, complessa, e sa affrontare senza idealizzazioni la realtà. Perché non ha paura di un approccio anti-retorico, con cui riflettere in modo estremamente interessante e intelligente, e in parte originale, sul genere investigativo.
E perché offre, in un cast ottimo, una delle performance più eccezionali viste da tanti anni. Quella di Kate Winslet nei panni della protagonista, che nella versione originale dà anche, giustamente, il titolo alla serie: Mare of Easttown.
Una detective segnata dalle sconfitte, che cerca di risolvere un caso che la tormenta mentre, allo stesso tempo, tenta di salvare quel che resta della sua vita.
Di cosa parla Omicidio a Easttown.
Di solito all’inizio del racconto si dice: “nella ridente cittadina di… la vita scorre tranquilla”. Ma Easttown è una valle di lacrime, e lo vediamo chiaramente fin dall’inizio. Collocata nei sobborghi di Philadelphia, Pennsylvania, nell’America profonda che ha conosciuto la crisi verticale della de-industrializzazione, Easttown non è ridente neanche nei suoi giorni migliori.
Sulla piccola comunità, poi, incombe lo spettro angoscioso di un caso non risolto: la scomparsa di una ragazza, svanita un anno prima, mai ritrovata. La detective Mare Sheehan (Kate Winslet) ha indagato sul caso, ma senza successo: mettendo in crisi la sua immagine di brava detective.
E anche di eroina locale: 25 anni prima, era stata protagonista di un grande gesto sportivo, regalando alla squadra locale la vittoria nel campionato statale di basket liceale. Una piccola cosa altrove, ma non lì, dove ancora la chiamiamo con l’appellativo che si conquistò sul campo: Lady Hawk.
Oggi però Mare è una poliziotta disillusa, stremata, indurita dalla vita. La morte di un figlio adolescente, drogato e suicida, le ha lasciato in eredità un divorzio doloroso e un nipotino che cresce assieme all’altra figlia. Ma il bambino è conteso dalla madre, la ex compagna tossicodipendente del figlio di Mare, che ha iniziato una battaglia legale per l’affidamento del piccolo. Intanto l’ex marito si sta per risposare, essendo riuscito a fare ciò che per lei è stato impossibile: rifarsi una vita, andare avanti.
È in questo contesto che il brutale omicidio di una giovanissima ragazza-madre riapre il caso irrisolto e scatena nella cittadina tensioni, violenze, reazioni a catena.
Un’America senza sogni, tra alcool e miserie
Mare of Easttown, questo il titolo originale, è stata prodotta dalla solita pressoché infallibile HBO. Come True Detective, ha taglio anche concretamente autoriale: il creatore Brad Ingelsby, sceneggiatore americano di cinema e tv, ha scritto tutte e 7 le puntate; che sono state tutte dirette da Craig Zobel, regista che in TV si era fatto le ossa dirigendo episodi di alcune delle migliori serie degli ultimi anni: The Leftovers, American Gods, Westworld.
Il mondo di Omicidio a Easttown è una comunità di miserie, di storie individuali e collettive di sconfitte. Accomunata alla fine solo dal dolore – ma più spesso divisa dal rancore. Sotto il segno del fallimento. È l’America profonda, ed è uno shock per chi ancora pensa agli States secondo gli schemi di un immaginario che resiste, seppure ormai per inerzia: perché se uno cercasse tracce dell’American Dream, qui ne troverebbe solo brandelli. Ombre. Riflessi sfuggenti: come se venissero da un passato lontano, o forse come un falso ricordo.
Non ci sono sogni a Easttown: costano troppo, e nessuno o quasi se li può permettere. È un problema di povertà, una povertà quasi estrema e al contempo terribilmente diffusa. La classe media è scomparsa, travolta dalla crisi, travolta da decenni di progressiva, inarrestabile, de-industrializzazione.
Ma è un problema anche di ignoranza: così presente da poterla quasi vedere. La stessa che crea adolescenti che diventano genitori troppo presto: prima di essere in grado di prendersi cura di figli che diventeranno, come in una catena del fallimento,
Ed è un problema di alcool, e di cibo spazzatura. Pasti precotti anziché la cena tutti assieme. E al posto dei sogni, l’onnipresente bottiglia: che racchiude non la promessa del piacere ma la speranza dell’oblio.
La speranza vera, quella del riscatto, quella della fuga altrove, quella della crescita verso un futuro migliore, è poca e rara.
In un certo senso, Easttown è la degenerazione della Lynchtown, la ridente cittadina di provincia che nasconde oscuri segreti popolarizzata dalle opere di David Lynch: qui non c’è neanche la felicità e serenità di superficie di Twin Peaks, o della Lumberton di Velluto Blu. Forse assomiglia alla nuova Twin Peaks, quella della terza stagione del 2017, quella di un mondo sprofondato nelle tenebre, senza più torte di ciliegia e caffè fumanti a consolarci nella notte.
Un approccio anti-retorico al genere giallo
Proprio come la bella, fredda, fascinosa miniserie danese The Investigation (leggi qui il nostro articolo) ha fatto in tempi recenti, Omicidio a Easttown smitizza il genere giallo.
Da un lato ne destruttura la retorica e i cliché, a partire dall’eroismo del protagonista: qua, in modo esattamente contrario, una radicale anti-eroina. Mare non è solo una donna sconfitta dalla vita: è pure corresponsabile del degrado morale del mondo che abita. Una poliziotta capace senza pensarci sopra un secondo di commettere un reato gravissimo: nascondere della droga nell’auto della ex nuora ex tossicodipendente, per cercare di vincere la battaglia legale per l’affidamento del nipote, figlio del figlio che ha perduto anni prima. E si capisce facilmente, anche grazie alla meravigliosa potenza infusa al personaggio da Kate Winslet, che questa detective è capace di brutalità, di durezza estrema, persino di violenza.
Ma dall’altro lato c’è anche la mortificazione della valenza terapeutica o meglio catartica del giallo. Quell’idea, che è vecchia almeno come lo Sherlock Holmes di Conan Doyle, per cui il delitto è come una ferita nel corpo sociale: e l’indagine razionale del detective è un modo per ricomporre la frattura, assicurando il colpevole alla giustizia. Non c’è catarsi a Easttown. Non c’è redenzione. E anche la soluzione del mistero, quando arriva, non porta con sé niente da festeggiare, ammantata com’è di altra sofferenza.
Né si respira, in questa serie, la grandezza speculativa e filosofica di True Detective, per citare una delle vette della produzione contemporanea, anch’essa incentrata su un intreccio possente e doloroso tra indagini e vita, tra ossessioni investigative e ferite biografiche. Qui, davvero, siamo persi in una nebbia di medietà e di squallore. In cui la realtà è insopportabile. La vita fonte di infinite sofferenze. L’errore, per tutti, sempre in agguato, sempre possibile.
In Omicidio a Easttown, solo il dolore accomuna le persone
Una storia come questa, è evidente, funziona solo se la sua resa è perfetta. Servono attori solidissimi per rendere credibile un cocktail che basterebbe poco a trasformare in melodramma. Qua, per fortuna, ci sono: Jean Smart, Guy Pearce, Julianne Nicholson, Evan Peters, David Denman.
Ma ovviamente, sopra tutto e tutti, Kate Winslet. Forse solo Meryl Streep, considerata l’attrice per eccellenza del nostro tempo, è sembrata in alcune sue vette performative capace di scomparire così tanto dentro il personaggio, di farcelo sentire tangibile e reale.
Per l’attrice britannica di Titanic, Se mi lasci ti cancello, Steve Jobs questa è probabilmente la performance migliore di una carriera pur molto ricca, e in consistente crescita negli anni.
Una prova eccezionale e sconvolgente, che negli sguardi, nella smorfia amara, nei movimenti di Mare riesce a trasmetterne il blocco emotivo, la rabbia repressa, la tenacia, la spigolosità, la caparbietà, e soprattutto la costante possente sofferenza. Che affonda le radici nel trauma terribile che ha distrutto la sua famiglia e segnato la sua psiche: il suicidio del figlio, di cui lei – come ogni madre farebbe – si sente responsabile.
E nel mondo di Easttown, in questo sottomondo a cui la nostra realtà inizia preoccupantemente ad assomigliare sempre di più, poche cose hanno la forza di creare legami e ponti tra i personaggi.
Forse, alla fine, solo il dolore: quando non si trasforma o riduce in rancore, è l’unico comun denominatore per queste figure di marginali. Personaggi sconfitti da una vita a cui non chiedevano sogni poi così grandi: la solidità della famiglia, il calore di una relazione, la speranza dei figli. Speranze modeste, eppure ogni volta disattese.
Resta allora, di tutti i sentimenti umani, appunto l’accettazione condivisa del dolore, la simpatia intesa nel suo etimo: soffrire assieme. Il contrario di quella società senza dolore che abbiamo raccontato parlando di One-Punch Man.
In fondo come in una tragedia greca, il cui grande insegnamento continua a stagliarsi sull’orizzonte di tutte le Easttown del nostro mondo: l’uomo non può nulla contro le forze che gli si oppongono; l’unica cosa che nelle nostre piccole vite possiamo avere e conoscere senza limiti è il dolore.
Ascolta anche la versione podcast: Omicidio a Easttown: una tragedia del nostro tempo
Omicidio a Easttown: una tragedia del nostro tempo | PODCAST