Ottimi attori con performance assai intense bastano a tenere in piedi un prodotto medio o persino mediocre? La risposta a questa domanda è una ragionevole bussola per decidere se guardare o meno Nine Perfect Strangers. Miniserie drama / thriller / mystery in 8 puntate che si è conclusa a fine settembre su Prime Video di Amazon.
Peraltro dimostrando la bontà della scelta che abbiamo fatto qui a Mondoserie: non parlare di uno show prima che sia finito, o che si sia conclusa almeno la sua prima stagione. Nel caso in questione, per esempio, le tante lodi e le alte aspettative diffuse da chi è corso a recensire i primi due episodi hanno poi lasciato posto, molto spesso, alle perplessità. Meglio aspettare, no?
Tornando alla domanda di partenza. Se amate le grandi prove d’attore, e non vi spiace neppure un po’ di gigionismo, tuffatevi pure: in Nine Perfect Strangers ne troverete, se non 9, almeno 4-5. Se invece prima di impegnare il vostro tempo avete bisogno di qualcosa di più, leggete quanto segue.
Per gli amanti dell’orrido o i pigri, ecco invece la versione italiana del trailer, con un doppiaggio che neanche ci prova.
Cos’è e di che parla Nine Perfect Strangers
Intanto, come detto, Nine Perfect Strangers è una miniserie. 8 puntate per una storia che si apre (in modo molto promettente), si sviluppa (un po’ confusamente), si chiude (più o meno, diciamo, e in un modo che è più probabile esasperi che esalti – ma dipende dai gusti).
Le premesse erano davvero buone, e spiegano almeno in parte la cospicua hype che ne ha salutato l’uscita. Lo show è stato creato da David E. Kelley (con John Henry Butterworth), cioè uno degli autori / produttori più prolifici e di successo degli ultimi decenni: Chicago Hope, The Practice, Ally McBeal, Boston Public, Boston Legal, Goliath, Mr. Mercedes, Big Sky. Ma anche e soprattutto Big Little Lies e The Undoing, due belle serie con un’ambientazione non lontana da questa e la stessa protagonista, Nicole Kidman. La notevole Big Little Lies condivide con Nine Perfect Strangers anche l’autrice del romanzo di partenza, l’australiana Liane Moriarty.
Poi c’è la trama, perfetta per incuriosire. Nove completi estranei (questo il titolo) giungono a Tranquillum, meraviglioso resort super esclusivo (e però assai misterioso) in cui si aspettano di rilassarsi, o rimettersi in sesto, o ritrovarsi. A guidarlo c’è una carismatica ed enigmatica, e progressivamente sempre più inquietante, figura femminile, la russa Masha (Kidman). Ma ovviamente dietro il paradiso terrestre e le amorevoli cure dello staff si cela una realtà più complessa: le cui motivazioni, così come i metodi terapeutici adottati, resteranno a lungo imperscrutabili…
Da ultimo, ed era forse la ragione di maggiore interesse, il cast stellare. Accanto alla già citata Kidman, attori fantastici come Melissa McCarthy, Michael Shannon, Bobby Cannavale, e qualche altro “comprimario” di lusso (Luke Evans, Regina Hall e il Manny Jacinto scoperto in The Good Place, dove era il “monaco”).
Nine Perfect Strangers NON è Dieci piccoli indiani!
Non è una provocazione e non è un’affermazione arbitraria: per la trama e per il titolo (nove estranei che si trovano chiusi in un luogo isolato e misterioso), Nine Perfect Strangers era stato avvicinato al gran classico di Agatha Christie. Anche qui: improvvidi coloro che scrivono basandosi solo su una puntata o due! Come il prosieguo ha dimostrato, le due storie non c’entrano un fico secco l’una con l’altra.
Lo show di Kelley non è neanche The White Lotus, altra miniserie cui era stata accostata. I due show sono usciti nello stesso periodo (in Italia, mentre in USA The White Lotus si era mossa in anticipo). Anche lì, un gruppo di ospiti arriva in un resort, in questo caso alle Hawaii e puramente vacanziero. Ma le analogie si fermano qua: The White Lotus, di cui abbiamo parlato ampiamente qui, è una fantastica e impeccabile satira sociale e filosofica, superbamente scritta e perfettamente calibrata.
Mentre Nine Perfect Strangers, esattamente, che cos’è? Bella domanda. A tratti potrebbe sembrare satirica, ma poi viene il dubbio che certi elementi di comicità non siano del tutto volontari. L’aspetto mystery regge fino a che non finisce per diventare, da enigmatico, semplicemente nebbioso. Il thriller… il thriller arranca faticosamente fino quasi alla fine, per poi sfaldarsi pure quello nell’irrilevanza della soluzione.
Alla fine, il problema è proprio questo: l’operazione riuscita in Big Little Lies (come detto, con la stessa terna di creatore – autrice – attrice protagonista) qua non funziona. L’esplorazione dei problemi di un microcosmo privilegiato e assai ombelicale, che là sapeva farsi ossessiva e inquietante, qui fatica ad appassionare.
Se ci importa dei personaggi, delle loro storie, delle loro motivazioni, è merito del carisma degli attori. Non dell’abilità discontinua degli scrittori, o di una regia anzi confusionaria. Cosa che diventa adamantina proprio mentre ci rendiamo conto dell’opacità che ammanta il cuore narrativo dello show. E cioè la riflessione sulla sperimentazione “controllata” di droghe psicotrope come strumento per guarire le ferite dell’anima.
Gli effetti psichedelici della psilocibina: pericolo o speranza?
Il tema era ghiotto. Riflettere, nel contesto di una serie drammatica, sul possibile utilizzo di sostanze psicotrope – in questo caso, psichedeliche – a scopo terapeutico. E, in particolare, sulla psilocibina, di cui si è tornati a parlare negli ultimi anni, e su cui nuove sperimentazioni sono in corso.
La sostanza ha una lunga storia: derivata dai soliti funghi allucinogeni, fu usata per secoli dalle civiltà pre-colombiane, con scopi rituali e sciamanici. “Scoperta” dall’Occidente negli anni ‘60, messa al bando assieme all’LSD, è oggi oggetto di un ritorno di interesse. Con studi clinici che stanno testando i suoi potenziali effetti benefici nel trattamento di fobie, traumi, stati di ansia acuta, depressione. Assieme, naturalmente, ai potenziali effetti collaterali o di alterazione della personalità.
La cosa è così seria che c’è chi, come questo articolo di TeenVogue, si è affrettato a protestare per un trattamento da parte dello show che “farebbe deragliare i progressi della ricerca sugli usi terapeutici delle sostanze psichedeliche”, sciorinando studi e studiosi.
A noi interessa di più come il tema viene gestito nel racconto. E, anche in questo caso, siamo di fronte a un’opportunità sprecata. L’idea di portare in isolamento coatto una serie di personaggi “rotti”, gravemente feriti dalla vita, e vedere come avrebbero reagito a un mix di stimoli sensoriali, ambientali, psicologici ma anche – a loro insaputa – neurofarmacologici era interessante. Dalla famiglia distrutta dal suicidio di uno dei figli alla scrittrice in crisi esistenziale e creativa, passando per l’ex campine sportivo a pezzi nel fisico come nella psiche, e così via.
Ma, anche in questo caso, la resa lascia a desiderare.
Una resa traballante, sorretta solo dagli attori
La sospensione dell’incredulità è invocata e anzi pretesa dagli sceneggiatori con un po’ troppa disinvoltura. E il tema della “terapia alternativa” e del superamento del trauma risulta straordinariamente mal gestito: superficiale nel trattarne le implicazioni problematiche, pericolosamente vicino a sfociare dalle parti del vecchio Linea Mortale (Flatliners, 1990, rifatto nel 2017 con lo stesso titolo) quando si capisce finalmente quale sia il vero obiettivo degli esperimenti della misteriosa Masha.
Anche l’ideazione e costruzione dei personaggi lascia perplessi. Dall’assunto – e persino dal titolo – ci si aspetterebbe siano figure tutte altrettanto importanti, sia nell’equilibrio della serie che nel racconto interno, e che la chiave di tutto risieda nella loro interazione. Ma non è così, perché alcuni di loro sono stati “scelti” per soddisfare un’agenda nascosta; altri si sono iscritti volontariamente al programma (ma ignorando i metodi della peculiare struttura).
Fino a un finale furbetto, e pure quello largamente insoddisfacente, che ammicca al pubblico per nascondere il fallimento nel districare davvero la pur promettente matassa.
A salvare il tutto sono le performance. Michael Shannon è un padre in lutto di intensità commovente: bloccato, come il resto della famiglia, in un senso di colpa senza vie d’uscita. Il nostro amato Bobby Cannavale costruisce benissimo il suo ex campione di football finito nelle grinfie degli oppiacei. Melissa McCarthy è Melissa McCarthy, che ve lo dico a fare. E al centro di tutto la Kidman, guru tormentata da un passato traumatico. In molti l’hanno dileggiata per l’accento russo, ma ad essere ridicolo è forse l’accento in sé più che la resa. In ogni caso, la sua Masha è circonfusa di un carisma al contempo luminoso e oscuro, calmante e inquietante, determinato e psicotico: notevolissima.
Per cui, come avevamo detto all’inizio, la scelta sta a voi. Se puntate a una storia ben articolata e sapientemente sviluppata, guardate altrove. Se invece cedete al fascino di interpretazioni così forti da far sembrare i personaggi migliori di come sono stati scritti, Nine Perfect Strangers è un gran bel giro di giostra.
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