Nella marea ormai infinita della produzione seriale mondiale, ci sono show che finiscono per morire subito, come onde che esauriscano la propria energia. Alcuni ingiustamente, almeno in relazione a certe schifezze che invece continuano purtroppo a imperversare (colpa, diciamolo, anche di chi le guarda). Perché magari qualcosa da dire ce l’avrebbero. È il caso di Next, curioso ibrido tra crime, drama e fantascienza messo in onda in Italia da Disney+, sul canale Star Original, a puntate settimanali a partire da metà marzo 2021.
Conclusosi del tutto: da noi è infatti arrivato già defunto. Morto, sepolto e senza particolari speranze di resurrezione. Dato che in America lo show, creato per Fox da Manny Coto (una solida esperienza alle spalle come produttore e showrunner di successi quali 24, Star Trek: Enterprise, Dexter), è andato in onda nell’autunno del 2020. Vedendo decretata la propria cancellazione al termine delle 10 puntate della prima (anzi, unica) stagione.
Next: di che parla?
Eppure, la trama non è certo priva di interesse. Una squadra governativa specializzata in crimini cibernetici scopre una minaccia inattesa e mortale. Un’Intelligenza Artificiale capace di evolvere, creata da un colosso tecnologico e sfuggita presto ad ogni controllo, inizia a prendere di mira coloro che ne conoscono l’esistenza e cercano di fermarla. Arrivando a uccidere chiunque percepisca come un rischio per la propria crescita.
Per provare a combattere la minaccia, i federali arruolano (malvolentieri) un eccentrico miliardario: l’ex CEO della compagnia tecnologica in questione. Da cui era stato cacciato proprio per aver messo in guardia dai rischi connessi al progetto. Solo che il brillante inventore / imprenditore, l’unico che potrebbe tenere testa alla diabolica IA, è affetto da una malattia neurologica degenerativa. Che gli impedisce di dormire, lo affligge con allucinazioni e gli rende difficile distinguere il vero dal falso.
Resa zoppicante per un mito sempreverde
Rileggendo le ultime righe mi accorgo di aver reso Next più interessante di quel che è. Perché se le premesse sono intriganti, è l’esecuzione a zoppicare. Finendo per tradursi in dinamiche piuttosto meccaniche, da classico procedural (il sottogenere poliziesco che vede un gruppo composito indagare, puntata dopo puntata, su una serie di situazioni), che appesantiscono l’arco narrativo generale e producono il risultato non voluto di indebolire la vera ragione di interesse.
Che era, appunto, una novella attualizzazione di un mito culturalmente ben consolidato, figlio della rivoluzione industriale e poi scientifica ma in realtà ancora più antico. Quello frankensteiniano (o prima ancora del Golem). Della creatura che sfugge al controllo dei propri creatori, dotata di volontà propria. Finendo per diventare una minaccia esiziale per loro e per il resto del mondo.
I problemi (reali) della super Intelligenza Artificiale
La versione in salsa IA del mito è culturalmente e politicamente rilevante: basti pensare ai numerosi allarmi verso i rischi potenziali della ricerca sull’IA lanciati da figure certo non accusabili di pigrizia o rigidità intellettuale come quelle di Bill Gates, Stephen Hawking, Elon Musk. I quali, a più riprese, e seppur con accenti diversi, hanno messo in guardia dalla sottovalutazione dei pericoli connessi alla ricerca su una IA “reale”.
Una forte spinta al dibattito si è poi avuta, nell’ultimo devcennio, con il vasto successo internazionale registrato nel 2014 dalla pubblicazione di Superintelligence: Paths, Dangers, Strategies, libro di Nick Bostrom, filosofo svedese dell’Università di Oxford. La tesi di Bostrom: se i cervelli delle macchine superano i cervelli umani in termini di intelligenza generale, allora questa nuova superintelligenza potrebbe sostituire gli umani come forma di vita dominante sulla Terra. Macchine sufficientemente intelligenti potrebbero migliorare le proprie capacità più velocemente degli scienziati informatici umani, e il risultato potrebbe essere una catastrofe esistenziale per la nostra specie.
La profezia di Elon Musk: “Stiamo evocando un demone”.
“Penso che dovremmo stare molto attenti all’intelligenza artificiale. Se dovessi indovinare qual è la nostra più grande minaccia esistenziale, probabilmente è quella. Quindi dobbiamo stare molto attenti”, ha detto Musk in un discorso pubblico nel 2014, per poi ripetere più volte il concetto. “Sono sempre più propenso a pensare che dovrebbe esserci un controllo normativo, magari a livello nazionale e internazionale, solo per assicurarci di non fare qualcosa di molto sciocco”.
L’imprenditore tecnologico, paradosso, è stato spesso paragonato a un Tony Stark: col suo atteggiamento e il look sembra uscito direttamente dai fumetti Marvel o dai film di Iron Man. Aiutano l’analogia il suo ruolo in aziende all’avanguardia come Space X, società di esplorazione spaziale privata , Neuralink e ovviamente Tesla.
Di recente ha descritto i suoi investimenti nella ricerca sull’intelligenza artificiale come un tentativo di “tenere d’occhio quello che sta succedendo”. “Con l’intelligenza artificiale stiamo evocando un demone. In tutte quelle storie in cui c’è il tizio con il pentagramma e l’acqua santa, beh, lui è sicuro di poter controllare il demone. Non va mai a finire così”, ha detto Musk.
Next, alla fine, com’è?
L’idea di Next avrebbe meritato una resa migliore: più coraggiosa, meno ingessata. Anche per meglio sfruttare le qualità mostrate da John Slattery (Mad Men) nel ruolo di punta. Uno scienziato che deve combattere le degenerazioni della propria invenzione mentre lotta contro il degrado delle proprie funzioni cognitive. E cerca, disperatamente e con tutte le sue forze, di riconciliarsi a una figlia lungamente trascurata.
Una storia quindi profondamente umana, proprio mentre si combatte contro una supermacchina che minaccia le nostre stesse esistenze. E un’IA freddissima, crudele, sinistra, che in una sequenza davvero disturbante spinge un bambino – parlandogli attraverso un assistente virtuale domestico tipo Alexa – a mettersi contro i genitori. Perché la madre è la poliziotta che dà la caccia al supercomputer, e quindi un ostacolo da minare prima ed eliminare poi.
Lo show resta un progetto a cui si può anche dedicare qualche ora gradevole, specie se si è interessati al tema, e che però sarà difficile ricordare a lungo. Poteva essere meglio? Certo. Ma poteva benissimo essere peggio. La stessa incertezza su quale delle due prospettive prevalga ci dice, in fondo, tutto quello che c’è da sapere su Next.
Silicon Valley, se il mondo tecnologico è popolato di idioti
Una versione precedente e parziale di questo articolo è stata pubblicata il 25 aprile 2021 su The Week, inserto domenicale dei quotidiani del gruppo editoriale Athesis.