Nature (38 stagioni, 615 episodi ad oggi ancora in corso) è un programma televisivo americano distribuito da PBS. Longevo ed inarrestabile, va in onda dagli anni ‘80 ed è seguito in tutto il mondo tanto da avere un’emissione “gemella” prodotta dalla BBC chiamata Natural Worlds. Entrambe sovente mandano in onda le stesse puntate, intrecciando produzioni e documentari di altissimo livello. E rendendo accessibile una conoscenza complessa come quella dell’ormai a noi sempre più distante mondo animale.
Nature si distingue dai normali programmi documentaristici per le sue scelte narrative, spesso avanguardistiche, che mettono in primo piano le esperienze di scienziati ed esperti nel raccontare il loro rapporto con la natura.
Ad esempio, il recente episodio Il mio giardino di centinaia di api illustra la personale esperienza di Martin Dohrn, cameraman specializzato in riprese ad altissima definizione. Trovatosi confinato durante la pandemia, ha deciso di riprendere la vita segreta delle api nel suo pezzetto di terreno a Londra. Ne risulta uno splendido documentario con la stessa voce narrante di Dohrn che con voyeuristico piacere ci racconta splendori e miserie delle regine del suo giardino.
Negli anni il programma Nature è stato nominato 22 volte agli Emmy, vincendone 8.
Nature – La mia vita di tacchino
Tra questi La mia vita di tacchino. Episodio 1 della stagione 30, vincitore dell’Emmy per il miglior programma sulla natura nel 2011. Una puntata che ha certamente ancora oggi una grande e meritata risonanza. Basato sul libro di Joe Hutto Illumination in the flatwoods, racconta la singolare storia dello stesso Hutto, scrittore e “wildlife artist” (artista della vita selvaggia) da sempre impegnato nel comprendere il comportamento degli animali nel loro habitat naturale.
Nel 1991 Hutto fa un’esperienza singolarissima: diventa madre di una nidiata di tacchini. Proprio così: un giorno nella sua tenuta in Florida il wildlife artist riceve in regalo un paniere di uova di tacchini selvatici: che fare?
Hutto decide di sperimentare l’imprinting, un metodo di “allevamento” usato anche dallo zoologo scrittore Konrad Lorenz. Che nel 1949 con il suo libro bestseller L’anello di Re Salomone ci rivela che, sì, un’anatra appena nata può diventare nostra figlia.
Cos’è l’imprinting
Le prime tracce di quello che oggi chiamiamo imprinting si trovano in Utopia di Sir Thomas More che già nel 1500 ci riporta alcuni metodi di incubazione artificiale delle uova. Vi furono poi numerosi biologi e scienziati che osservarono nell’arco dei secoli gli atteggiamenti dei nuovi nati. Ma fu Lorenz a coniare per la prima volta il termine imprinting: una forma di apprendimento precoce negli uccelli che nelle prime ore riconoscono e seguono il proprio genitore.
Lo zoologo austriaco vivendo a stretto contatto con gli animali, specie con le anatre, negli anni ‘30 fece una scoperta. Le anatre una volta schiuse le uova e uscite nel mondo riconoscono come loro madre la prima cosa grande che si muove. In quel caso fu lo stesso Lorenz – che aveva “covato” le uova con un incubatore e che era presente alla schiusa – a diventare la madre di varie anatre. Che lo seguirono fino alla maturità.
Lorenz fece vari esperimenti: una volta divise una nidiata di uova a metà. La prima metà fu covata dalla loro vera madre e, quando nacquero gli anatrini, la prima cosa che videro fu lei. La seconda metà invece venne covata da Lorenz (sempre tramite un incubatore) e fu lui che gli anatrini videro per la prima volta. E lui diventò immediatamente la loro mamma.
Anche una volta mischiati i due gruppi dopo qualche giorno dalla nascita, gli anatrini non avevano dubbi. La metà che aveva visto mamma anatra seguiva lei, l’altra metà mamma Lorenz. Negli anni molti studenti affiancarono Lorenz nelle sue ricerche e allevarono moltissime anatre, sempre nel rispetto della Natura.
L’esperimento filmato nel documentario di Nature
Torniamo ora al nostro Hutto. Dopo il successo del libro basato sulla sua storia di imprinting di tacchini selvatici, decide di ricreare l’esperimento diversi anni dopo per un documentario di Nature. Questa volta non vivrà l’esperienza in completa solitudine ma verrà costantemente filmato da una troupe di esperti che, discretissimi, si apposteranno per un anno nella sua tenuta in Florida. Non entreremo qui nei dettagli del documetario e di come i tacchini ‘attori’ siano riusciti a imitare le stesse condizioni della volta precedente. Ci basti sapere che a detta dello scrittore le cose si svolsero sostanzialmente nello stesso modo. Accreditando l’imprinting come riuscito esperimento e valida teoria scientifica.
Come nel 1991, Hutto fa schiudere le uova grazie ad un incubatore: appena nascono i piccoli tacchini lui è lì, presente come una madre, imitando i suoni degli uccelli per iniziare un dialogo con i suoi “figli”. L’imprinting funziona. Bastano poche ore per essere interamente riconosciuto da loro come vero e proprio genitore. D’ora in poi Hutto non avrà un minuto libero.
Ci spiega che essere madre è una grande responsabilità: i piccoli di tacchino non possono essere lasciati soli un secondo. Prova ne è che alla prima occasione in cui si allontana un attimo per andare in bagno, un serpente sguscia nella capanna dove sono ricoverati i piccoli per la notte, e ne divora uno. Dopo momenti di iniziale imbarazzo dovuto a qualche errore dei primi giorni, Hutto si cala completamente nella parte e, come una novella madre, comincia a provare emozioni sconosciute.
Vivere con i tacchini, vivere come i tacchini
Le racconta nell’episodio di Nature di cui è protagonista.
Passando sempre più tempo con loro, mi sono reso conto che questi giovani tacchini erano per molti versi più consapevoli di me. In realtà, provavo una sorta di imbarazzo quando ero in loro presenza – erano così immersi nel momento – e alla fine di ogni loro piccola esperienza manifestavano una sorta di gioia a me estranea e che invidiavo molto.
Madre e figli vivono in simbiosi. Le loro giornate si svolgono con regolarità: passeggiate, corse e a nanna presto, ben al riparo dai serpenti. Nessun altro contatto per lo scrittore col mondo esterno: niente telefonate, lettere o visite di amici. Eppure questa vita che a noi potrebbe apparire per molti versi grama, ha schiuso un nuovo universo per il nostro artista della natura
Ogni giorno imparavo cose nuove sui tacchini. Ma non si trattava solo di come vivono la loro vita: questi animali mi stavano mostrando come vivere la mia vita. Credo che come esseri umani abbiamo questa particolare predisposizione a pensare sempre avanti, a vivere un po’ nel futuro, ad anticipare il prossimo minuto, la prossima ora, il prossimo giorno, e tradiamo il momento. I tacchini selvatici non lo fanno. Sono convinti che tutti i loro bisogni, saranno soddisfatti solo nel momento presente e in questo spazio. Il mondo non è migliore a mezzo miglio nel bosco, non è migliore tra un’ora e non sarà migliore domani: questo è il massimo che si può ottenere.
Hutto raggiunge quindi grazie ai tacchini selvatici l’illuminazione dell’istante: il vivere qui e ora tanto agognato dai filosofi. A detta sua, questo anno in compagnia dei suoi figlioli selvatici è stato il più intenso della sua vita: il più felice e il più sincero.
La drammatica fine dell’amicizia con Turkey Boy
Ma ogni cosa ha una sua fine, specie se si rispettano i ritmi naturali. Allo scoccare di un anno i tacchini, ormai adulti, cominciano ad ignorarlo. Prima sono recalcitranti a seguirlo quando è ora di tornare a casa, e nel giro di pochi giorni iniziano ad evitarlo. A volte lo incrociano, senza dargli troppa importanza. Il patto naturale è rispettato e i suoi figli sono cresciuti. Hutto è un po’ triste ma accetta. Ora, a differenza di lui, sanno anche volare. Oramai sono tornati a vivere la vita selvatica per la quale sono nati.
Solo uno tra tutti gli resta fedele: Turkey Boy. Durante il primo anno Turkey Boy era stato il più legato a lui e ora, quando i suoi fratelli sono pronti ad emanciparsi del tutto, lui non lo lascia. Lo riconosce, cammina ancora insieme a lui durante il giorno e risponde ai suoi richiami.
Ma poi arriva il momento forse più scioccante della vita di Hutto, a detta sua. Tanto da intitolare il capitolo del video “oggi ho perduto un fratello”. Nel fatidico giorno i due stanno passeggiando: Turkey Boy però resta indietro e Hutto si gira per richiamarlo. Ma in quel momento lo scrittore viene assalito dal tacchino che, attaccandolo in faccia con gli artigli, tenta di ucciderlo. Hutto si divincola e riesce a scappare: da quel giorno, non si vedranno mai più.
Un giornalista ha chiesto ad Hutto se fosse rimasto sconcertato dal fatto che Turkey Boy lo avesse attaccato o se lo reputasse un comportamento normale per un tacchino.
I tacchini maschi allevati sono soliti diventare aggressivi nei confronti dell’uomo. Ho sempre pensato che potesse essere una possibilità, ma ero comunque sorpreso che il mio amico, Turkey Boy, volesse farmi del male! Non si trattava tanto di una questione territoriale, quanto di uno sfortunato malinteso maschi.
Io e Turkey Boy abbiamo risolto le nostre divergenze dopo la fine della sua stagione riproduttiva. Il film ha dovuto abbreviare la nostra relazione piuttosto complessa per motivi di tempo. Alla fine Turkey Boy se ne andò per conto suo e non lo rividi mai più, e di questo parlo nel libro in modo dettagliato. Quindi, sono stato io a soffrire per la sua partenza. Dopo tutti questi anni mi manca ancora. E questo film è difficile da guardare per me.
Ritorno alla “normalità”, dopo l’episodio di Nature
Profondamente trasformato dalla vita in simbiosi coi tacchini selvatici, Hutto ritorna con difficoltà alla vita normale.
Vivere con i tacchini è stata un’esperienza emotiva molto intensa e spirituale. Per un anno o due ho avuto qualche difficoltà a reintegrarmi e ad attribuire un significato ad altre cose. Ho sperimentato qualcosa di molto simile anche quando ho dovuto lasciare la montagna dopo diversi mesi di vita in solitudine con le pecore bighorn al di sopra del limite del bosco nel Wyoming.
In entrambi i casi, il pensiero di dover tornare alla mia vita “normale” e di dover essere di nuovo il vecchio e noioso me stesso era un’idea terribile.
Oggi Hutto vive in un vecchio ranch storico nel Wyoming, circondato da terre selvagge e sconfinate. Segue con passione una quarantina di cervi che svernano lì ogni anno e alcuni di loro sono diventati residenti fissi. Anche questa volta è stato accolto come un altro membro della famiglia, forse un po’ strano, dice lui ridendo.
Visto l’enorme successo del libro e del documentario sono state molte le interviste e le dichiarazioni lasciate in seguito dallo scrittore, a cui sono state poste innumerevoli domande sul confronto uomo-natura.
Hutto riassume il suo allontanamento dal mondo e la sua vita “animale” con una bella frase di Lord Byron:
I love not man the less, but nature more. (Non amo l’uomo di meno, ma la natura di più)
Naturalista, ambientalista, cacciatore: leggi l’articolo su MeatEater