Murder Mountain (originalmente titolata Murder Mountain: Welcome to Humboldt County) è una docuserie americana di genere true crime (6 episodi, Netflix, 2018). Humboldt County è un’area nel Nord California che presenta due particolarità. La prima è che produce il 60% della marijuana degli USA. La seconda è che ha un altissimo tasso di persone scomparse. Murder Mountain racconta dunque la peculiare realtà di questi posti, affiancandovi l’indagine sulla scomparsa del 29enne Garret Rodriguez nel 2013. Non solo. Il 9 novembre del 2016 nello stato della California entra in vigore la Proposition 64, legge che legalizza e regolamenta l’uso della marijuana. E questo, in Murder Mountain, ha molta importanza.
Da un punto di vista squisitamente e squallidamente consumistico, la Proposition 64 immette nel mercato una nuova ondata di profitti legati al commercio di prodotti contenenti o a base di marijuana: olii, estratti, bibite, cioccolato ecc. Sdoganata la sostanza in questione, si vedono personalità del calibro di Snoop Dogg (of course) e Wiz Khalifa lanciare le proprie fiorenti linee. Ma nella contea di Humboldt la storia è assai diversa. Murder Mountain – la montagna degli omicidi – si riferisce ad una precisa zona intorno ad Alderpoint, cittadina della contea. Qui siamo nell’Emerald Triangle, così chiamato perché ospita la più grande coltivazione di marijuana del paese, a circa 500 km da San Francisco. Attraversa tre diverse contee: Mendocino, Trinity e, per l’appunto, Humboldt.
Una cultura fuorilegge in una comunità senza legge
Il North Coast Journal riporta una media di 717 persone scomparse all’anno in quest’area, dal 2000 al 2016. Senza parlare delle decine e decine di omicidi – anche questi irrisolti – che avvengono nella regione. Territorio al limite tra legalità ed illegalità, da decenni propenso ad autogovernarsi. Secondo gli stessi produttori esecutivi: “Murder Mountain è un avvincente racconto sulla cultura fuorilegge in una comunità senza legge”. Mezzo secolo fa un giovane hippie, di ritorno da un viaggio in Messico, importa in zona la marijuana. Si scopre il terreno essere perfetto per far attecchire i semi e far crescere le piante. Il business – redditizio e fuori legge – diviene la principale occupazione di tutti i montanari della contea. Con tutto ciò che questo traffico comporta: truffe, furti, rapine, omicidi…
Significativa la vicenda di un ex lobbista e manager di campagne elettorali dello Utah, diventato un coltivatore d’erba. Nonostante sia stato più volte braccato e picchiato, derubato, rapito, e gli abbiano pure sparato, l’uomo non vuole saperne di abbandonare la sua attività di spacciatore all’ingrosso. E con lui le telecamere arrivano fino in città, per seguire una transazione in tal senso. Ad ogni modo, sic stantibus, sembrerebbe la Proposition 64, legalizzando il mercato, possa aggiustare ogni cosa. Invece Murder Mountain racconta una realtà assai diversa.
La realtà di Murder Mountain
Una realtà che non ha mai avuto la cultura della legalità, come ci ricordano più volte gli sconsolati sceriffi locali. Una realtà in cui ci si ammazza letteralmente per po’ d’erba. In cui svanire nel nulla è facile, soprattutto quando sei un forestiero. Le famiglie hanno un bel cercare tra tutta quella selvaggia natura boschiva. Gli abitanti vivono più o meno comprensibilmente nell’omertà più assoluta. Le stesse autorità sembrano incapaci di imporsi come tali. Non a caso l’ufficio dello sceriffo della contea, in ciò supportato da altri residenti, ha liquidato la docuserie come sensazionalista e potenzialmente dannosa per lo sviluppo economico e il turismo locale…
Anche per questi motivi Murder Mountain è a suo modo eccezionale. Riesce a far luce, grazie al coraggio degli autori e di chi ha deciso di mostrare il proprio volto senza tirarsi indietro, su decenni di oscure attività e delitti impuniti. Questi sei episodi rivelano aspetti sconvolgenti e avvincenti di un luogo abituato da sempre ad esistere nell’ombra. Partendo dal giallo della scomparsa di un ragazzo.
Netflix eccelle nella produzione di documentari di questo genere, con titoli come Making a Murderer, Wild Wild Country o Last Stop Larrimah. Murder Mountain è, a pieno titolo, tra i migliori di questo tipo.
Un’inaspettata e sanguinosa catena di eventi
L’insolito appellativo (così viene chiamata dagli stessi abitanti) si deve agli omicidi, risalenti agli anni ’80, ad opera di una coppia di psicopatici: James e Suzan Carson. Negli anni seguenti la zona è diventata teatro di scontri tra residenti (in larga parte ex veterani della guerra in Vietnam) e forze dell’ordine. E soprattutto di scontri tra bande criminali. Talvolta anche solo di rese dei conti tra singoli. Inevitabili conseguenze del proibizionismo secondo Josh Zeman, autore del documentario.
Nonostante ciò, decine di giovani partono da ogni parte degli Stati Uniti verso la contea di Humboldt, per la raccolta e la lavorazione delle piante. Garret Rodriguez era uno di questi. Lasciata la sua casa a San Diego per andare a lavorare nei campi di marijuana, nel giro di un anno svanisce nel nulla. Inutilmente il padre si rivolge più volte allo sceriffo locale. Decide allora di assumere un investigatore privato. Si dice il ragazzo sia stato ucciso. Tutti sanno qualcosa ma nessuno parla. Fino a quando un gruppo di uomini del posto non decide coraggiosamente di intervenire ed affrontare il sospetto omicida, per farsi dire dove Garret è stato seppellito. Decidono di farlo per il povero padre del ragazzo.
Ma questa spedizione darà il via ad una surreale e sanguinosa catena di eventi. Le forze dell’ordine decidono di perseguire i coraggiosi vigilantes, invece che di investigare sulle informazioni da loro acquisite. Questa avvincente narrazione è alternata alla storia della contea, a come si sia trasformata da paradiso hippie anni ’70 ad odierna infernale landa criminale. Inoltre ci si interroga sul futuro della comunità con l’avvento della Proposition 64.
Murder Mountain e l’ineludibile segno dei tempi
Il documentario mette a fuoco il vero problema dell’attuale politica di legalizzazione. Ovvero quello di essere concepita ad esclusivo beneficio delle grandi aziende. A sfavore dei piccoli coltivatori indipendenti. L’area della Murder Mountain è sinistra e desolata, piena di rifiuti pesanti e veicoli abbandonati e crivellati di proiettili. La zona è pattugliata da guardie armate come nei territori dei cartelli messicani. La Proposition 64 doveva servire anche a bonificare posti come questo. Ma le strette maglie dei regolamenti, fatti ad arte per le grandi società, spingono la maggior parte dei coltivatori a continuare la propria attività nel mercato nero. Come in un’altra docuserie Netflix – Dirty Money – il messaggio è piuttosto chiaro: “All corporations are evil”.
Il tutto viene veracemente raccontato e discusso da testimoni, sceriffi e coltivatori di marijuana. Con il supporto della ricostruzione di eventi drammatizzati. Dandoci così accesso, attraverso la storia di Garret e il dilemma della legalizzazione, ad un mondo incredibile. I cui segreti – almeno fino a Murder Mountain – sono stati gelosamente custoditi. Certo, saltare dal giallo della misteriosa scomparsa (che è comunque la vicenda primaria) alla storia della Contea di Humboldt, dallo stile di vita dei residenti alle implicazioni sociali della legalizzazione, potrebbe sembrare troppo. Ma l’ambizione è quella di svelare i retroscena nascosti di un intero particolarissimo mondo e dei suoi particolarissimi abitanti.
Il finale di Murder Mountain – l’incontro tra il padre di Garret e uno dei vecchi componenti del commando autoincaricatosi di far luce sull’accaduto – è semplicemente commovente. Ma la cosa più interessante è che è stato organizzato dagli stessi produttori della docuserie, che sono quindi intervenuti sulla storia stessa che il documentario racconta. E quest’inedita commistione tra narrazione e cosa narrata – che si è già vista in Making a Murderer e The Staircase – è l’ineludibile segno dei tempi, come diciamo spesso in Mondoserie.
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