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Mononoke, il detective delle anime fluttuanti | Animazione
Mononoke, podcast | Puntata a cura di Untimoteo.
Oggi presente sia su Netflix che su Prime Video, Mononoke è una serie anime in 12 episodi di 25 minuti. Il cartone ha origine nel 2006 come spin off di un’altra serie anime ovvero Ayakashi: Samurai Horror Tales. A quasi vent’anni dalla chiusura del primo ciclo di storie è stata annunciata una trilogia di film che vedranno la luce tra il 2024 e il 2026.
Una serie che ha svariati elementi in comune con l’arte e la tradizione giapponese, le Ukiyo-e, le stampe del periodo Edo e la ricerca stilistica della Secessione Viennese. Ha i tempi e la messinscena del teatro nō e della filmografia indipendente – non solo giapponese ma anche occidentale. Preferisce al logico susseguirsi degli eventi un incedere sbilenco e sognante. Tra trame avvolte di mistero, peccati da espiare e un protagonista che solleva più domande di quanto non dia risposte.
“Animazione” è il format del podcast di Mondoserie dedicato alle diverse scuole ed espressioni del genere, dall’Oriente alla scena europea e americana.
Le indagini dello speziale
Questa serie NON è il film di Hayao Miyazaki, il celeberrimo La principessa Mononoke che in originale si intitola Mononoke Hime e che letteralmente significa La principessa Spettro.
Mononoke non è un anime come gli altri. In un Giappone immaginario che è contemporaneamente moderno e antico, un enigmatico mercante di medicine testimonia la vendetta tardiva di 5 fatti di sangue. Una locanda, una nave, una prigione, un palazzo e una metropolitana sono il palcoscenico in cui si ritrova un’umanità varia con in comune un segreto da nascondere, il più delle volte un peccato rimasto impunito.
Un fantasma si manifesta seminando il terrore tra i presenti, un’anima che in quel luogo ha trovato una morte violenta che non ha mai avuto giustizia. Il delitto senza castigo ha dunque risvegliato le ire degli spettri e compito dello speziale sarà quello di esorcizzare il mononoke.
L’esorcismo dello spirito però può avvenire solo una volta che il venditore di medicine ne abbia appurato quale sia il Katachi, ovvero la forma, la Makoto, ovvero la verità che si cela sotto il suo aspetto spettrale e infine il Kotowari, ovvero la ragione (o il rimpianto) che lo spinge ad avere questo comportamento.
L’indagine naturalmente non può essere svolta interrogando direttamente il fantasma, motivo per cui lo speziale raccoglie le confessioni dei presenti riuniti in quel luogo dal fato. Ne emerge il dipinto di una umanità ipocrita, indifferente, avida e meschina. Religiosi, dignitari, samurai, scolari, studentesse, macchinisti. Tutti passano sotto la lente d’ingrandimento di questo strano detective e rivelano i loro peccati, veniali o mortali. Infine il mononoke viene sempre esorcizzato, non prima però che ognuno dei convitati abbia fatto ammenda per la propria colpa.
L’arte animata di Mononoke
La prima cosa che colpisce lo spettatore è che Mononoke possiede un cifra stilistica che condivide con un lungometraggio animato entrato nel mito: Belladonna of Sadness. Creato del 1973 da Eiichi Yamamoto, rappresenta uno dei vertici della sperimentazione estetica dell’allora pionieristica industria animata giapponese. Una storia di violenza e allucinazioni filtrata attraverso immagini lisergiche e simboliste dichiaratamente ispirate da Alfons Mucha, Odilon Redon, Egon Schiele e Gustav Klimt.
Di questo lungometraggio Mononoke mutua l’andamento sognante e psichedelico abbinato al riferimento estetico dello Jugendstil austriaco. A sua volta messa in dialogo con le stampe giapponesi Ukiyo-e, ovvero le immagini del mondo fluttuante che avevano intossicato lo sguardo di Van Gogh e Gauguin prima e poi di tutti i rivoluzionari dell’arte.
Questo cartone è bidimensionale fino all’estremo. Se dovessimo cercare un paragone con una rappresentazione dal vero potrebbe ricordare il teatro delle ombre e delle sagome. La piattezza con cui sono ritratti i protagonisti, gli oggetti, i fondali. Mononoke è un anti-anime. Non cerca il colpo a effetto, non ammicca al pubblico, non ha un aspetto accattivante e fa della mancanza di ritmo la propria caratteristica principale.
Ha più punti in comune con il teatro nō che con i suoi fratelli e sorelle animati.
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