Chi ha davvero sviluppato la bomba atomica? Ad agosto è d’uopo interrogarsi sulla questione, vista la cadenza rituale di quello che possiamo chiamare «triduo atomico», ossia i tre giorni che separano la distruzione di Hiroshima da quella di Nagasaki (6 e 9 agosto 1945). E, naturalmente, l’uscita in questi giorni dell’attesissimo filmone di Christopher Nolan, Oppenheimer.
Gli «apprendisti stregoni», secondo la definizione che ne diede il primo storico della bomba Robert Jungk, sono in genere considerati essere un manipolo di scienziati di cui il grande pubblico riesce a ricordare i nomi. Robert Oppenheimer, Niels Bohr, Otto Hahn, Enrico Fermi, Edward Teller.
In verità, il cosiddetto Progetto Manhattan si servì di una quantità enorme di ricercatori, spesso giovanissimi, coordinati dai loro professori universitari e dagli scienziati maggiori – tutti a loro volta controllati dai militari. In pratica, la bomba atomica è stato un grande atto di trasferimento tecnologico, di tipo classico: dalla ricerca universitaria al mercato, che qui era lo sterminio di intere città.
Il villaggio del trasferimento tecnologico atomico
A lavorarci erano in tantissimi – un vero e proprio villaggio, costruito nel deserto e guardato a vista da soldatini americani pronti a sparare. La serie Manhattan (2014-2015, 2 stagioni, oggi in Italia su Timvision) racconta proprio la vicenda di tale «paesino atomico». Dove le ricerche scientifiche che cambieranno il corso dell’umanità si mischiano con il vissuto personale e famigliare di tanti personaggi alle prese con l’impatto del segreto indicibile che custodiscono – che non possono rivelare neanche alle loro mogli, e che devono tenere strettissimo, perché le spie, pure dell’alleato sovietico, sono già ovunque.
La trama si dipana negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. Il Progetto Manhattan è l’operazione top-secret di costruzione della super-arma che coinvolge un gruppo di fisici e ingegneri ultra-qualificati, mandati a vivere nel deserto, in una cittadina artificiale costruita attorno ad laboratorio segreto – chiamato Project Y – tra le sabbie di Los Alamos, nel Nuovo Messico.
Ognuno di essi è sotto la pressione dell’obiettivo vero del progetto: accelerare la ricerca scientifica verso l’arma in grado di cambiare le sorti della guerra. Qualcosa che l’umanità mai ha veduto prima. Le vite dei membri del progetto e delle loro famiglie si intrecciano, anche in drammi notevoli, mentre gli scienziati affrontano sia le sfide scientifiche che le tensioni interpersonali: la rivalità fra gruppi, all’interno dei gruppi e persino fra idee è massima.
Il progetto Manhattan, tra Storia e conflitti personali
Il dottor Frank Winter, un fisico talentuoso ma pieno di conflitti irrisolti, guida gli sforzi per far progredire la ricerca nel senso di un ordigno che proceda per «implosione», una teoria messa in secondo piano dai decisori del Progetto.
La rivalità scientifica emerge tra Winter e il dottor Charlie Isaacs, un giovane fisico reclutato recentemente, mentre entrambi cercano di dimostrare le proprie teorie e ottenere il riconoscimento all’interno del progetto. Le tensioni si intensificano quando il progetto inizia a incontrare ostacoli. I segreti si accumulano e il peso delle responsabilità inizia a pesare sulla psiche dei partecipanti, tra rivelazioni e violenze lontane e vicinissime.
Nel frattempo, le dinamiche familiari aggiungono ulteriore profondità alla trama. Le mogli dei membri del progetto cercano di adattarsi alla vita isolata e piena di segreti nel deserto, affrontando la solitudine e le sfide emotive mentre i loro mariti si dedicano al lavoro vitale ma pericoloso. È un modo per dire che c’è un giro di corna, anche con inquadrature di esplicita tendenza saffica.
A mano a mano che la serie avanza, emergono ulteriori segreti e sottotrame, mettendo in luce le battaglie interiori politici, etici e personali che circondano il Progetto Manhattan. La corsa contro il tempo e l’ombra della guerra in corso aumentano la pressione su tutti i personaggi, mettendo alla prova la loro dedizione alla scienza, la loro lealtà e il loro senso di responsabilità verso il mondo.
La bomba atomica, per dirla con la Bhagavad Gita citata da Oppenheimer (che era capace di impararsi il sanscrito solo per leggersela) è «morte, distruttore di mondi». Ma prima di questo, dice la serie, la bomba è stata sfasciafamiglie, distruttrice di relazioni, generatrice di intrighi amorosi e tramacci interpersonali.
Manhattan: personaggi di finzione e niente italiani
Tutti i personaggi della serie sono praticamente inventati, con qualche eccezione. Robert Oppenheimer, «l’uomo più importante della storia» secondo la definizione che ne dà Christopher Nolan nel kolossal ora nelle sale, fa comparsate brevi, che tuttavia lasciano intuire il suo mistero e il cruccio apocalittico che consuma il professore di Berkeley.
Niels Bohr, il cui apporto è discusso (l’enigma su da che parte stesse è raccontato in una pièce teatrale di Michael Frayn, Copenhagen, che mette in scena l’incontro del fisico con Werner Heisenberg presso la capitale danese nell’anno 1941) pure si vede in un episodio, ma solo per mandare in solluchero i giovani fisici («Ho visto Dio. Si chiama Niels Bohr»).
Assenti, per questioni non comprensibili, i due Nobel italiano Enrico Fermi e Emilio Segrè. Entrambi, c’è da dire, avevano pure da offrire molto come personaggi drammaturgici, come è chiaro a chiunque conosca lo sceneggiato RAI di Gianni Amelio I ragazzi di via Panisperna (1990). Se vi ricordate anche di Ettore Majorana, capite che siamo davanti a storie ancora più intricate e potenti di quelle di Los Alamos.
Uno stuolo eccezionale di caratteristi e volti noti
La serie, che ha 23 episodi in tutto per due stagioni, è animata da attori protagonisti non sempre perfetti, ma da quantità di talenti fra caratteristi e nuove leve ragguardevoli, più partecipazioni di nomi storici che danno tanto godimento.
Se John Benjamin Hickey e Ashley Zukerman., che interpretano i due enantiodromici fisici che danno origine alla sfida alla base del racconto, non sono indimenticabili, è buona la performance di Rachel Brosnahan, già prostituta sacrificata dal Game of Cards pre-scandali Spacey e futura Fantastica signora Maisel.
Harry Lloyd, lo sfortunato fratello insopportabile di Daenerys Targaryen in Game of Thrones, fa il viscido anche qui; David Harbour, il barba di Stranger Things, qui fa una parte fastidiosa quanto drammatica; Christopher Denham, che avete visto in diecine di serie da Billions a Fringe a Utopia, qui è particolarmente nerd ed infido.
Non è che poi si può rimanere indifferenti se compaiono Daniel Stern (per chi non lo sapesse: il criminale socio di Joe Pesci in Mamma ho perso l’aereo, ora padre di un politico democratico), William Petersen (che avete visto nei primi film di Michael Mann e in Vivere e morire a Los Angeles del compianto William Friedkin o negli originali CSI), Neve Campbell (che è ancora viva!), Griffin Dunne (caposaldo del cinema anni Ottanta, dal Lupo mannaro americano a Londra al Fuori Orario di Scorsese) e perfino l’onnipresente scandinavo Peter Stormare, che, forse forte del germanico nichilismo per sempre infusogli dal Grande Lebowski, riesce ad infiltrarsi anche qui.
In pratica, ci sarebbe da guardarsi tutti gli episodi solo per i cameo dei caratteristi che hanno fatto il nostro immaginario cinematografico.
Manhattan tra scienza, storia, etica – e il timore del futuro
Manhattan esplora i complessi fili della scienza, della storia e dell’etica. Attraverso il contesto storico della Seconda Guerra Mondiale, le relazioni umane intricate e le questioni morali sollevate dalla corsa agli armamenti nucleari, la serie è un invito a riflettere sulla nostra capacità di creare e distruggere, e sul fatto che il progresso scientifico non è separato dalle emozioni umane – chiunque o qualunque cosa, alla fine, lo guidi davvero.
La serie ci ricorda che il potere della scienza è un’arma a doppio taglio, e che il nostro destino umano è intrecciato con le scelte che facciamo nell’esplorare i confini della conoscenza.
In un mondo che in questi mesi è più che mai alle prese con l’incubo dell’annientamento termonucleare (se non lo avete saputo, vi invidiamo), Manhattan vuole offrire un’opportunità di riflessione sulla direzione in cui stiamo dirigendo il nostro futuro.
Esseri umani costruiscono strumenti che distruggono gli esseri umani: se la mettete in questi termini potete dimenticare per un attimo che la cosa è in fondo così semplice.
Giudizio: sentimentale, stimolante, godibile. Tema altissimo, esecuzione OK.
Una storia di scienza borderline: Strange Angel