Love, Death & Robots è tornata a colpire con una stagione 3 che può anche rappresentare un ottimo punto di ingresso nello show. Le nove puntate del cosiddetto volume 3 sono infatti, da tanti punti di vista, un distillato delle buone ragioni per amare la serie antologica di animazione adulta americana di ambientazione più o meno fantascientifica. Per cui, se ancora non l’avete messa nell’elenco dei preferiti Netflix, è il momento di farlo. E partire da qui per andare a recuperare anche le prime due stagioni. O almeno, come vedremo, per recuperarne il meglio.
Love, Death & Robots non è infatti una serie semplicemente antologica: potremmo definirla super-antologica. Ogni episodio fa storia a sé. Ma sul serio. E non nel senso di una verticalità della trama, tipica dei progetti di animazione. In fondo persino quando, come nei casi più avanzati (per esempio la nostra amatissima Rick and Morty, di cui abbiamo parlato qui con un articolo e qui con una puntata del podcast), si allungano oltraggiosamente in una dimensione quasi orizzontale. Di trama sviluppata pienamente solo nell’arco di una stagione, o dell’intera serie.
Love, Death & Robots, anche in questo volume 3, mantiene le premesse e le promesse del suo folgorante esordio, nel 2019. Ogni puntata racconta una storia autonoma, auto-conclusa. Con personaggi, vicende, stili, ambientazioni completamente diversi. E persino tecniche di animazione l’una diversa dall’altra.
Love, Death & Robots 1, 2 e 3: “finger food sull’animazione mondiale”.
Per questo, l’anno scorso, scrivendo qui della prima e seconda stagione, l’avevamo definita un esperimento di “finger food sull’animazione mondiale”. Tantissimi assaggi, nessuno a rischio di satollare. E neppure di produrre nausea, o avvelenamento. E questo anche grazie a una formula brillante e al contempo furba. Quella di una serie animata antologica per adulti, di ambientazione fantascientifica, in grado di piacere ben al di là del recinto degli appassionati del genere, riuscendo ad avvicinare nuovi pubblici all’animazione.
In primis grazie al formato appunto super-antologico: con ogni breve puntata (dai 6 ai 17 minuti) del tutto autonoma, si possono proporre allo spettatore medio (e occidentale) storie e visioni molto diverse, senza imporgli il prezzo di un impegno narrativo da decine o centinaia di episodi. Quasi degli assaggi, o meglio: degli appetizer.
Non solo. Coerentemente, tutte le puntate di Love, Death & Robots, dall’esordio a questo volume 3, sono affidate a registi e case di produzione differenti. Ciascuna portando uno sguardo, una poetica, una tecnica diversi. E così consentendo, sempre in quella logica da finger food che si diceva, una piccola abbuffata: utile anche ai non esperti per farsi un’idea delle tendenze dell’animazione mondiale.
Basta, per dare un’idea, dire da dove sono venuti i 35 episodi fino a qui pubblicati di Love, Death & Robots. Circa una dozzina di Paesi diversi, e ancora più differenti studi di produzione. Con ovviamente gli americani a fare la parte del leone, ma tante puntate provenienti da mercati meno ovvi: Polonia, Ungheria, Russia, Spagna, Danimarca, Scozia, Francia. Oltre a Giappone, Inghilterra, Corea del Sud.
Amore, morte e robot. E poi, David Fincher.
Altro grande elemento di forza di Love, Death & Robots: una scelta tematica di sicura presa, attorno al trinomio Amore, Morte, Robot. Ogni puntata esplora così uno o più dei tre temi. Tanta violenza e tanto sesso (quest’ultimo soprattutto nella prima stagione). Assieme alla rappresentazione distopica del mondo futuro che ormai è la cifra dominante della fantascienza e di buona parte della narrazione d’oggi.
Ultimi elementi di contesto prima di venire al dunque. Love, Death & Robots è stata creata da Tim Miller e David Fincher come ripresa dell’universo concettuale di Heavy Metal, il film (1981) e la rivista di fumetti omonima (a sua volta ispirata dalla francese Métal Hurlant, metallo urlante).
Fincher, vabbè, è il signore che ha fatto Seven, Fight Club, Zodiac, The Social Network. Di Miller, che viene dagli effetti visivi, ricordiamo il divertente Deadpool (2016). Cosa ben più interessante, è in predicato per dirigere l’adattamento cinematografico (mille volte sfumato) del leggendario Neuromante (1984). Primo romanzo dell’immenso William Gibson e manifesto del genere cyberpunk.
Il capitolo 3 di Love, Death & Robots: le puntate imperdibili e quelle evitabili.
Com’è, dunque, questo volume 3 di Love, Death & Robots? Come abbiamo fatto capire in introduzione, è forse il capitolo migliore di quelli fino a qui prodotti. Perché sa trovare un equilibrio ancora più perfetto della prima stagione non solo tra i tre grandi temi del titolo, ma tra le tre diverse impronte che lo show si è dato. Quella comica-surrealista, quella estetizzante e d’azione, quella filosofica.
E allora, proprio come avevamo fatto per le prime due stagioni in questo articolo dello scorso anno, ecco una graduatoria delle puntate imperdibili. E di quelle evitabili. Le nove nuove puntate spaziano dai 7 ai 21 minuti di durata. Imperdibili per me sono stati almeno 3 episodi della nuova stagione di Love, Death & Robots. “La pulsazione della macchina”, “Sciame”, “Jibaro”. Ma no, che diamine: mettiamocene anche un quarto decisamente bello: “Un brutto viaggio”.
Un pochino sotto stanno altri episodi assolutamente meritevoli di una visione, non fosse altro che per la loro breve durata. “Sepolti in sale a volta”, “Tre robot: strategie di sopravvivenza” e “Mason e i ratti”. Il che ne lascia solo un paio, a far di conto, tra i trascurabili: “La notte dei minimorti” e “Morte allo squadrone della morte”. E in realtà più il secondo del primo, che è comunque abbastanza spassoso con la sua allegra parodia della recente ossessione per la zombie apocalypse, da The Walking Dead ai coreani.
I migliori della stagione: “La pulsazione della macchina”, “Sciame”, “Jibaro”
È soggettivo, ovviamente. Ma guardando la stagione 3 di Love, Death & Robots il mio cuore ha battuto per una puntata in particolare. “La pulsazione della macchina” (The Very Pulse of the Machine), di Emily Dean. La storia è di pura fantascienza filosofica. Dopo un incidente su Io, satellite di Giove, un’astronauta (con la voce di Rosario Dawson) cerca di tornare a casa. Trascinando con sé il corpo del proprio compagno di squadra. In privazione di ossigeno, costretta ad assumere droghe, l’astronauta esperirà una conversazione allucinante con il pianeta stesso. Che sembra interessato a conoscerla. Profondo, emozionante, denso di quesiti.
Sul secondo gradino del podio, “Lo sciame” (The Swarm). Qua il regista è il nostro Tim Miller, anche creatore primo della serie. Di nuovo, siamo dalle parti della fantascienza filosofica più complessa. Ma condensata in pochissimi minuti. Uno scienziato accetta di raggiungere una collega e di immergersi completamente nello studio di una popolazione aliena insettoide che ha dato vita a un sistema eco-ontologicamente complesso. Ma l’osservazione dei due non lascerà, come nella miglior tradizione della fisica quantistica, inalterato l’oggetto… Un altro gioiellino capace di sollevare domande radicali.
Al terzo posto della stagione 3 di Love, Death & Robots sale quindi “Jibaro”, dello spagnolo Alberto Mielgo. In una timeline alternativa alla nostra, un gruppo di conquistadores arriva a uno specchio d’acqua. Qui, una creatura simile a una sirena, coperta d’oro e pietre preziose, induce tutti a una follia autodistruttiva grazie all’incanto della propria voce: tranne un soldato sordo, con cui inizierà una sensuale e fatale danza… Un capolavoro visionario e folle, incredibilmente seducente per il mix di disegno ritmo e musica.
Gli altri episodi più interessanti della stagione 3 di Love, Death & Robots
Partiamo da “Un brutto viaggio”. L’episodio non entra (per me!) nella top 3 della nuova stagione di Love, Death & Robots ma solo perché la concorrenza era eccezionale. Eccezionale come il team creativo di questa puntata: David Fincher dirige, Andrew Kevin Walker scrive. Come in Se7en, nientemeno. In 21 minuti, l’episodio racconta l’appassionante partita a scacchi tra l’equipaggio di una nave e un antico mostro marino.
Un pochino sotto altri tre episodi meritevoli di visione. “Sepolti in sale a volta” ha il fascino di un racconto lovecraftiano, con il suo irresistibile coté di antiche divinità sepolte in tombe antichissime. L’esecuzione è buona senza essere eccelsa, ma se amate l’opera del maestro del fantastico novecentesco di Providence un’occhiata la dovete dare.
Le altre due puntate appartengono al filone comico-surreale di Love, Death & Robots, ben rappresentato anche in questa stagione 3 e assai amato dal pubblico. “Tre robot: strategie di sopravvivenza” è addirittura un ritorno, del tutto eccezionale nella logica antologica purissima che caratterizza la serie. I tre robot del titolo erano infatti già apparsi nella prima stagione, e qui proseguono la loro spassosa e sottilmente disturbante esplorazione storica dei resti di un’umanità che si è estinta.
“Mason e i ratti”, ultima delle puntate consigliate, è la più debole del gruppo. Ma questo dice della qualità di questa nuova stagione. Fra l’altro a dare la voce al Mason del titolo, in lotta contro una comunità di topi che stanno costruendo una civilizzazione nel suo fienile, è il celebre comico scozzese Craig Ferguson (mi raccomando sempre la visione in lingua originale: non è snobismo, è rispetto per l’opera d’arte. Almeno quando ci sono i sottotitoli, come sempre su Netflix).
Temi ed episodi imperdibili: ascolta il podcast su Love, Death & Robots
Love Death & Robots: fantascienza per tutti i gusti | PODCAST
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