Life of Crime: 1984-2020 (HBO, visibile in Italia su Sky e NOW) è letteralmente un pugno nello stomaco. Un documentario scioccante, della durata di due ore, girato nell’arco di ben 36 – trentasei – anni.
Autore, produttore e regista di questa epica impresa, presentata fuori concorso al Festival di Venezia nel 2021, è il pluripremiato documentarista Jon Alpert (Baghdad ER, Cuba and the Cameraman).
Protagonisti di quella che in realtà è una trilogia, alla quale Jon ha dedicato decenni della sua vita, sono Rob, Fred e Deliris. Tre tossici di Newark, la più grande città del New Jersey. La città, per intenderci, in cui è ambientata la classica serie I Soprano, cui abbiamo dedicato un ampio speciale. La loro parabola esistenziale viene ripresa, con telecamera spesso nascosta, dalla giovinezza (all’inizio delle riprese sono ventenni) fino alla tragica morte di ognuno di loro.
Life of Crime: 1984-2020 conclude come dicevamo una trilogia, iniziata nel 1989 con One Year in a Life of Crime, dopo che tutti e tre erano finiti in prigione – chi per rapina, chi per furto, chi per reati connessi agli stupefacenti. Nel ’98, con Life of Crime 2, Jon segue i tentativi di Rob e Fred, entrambi in libertà vigilata, di restare puliti e rifarsi una vita.
Questo terzo e ultimo capitolo è dunque una summa delle loro esistenze, giunte nel frattempo alla fine.
Le tre storie struggenti e sgangherate di Life of crime
Sotto lo scimmiesco e pesantissimo mantello dell’eroina, ad intervalli di diversi anni, vediamo la sconvolgente evoluzione – e involuzione – delle loro vite. Dentro e fuori prigione, tra lavori saltuari e furti da quattro soldi, parenti ubriaconi, prostituzione. A tratti – per periodi più o meno lunghi – addirittura ripuliti dalla droga.
Alpert è in qualche modo affascinato da Rob e Fred. Dalla loro bonaria ingenua schiettezza e dalla singolare creatività che dimostrano di avere come delinquenti. “Perché lavorare duramente e guadagnare 150$ alla settimana, quando posso farne altrettanti con un solo colpo?” – dice uno dei due con tenera spacconeria.
Le loro storie, talvolta struggenti talvolta sgangherate, si svolgono principalmente tra i quartieri più degradati di Newark. Tra i sedili di una macchina, in motel super economici, o più spesso per strada… Nel cortile sottostante l’appartamento di Deliris staziona in pianta stabile una dozzina di pusher di colore: quando lei passa, la chiamano per nome… Poco importa che già sappiano stia cercando di restare pulita. E se non sono quelle le voci che continuano a tentarla, ce ne sono sempre altre. Magari anche solo dentro la sua testa…
Così i tentativi di evasione, per così dire, altrove sono tutti destinati a naufragare. L’ormai quarantenne Fred, resosi latitante, si aggira sperduto per New York, consapevole di avere toccato il fondo e di non sapere che altro fare, dove altro andare. Ed è uno dei tanti momenti strazianti che costellano, soprattutto verso la fine, Life of Crime: 1984-2020.
Un vecchio pregiudizio in bianco e nero
Le storie di Rob, Deliris e Fred sono intrecciate fin dall’inizio: negli anni Ottanta i due amici, giovani incoscienti e spensierati, vivacchiano rubando merce di ogni tipo nei negozi del quartiere. I soldi servono soprattutto per l’eroina.
Deliris è dapprima la donna dell’uno, poi dell’altro. Ha un diploma e due bambini piccoli. Talvolta Kiki, la figlia più grande – di 9 anni – le controlla le braccia in cerca dei segni delle iniezioni. Con Rob e Fred dietro le sbarre, finisce a battere e bucarsi per le strade di Newark. Kiki le dirà, in un altro momento particolarmente toccante: “We know how much we love you but we don’t know how much you love us” (sappiamo quanto ti vogliamo bene ma non sappiamo quanto tu ne voglia a noi).
Siamo giusto nel pieno dell’arcinota guerra alla droga americana. Una guerra, tra le tante altre cose, portata avanti nel concreto da poliziotti bianchi contro gente di colore.
E in Life of Crime: 1984-2020, che pure è pieno di pusher e tossici di colore, non è un caso se i protagonisti non lo sono. Rob è caucasico, Fred e Deliris sono ispanici. Dentro il carcere, i due uomini sono circondati soltanto da persone di colore. E una scena in particolare è molto emblematica al riguardo: Rob viene fermato di notte da un poliziotto. Gli dice che non vuole più vederlo girare in quel quartiere, perché è un quartiere nero. E lui – che in fondo è un bravo ragazzo – da quelle parti finirà sicuramente rapinato o ucciso.
Life of crime: squallore, dentiere scadenti e malattie
“Who were the criminals? Why are they doing this? Can we understand them?” (chi erano i criminali? perché fanno quello che fanno? possiamo in qualche modo comprenderli?) – si chiede Jon Alpert. Per criminali intendendo i piccoli delinquenti da strada, che erano per lo più – come in buona parte ancora oggi sono – tossicodipendenti.
Giusta domanda, e Life of Crime: 1984-2020 è a dir poco una grandiosa risposta. Comunque in parte ancora viziata, inconsapevolmente se si vuole, da una sorta di pregiudizio razziale. Bianca o nera che sia, l’invulnerabilità della giovinezza lascia presto il passo ad una triste decadenza fatta di squallore, dentiere scadenti e malattie. E anche le riprese dello stesso Jon, che è solito dialogare con i protagonisti, si fanno via via più empatiche.
Indugiando meno sulle loro pittoresche spacconate e più sulle loro amare ed intimistiche considerazioni esistenziali. In poche parole, più passano gli anni più il regista diventa sinceramente loro amico. Ecco allora che, cresciuta la confidenza come in parte la maturità di tutti i soggetti, i suddetti dialoghi si fanno più profondi e toccanti.
Rob, finito più volte in galera per i furti, cerca disperatamente di restare sulla retta via, vendendo macchine usate o – i paradossi della vita! – sistemando merce sugli scaffali dei negozi. Fred, scontata una pesante condanna per rapina, cerca di rigare dritto per poter ricostruire un rapporto con i figli, diventati nel frattempo adolescenti. Scopre di avere l’AIDS.
Entrambi in libertà vigilata, sono seguiti dagli appositi garanti e assistenti sociali.
Una telefonata inaspettata (e un inaspettato funerale)
Entrambi devono lottare contro i demoni dell’eroina, che nessuno di loro riuscirà mai realmente a sconfiggere. E contro il proprio recente passato, che limita loro fortemente le possibilità di riscattare il presente.
Il garante per la libertà vigilata impone a Fred di trovarsi un’altra sistemazione, essendo gli appartamenti della sua famiglia pieni di alcolizzati e di gente che fuma crack. Ma non può certo permettersi di vivere in albergo. E l’alternativa, purtroppo, è una triste topaia. Rob, nonostante sia stato un lavoratore impeccabile a giudizio dei suoi superiori, viene licenziato non appena i suoi trascorsi da galeotto vengono a conoscenza degli stessi.
Nel 2002 un’overdose stronca la vita di Rob. Il corpo verrà trovato nel suo appartamento dopo giorni, in avanzato stato di decomposizione. Fred era già morto pochi anni prima di AIDS, in prigione. Jon, ritenendo morta o chissà che anche Deliris, pensava di aver concluso le riprese del suo documentario. Poi arriva, inaspettata, una telefonata: proprio da Deliris, che è incredibilmente riuscita a restare pulita per più di dieci anni. Facendo dell’aiutare i tossici a ripulirsi una vera e propria missione. Tanto da venire premiata come cittadina dell’anno di Newark nel 2019.
Life of Crime: 1984-2020 potrebbe allora concludersi, come nelle intenzioni dell’autore, con un inno alla speranza. Ma nel 2020, a causa dell’isolamento imposto per il Covid 19, dopo tredici anni di sobrietà e soli due mesi di incontri per narcotici anonimi saltati, Deliris ci ricasca un’ultima volta. Morendo di overdose. Le scene del suo funerale chiudono questo potente documentario. Non era certo il finale che Jon aveva desiderato.
Life of crime e l’ennesima guerra persa dagli USA
Jon Alpert non è l’unico autore di questa spiazzante trilogia. Deliris, Fred e Rob hanno creduto con forza in questo progetto, e senza il loro paziente e pazzesco contributo, quest’opera non avrebbe visto la luce.
Si sono concessi alla telecamera, nel corso di almeno due decenni, mostrandosi nel bene e nel male. Nei momenti di speranza e nei fallimenti più neri. Per lasciare una testimonianza indelebile di cosa sia una vita segnata dalla droga in America.
Dove, dal 1984 al 2020, gli oppioidi hanno ucciso più di 5 milioni di persone. Per fare un paragone, i soldati americani morti nelle guerre combattute dagli USA sono un milione e mezzo. Questa considerazione compare a chiudere il film, subito prima dei titoli di coda. Un film che non è ovviamente per tutti.
Ma le scene più forti di Life of Crime: 1984-2020 – Fred alle prese con una siringa e le vene del collo di una ragazza, Deliris e i camionisti, il cadavere in decomposizione di Rob all’obitorio – non sono di natura sensazionalistica o scandalistica. Sono invece semplicemente un tentativo di immergere lo spettatore nella crudezza di una realtà troppo spesso manipolata o censurata.
36 anni dopo l’inizio delle riprese per questo documentario, i morti per droga negli Stati Uniti sono aumentati come non mai. Segno che la guerra alla droga è l’ennesima guerra che gli USA hanno ormai da tempo clamorosamente perso.
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