David Lynch è considerabile come il regista più osannato, citato, discusso degli ultimi decenni. In ispecie le generazioni di giovani con inclinazioni intellettuali – quelli che l’antico marketing della segmentazione psicografica chiamava «delfini», e che ora giovani non sono più – hanno blaterato sull’opera lynchiana in infinite conversazioni diurne e notturne, sobrie e alterate, nei bar e alle feste private, fuori dai cineclub o dalla Biennale.
Per quanto egli possa aver ispirato tanti esseri umani, la realtà è che non c’è una vera filiazione cinematografica del lynchianesimo: non è possibile, in alcun modo, vedere l’influenza di David Lynch in altri cineasti. Troppo originale, troppo unico, troppo enigmatico. Ispirarsi anche solo ad una sfumatura di Lynch può sembrare subito un ladrocinio intollerabile, una pretenziosità da evitare. Anche grandi nuovi cineasti come il danese Nicolas Winding Refn, che per alcuni tocchi atmosferici (scene con luoghi chiusi, luci colorate e gente che canta davanti a pubblici a caso…) ad alcuni ricorda il David, in realtà si tengono alla larga dal riproporre su schermo tutto quello che possono avere assorbito da Lynch – che è, come per tutti noi, tanto, tantissimo.
C’è tuttavia un mondo che non ha avuto paura mai, sin dai decenni scorsi, di dichiarare la propria apertura nei confronti di Lynch, rivendicandolo apertis verbis come inarrivabile fonte di ispirazione.
Archeologia della colonna sonora
La colonna sonora di Dune realizzata dai Toto (con l’eccezione del mistico Prophecy Theme, eseguito dall’iniziatore dell’ambient elettronico Brian Eno), per esempio. Nel booklet del CD (oggetto metallico informatico atto a riprodurre musica tramite un dispositivo laseristico, per il lettore nato negli anni 2000) i Toto ringraziavano Lynch come loro «guida verso lo sconosciuto», e non immaginiamo nemmeno che conversazioni il maestro possa aver avuto con la band di Africa e Hold the Line.
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Le colonne sonore di Lynch, specie a partire dagli anni Novanta, cominciarono ad avere un impatto potente sulla discografia. Come usava fare in quegli anni, vi era una sorta di product placement musicale nelle pellicola e nella relativa OST («Original Soundtrack», colonna sonora originale) che si comprava al negozio di dischi.
L’ultima stagione di Twin Peaks, con la presenza al locale Roadhouse di un gruppo diverso per ogni episodio, è forse un goffo, ostinato omaggio a quell’epoca, in cui anche le serie TV usavano lanciare dischi e gruppi vari (cosa che in realtà perdura pure oggi: basta ricordare Billions rovinata da una marchetta ai bollitissimi Metallica, S01E04)
Possiamo dire che senza Cuore Selvaggio non avrebbe avuto senso la carriera del Chris Isaak di Wicked Game (nonostante Il Piccolo Buddha di Bertolucci); senza Strade perdute il mondo non avrebbero scoperto il pirotecnico metal DDR dei Rammstein.
Lynch e la musica, oltre Twin Peaks
David Lynch partecipò lui stesso a varie iniziative musicali. Il suo impegno per la meditazione trascendentale lo ha portato a incidere album di spoken word sull’argomento. Ma non si è tirato indietro rispetto anche ad avventure propriamente musicali.
Con la cantante Jocelyn West – un tempo nota come Jocelyn Montgomery, vocalist della band folk-ethereal-darkwave Miranda Sex Garden – pubblicò vari album, producendone uno, Lux vivens, dove erano eseguite le musiche scritte da Sant’Ildegarda di Bingen.
In anni recenti, Lynch ha ammesso che la sua ossessione per gli anni Cinquanta non è ancora esaurita, lavorando con una giovanissima musicista svedese, Likke Li (assurta al successo a fine anni 2000 grazie alla fortunata hit Little bit) per un pezzo ipnotico con video molto minimalista e – ça va sans dire – lincesco.
E poi, su tutto, nel pensare all’ispirazione insufflata dal Lynch nel panorama audiomondiale, non possiamo non citare, en passant, due nomi: Julee Cruise e Angelo Badalamenti.
La mafia di Badalamenti e la musica di Twin Peaks
La colonna sonora di Twin Peaks di Badalamenti, con le sue caratteristiche note di piano o chitarra e gli schiocchi di dita, divennero una sorta di stereotipo musicale, quasi quanto il canto romeno ortodosso dell’orgia di Eyes Wide Shut.
La colonna sonora di Twin Peaks finì nel 2002 ad accompagnare la trasmissione TV di Raitre L’Elmo di Scipio realizzata da Enrico Deaglio in cui parlava dei misteri della mafia all’altezza dell’anno fatale 1992: da Badalamenti Angelo a Badalamenti Tano.
Aldo Grasso, sul Corriere, lodò l’idea. «Scelta felicissima, dal punto di vista espressivo, e interessante chiave di lettura per rileggere eventi infausti: solo la musica di Twin Peaks (…) poteva restituire l’aura di mistero e paura che ancora oggi impregna quelle immagini».
Bah.
La caduta di Julee Cruise
Julee Cruise è invece la voce più riconoscibile di tutta l’opera di Lynch, rimasta indimenticata per i suoi vocalismi, neppure tanti a pensare il vero, nella colonna sonora di Twin Peaks.
Falling, una delle canzoni più memorabili del decennio che era una variazione della sigla della serie, fu eseguita perfino al Saturday Night Live , dove la Cruise, che era percepibile come l’eterea estensione vocale di Lynch e del suo mondo opaco, fu ospitata nel 1990. Era andata a sostituire, pensate, Sinead O’Connor, che si era ritirata dallo show comico per una delle sue bizze (molto prima di strappare la foto di Giovanni Paolo II o di esaurirsi in tutti i modi possibili)
La musica della Cruise, che aveva iniziato a lavorare con Badalamenti e Lynch sin da Velluto Blu (1986) finì poi in uno sfortunato film di fantascienza di Wim Wenders: Fino alla fine del mondo (1991).
I Depeche Mode inclusero una sua canzone (In My Other World) rifatta in un loro album di cover, ma a parte questo e tanti altri passaggi su altre colonne sonore e serie TV, della Cruise non in molti si ricordavano.
L’ascesa dei Cromatici
Certamente, vi sarebbe stato qualcuno che invece dei suoni rarefatti della triade Lynch-Cruise-Badalamenti si sarebbe rammentato. Dall’inquieta Portland, Oregon, un gruppo elettronico post-punk, i Chromatics, cominciò a affermare apertamente quanto Julee Cruise avesse influenzato il loro suono. I Chromatics finirono a fare da motore alle musiche del ritorno di Twin Peaks nel 2018. La canzone Shadow, con le sue note virginali, è considerabile come il nuovo inno della serie.
Il deus ex machina dei Chromatics, Johnny Jewel, portò le atmosfere lynchiane nel film, non riuscitissimo ma di grande atmosfera, Lost River, opera prima da regista dell’attore hollywoodiano A-list Ryan Gosling (dal film, per inciso, uno può capire che il lato oscuro della Disney – dove Gosling è cresciuto al fianco di Britney Spears, Justin Timberlake e Christina Aguilera – potrebbe essere realtà).
La canzone di Jewel che traina il film, Tell me, cantata dalla bravissima giovin attrice irlandese Saoirse Ronan, lascia davvero intravedere le pennellate profonde dell’universo di Lynch.
Tuttavia, è fuori dal mainstream che l’influenza musicale lynchiana si fa sentire in modo più evidente – anzi, ai bordi di Hollywood e del mondo dello spettacolo istituzionale, essa può essere rivendicata, se non propriamente invocata.
Musica della casa delle streghe per Twin Peaks
Parliamo di un genere sconosciuto ai più, attivo all’incirca a cavallo tra gli gli anni zero e gli anni ‘10: il Witch House.
Si tratta di un genere (qualcuno dice: microgenere) derivato dall’elettronica. Qualcuno sostiene che sia una gemmazione sottoculturale di Internet, tuttavia la scena ha ancora una sua solidità anche fuori dalla rete.
I suoi temi sono l’oscuro e l’occulto, ma con riferimenti visivi apertamente presi dai media (film horror, etc.), su tutti l’ormai dimenticata operazione cinematografica campione di incassi Blair Witch Project, di cui il genere sembra voler rievocare il senso di stuporoso terrore.
Il Witch House è fatto da suoni hip-hop tritati e avvitati, sperimentazioni al limite del tollerabile, sonorità industriali, campionature noise, drum machine, sintetizzatori dichiarati, tappeti sonori di droni, vocalismi eterei o indiavolati. Alcuni pezzi sono al limite del situazionismo: prendono una hit pop famosa, e la rallentano, sino a farla diventare un pezzo tra il sognante e l’inquietante, magari con l’introduzione di messaggi in backmasking.
L’estetica visiva della Witch House è molto definita: gli artisti del genere amano i collage e immagini ispirate all’occulto, alla stregoneria, allo sciamanesimo – talvolta prese direttamente da qualche filmaccio italiano dei decenni scorsi. In tutto il linguaggio usato c’è un eccesso di messaggi nascosti ed elementi tipografici come i simboli Unicode, che rendono i nomi dei gruppi, tra triangoli e croci, quasi illeggibili, impronunciabili.
Per esempio, uno dei gruppi più famosi si chiama BL▲CK † CEILING, che starebbe per «Black Ceiling» («soffitto nero»). Ma ci sono anche i DE▲th▲Co▲ST*, i ✞dirty ph△rm△ceutic△ls✞, spf5Ø, i BLΛXLΞΞP*, i M‡яc▲ll▲ (che non sappiamo come pronunziare) e i Шike Ƀongiorno’s Ͼorpse, che crediamo stia a significare «Il cadavere di Mike Bongiorno», che come sapete ad un certo punto venne orrendamente trafugato – proprio lui che, come ha ricordato Mondoserie, aveva lanciato Twin Peaks sulla rete ammiraglia berlusconiana dicendo che fors’anche era meglio di Dallas.
L’attrazione degli artisti Witch House per Twin Peaks fu quindi immediata, e notata dalla stampa specializzata. Occulto, stregonesco, pauroso, simbolico, illeggibile: cosa altro era se non questo Twin Peaks? (per inciso: Twin Peaks nel linguaggio Witch House diventa «TW1N P34KS»)
Così, nel 2011 uscirono per l’etichetta Phantasma Disques ben 4 album collettanei che raccoglievano le musiche che artisti della Witch House hanno dedicato a Twin Peaks. An Okkvlt And Witch House Tribute To Twin Peaks, opera in 4 volumi, conta in tutto 66 tracce.
Ascolta: Silver Strain – A Blue Rose [Twin Peaks]
Gli album uscirono con una tiratura minima – 125 copie. Gli appassionati del telefilm lynchiano di tutto il mondo corsero a trovare il modo di ascoltarli. Non a tutti piacque, ma è naturale. La stranezza di Twin Peaks, pure digerita dai fan, è elevata a potenza dalla stramberia dei musicisti Witch House.
Le cover dei dischi sono collage allucinanti che sembrano sintetizzare l’esoterismo implicito della storia dell’agente Cooper e dintorni. I pezzi contenuti nei quattro dischi sono davvero molto vari, creativamente differenziatissimi, con titoli come «Reincarnation of Laura Palmer», «Burst into flames and the angels won’t help me», «Fire Turns with me»: tutte distorsioni devozionali dei contenuti della grande serie.
L’ascolto di questi dischi è difficoltoso. È materia dura e oscura, senza compromessi: appunto, si tratta di materia di devozione, quindi di un afflato di grande purezza.
L’amore per Twin Peaks e il Lincioverso è qui visibile e in nessun modo negabile.
Synthwave Peaks
Ma c’è un altro sottogenere musicale di questi anni che ha pagato il suo tributo.
Il Synthwave, o retrowave, è un’altro ramo sottoculturale dell’elettronica che ha come oggetto il culto della musica associata alle colonne sonore di film d’azione, fantascienza e horror degli anni ’80, così come ai vecchi videogiochi 8 o 16 bit di quegli anni.
Il synthwave è una celebrazione continua di certa estetica degli anni Ottanta, da John Carpenter ai film adolescenziali di John Hughes, dai videogame come Outrun alla musica di sintesi di Jean-Michel Jarre e dei Tangerine Dream, da Terminator ai giochi giapponesi.
Per quanto ora essa spazi dalla Polonia agli USA, la scena synthwave nasce soprattutto in Francia (Paese che ha amato, e finanziato, David Lynch). College, Kavinsky, M83, e Justice sono nomi più o meno mainstream riconosciuti come iniziatori del genere, che esplose nel 2011 con il successo del film Drive, nella cui colonna sonora erano presenti tutti costoro e pure Johnny Jewel dei Chromatics sopracitato. Il film era diretto dal summenzionato, a tratti come abbiamo detto lynchiano, Nicolas Winding Refn, che lanciò definitivamente Ryan Gosling come attore di spessore.
La compilation di tributo The Next Peak, in tre volumi, è uscita nel 2015 direttamente su siti di distribuzione web indipendente come Bandcamp per l’etichetta Retro Promenade.
A differenza del lavoro dei colleghi dei Witch House, nei forum degli appassionati di Twin Peaks, l’operazione retrowave è piaciuta molto.
Se è vero che è la nostalgia il motore di tanta dell’ispirazione di cui abbiamo parlato – chi all’epoca esisteva, ricorda con un misto di languore e tremore le sere in cui si trasmetteva su Canale 5 il telefilm del secolo – è vero anche che non è difficile immaginare la prossima ondata della nostalgia lynchiana, quella dei film a cavallo tra gli anni Novanta e i primi 2000.
Lost Highway, film tenuto per lungo tempo sepolto dalla distribuzione italiana, era proiettato in VHS NTSC (cioè, portati dagli USA) nei circoli culturali cinefili, in tuguri da archeologia industriale con le sedie di plastica e neanche l’ombra di un sottotitolo. Mulholland Drive, film ancora più potente, che invece grazie ai francesi (che ci misero i soldi e pure Cannes) arrivò subito nelle sale cinematografiche, che – nonostante la narrazione ostica – si riempivano in modo sorprendente…
Chi scrive ha nostalgia anche di quei momenti. Qualcuno, un giorno, riuscirà a trasporla in musica.
Chissà.
https://youtu.be/aepBpZ3kXek
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