Joe vs Carole (distribuita sul canale Peacock nel 2022, in Italia su Sky e NOW) è la drammatizzazione (in 8 episodi) delle vicende narrate dal celeberrimo Tiger King. Cioè il documentario Netflix che in pieno lockdown è divenuto fenomeno virale e globale, e di cui abbiamo scritto qui e qui – e discusso qui nel podcast. Ufficialmente basato sulla seconda stagione di un podcast – Wondery’s Over My Dead Body – sempre sullo stesso argomento (per non dover ricorrere all’abusato documentario sopracitato), questa miniserie è stata scritta da Etan Frankel (Shameless, Friday Night Lights), mentre Justin Tipping ne ha diretto i primi quattro episodi.
Commedia drammatica o, come dicono oggi in yankeelandia, ‘dramedy’, la serie ripercorre le tappe fondamentali dell’ormai mitica faida, durata ben sette anni. Quella tra Carole Baskin, l’attivista pasionaria dell’associazione no profit Big Cat Rescue, con la missione di salvare tutti i grandi felini d’America, e Joseph Schreibvogel, ovvero Joseph Maldonado-Passage, ovvero Joe Exotic, ovvero Tiger King. L’irresistibile e controverso personaggio giunto paradossalmente a fama mondiale solo dopo aver iniziato a scontare una pena detentiva ventennale.
Una storia a dir poco eccentrica, dove la realtà supera di gran lunga la fantasia. Con due bizzarri protagonisti, apparentemente agli antipodi. Eppure entrambi narcisisti patologici, mitomani incalliti e manipolatori senza scrupoli. Una storia, soprattutto, già raccontata con dovizia di particolari. Perché dunque metterla in scena?
Infatti, al di là dell’ovvia e becera operazione commerciale (che aveva già partorito due seguiti piuttosto insensati e sgangherati dell’originale), Joe vs Carole per lo più non si preoccupa di raccontare la vicenda. Già praticamente da tutti conosciuta.
Il tormentato passato di Joe Exotic e di Carole Baskin
L’obiettivo della narrazione è invece quello di costruire due percorsi esistenziali paralleli, antitetici e al contempo similari: da qui il continuo ricorso alla formula del flashback che, scavando nel loro passato, ne evidenzia le situazioni traumatiche e le difficili scelte. Costruendo per entrambi una sorta di ruffiana agiografia.
Di Carole si inscena la tormentata adolescenza con fuga da casa e i due tormentati matrimoni precedenti, senza dare troppo risalto (come invece si fa nella seconda stagione di Tiger King) al suo ruolo nella scomparsa di Don Lewis (l’ex marito n. 2). Scomparsa che invece anni dopo, grazie alle malelingue sobillate proprio da Joe Exotic, diverrà per lei ulteriore motivo di tormento.
Del giovane Joe si evidenziano invece i problemi legati al vivere liberamente la propria omosessualità in Texas e, in seguito, in Oklahoma; segue la tragica scomparsa del primo marito, morto di AIDS nel 2001. La santificazione del personaggio raggiunge il culmine nella scena in cui ammazza cinque delle sue tigri – una delle ragioni per cui in realtà ora si trova in prigione. E nella realtà la motivazione era fare spazio all’arrivo di nuovi grandi felini, in condizioni decisamente migliori.
In Joe vs Carole invece, per licenza poetica, esegue l’eccidio affinché non debbano soffrire nel prossimo futuro, lasciate nelle ciniche e indifferenti mani del nuovo proprietario del Greater Wynnewood Exotic Animal Park (ovvero il truffaldino Jeff Lowe).
Joe vs Carole: lo scontro di due solitudini
E così questi due antagonisti così distanti tra loro, ma i cui percorsi sono destinati ad intrecciarsi indissolubilmente – pur incontrandosi una sola volta faccia a faccia, durante il fatidico processo finale – vengono sublimati – e in un certo senso moralmente giustificati – attraverso un profondo, radicato e sofferto sentimento di solitudine. Che sembra non abbandonarli mai. Nonostante Carole abbia sempre al suo fianco, oltre ai volontari della sua associazione, il più accondiscendente dei mariti, Harold (un fantastico Kyle MacLachlan, l’agente Cooper di Twin Peaks). Nonostante Joe, avendo dalla sua tutta la crew di derelitti dello zoo, riesca a maritarsi contemporaneamente con due giovanotti etero (o quasi). Vero è che da uno – John Finlay (Sam Keeley) – verrà abbandonato. Mentre l’altro – Travis Maldonado (Nat Wolff) – morirà tragicamente poco più che ventenne.
Il finale, all’insegna di un surreale buonismo, ci mostra lei riuscire finalmente a godersi una vacanza – la prima dalla luna di miele – con Harold. E lui, in carcere, scoprire attraverso internet di essere diventato famoso in tutto il mondo, ritrovando così la joie de vivre…
Niente a che fare con la sporca, immensa e squallida realtà del documentario. Che aveva già maestosamente narrato questa fantastica storia. Senza alcun bisogno di edulcorare l’anima dei suoi mostruosi protagonisti.
Segno dei tempi, questo passaggio da una straordinaria realtà, straordinariamente documentata, ad una fiction. Che giocoforza non può dire niente di nuovo. Ma che è anzi costretta ad appiattire l’insondabile profondità dei personaggi.
Senza nulla togliere alla ineccepibile performance – volutamente sopra le righe – del cast di Joe vs Carole, come sempre azzeccato. Da John Cameron Mitchell (Joe Exotic) e Kate McKinnon (Carole Baskin), stella del Saturday Night Live, al sopracitato MacLachlan (il protettivo Howard Baskin), Brian Van Holt (John Reinke), Marlo Kelly, William Fichtner, Dean Winters, David Wenham…
Dalla controversia reale a una fiaba dei nostri tempi
La tutto sommato inutile ridondanza narrativa e performativa di questo dramedy degli eccessi non è quindi stata perdonata dalla critica statunitense e tanto meno dalla maggior parte degli spettatori. Molto probabilmente è sfuggito l’intento principale di questa messinscena. E cioè, sublimare una ciclopica controversia realmente accaduta in una fiaba dei nostri tempi.
Una fiaba spudorata sulla sfrenata egomania. Che conduce l’uno a candidarsi a governatore dell’Oklahoma – distribuendo ai simpatizzanti futuri elettori preservativi con stampatovi il proprio volto. E l’altra a realizzare un servizio fotografico, nel giorno delle terze nozze, in cui la si vede portare a spasso il marito – travestitosi da primate – a quattro zampe e con tanto di guinzaglio…
Nel frattempo, nella cosiddetta realtà il povero Joe – che non ha potuto materialmente godere della popolarità conseguita negli ultimi pandemici anni – è tristemente rinchiuso in un carcere del Texas. Malato di cancro. E tra le scene finali dello show, viene riproposta la prima intervista che Carole – con una corona di fiori a cingerle il capo – rilascerà per ciò che in seguito diverrà Tiger King.
Tutto così assurdo, fuori e dentro lo schermo… Non ultima la scelta di Joe vs Carole di non avvalersi di veri animali per le riprese. Puntando tutto sulla ricostruzione virtuale ad opera della tecnologia CGI (con risultati invero assolutamente dignitosi).
Ma se nemmeno le tigri sono reali, in questa finzione che racconta una storia vera, come sperare di poter distinguere tutto il resto?
La storia vera e folle di Tiger King: ascolta il podcast!
E leggi l’articolo: Tiger King, manifesto sulla follia del nostro tempo