Tutti noi, orfani di miti che resistono al tempo, vorremmo essere Jack Taylor.
Così si intitola il poliziesco del 2010 (uscito su Giallo Tv tre anni fa e recuperato da Netflix, 3 stagioni per un totale di 9 puntate lunghe), un po’ noir, un po’ introspettivo, che non ha avuto il successo che meritava. Nel mondo delle serie, per scovare un irregolare tocca andare alla ricerca con il lanternino dei vecchi cari clichés novecenteschi.
Stereotipi, generi, personaggi alla prova del post-moderno.
Sissignori: gli stereotipi hanno la loro rivincita, se nell’ultimo decennio in tutti i prodotti televisivi (e anche cinematografici) si sono sistematicamente decostruiti i generi di riferimento e i personaggi idealtipici, rendendo problematico e sfaccettato ogni angolino di immaginazione. E’ il po-mo, bellezza: la post-modernità che scava e sfaccetta identità e confini. Naturalmente questo, nella realtà, ha portato all’imposizione di nuovi luoghi comuni, per cui, per esempio, non c’è ormai cast che non includa un componente omosessuale (il che ci sta poiché riflette i tempi, a patto non risulti una forzatura).
Senza contare il fatto che, a fronte dell’esaltazione di una diversità spesso non poi così diversa dal vissuto quotidiano, si scade altrettanto volentieri nel melenso e nel rassicurante. In una costellazione di protagonisti atipici, complicati, naif, trovarne uno che si differenzi è impresa eroica. Ecco, è proprio un eroe quel che manca nell’immaginario seriale. Un eroe positivo in senso moderno, in cui identificarsi pur con i suoi limiti e difettacci, e tuttavia pur sempre un eroe. Cioè un individuo sopra la media, umano troppo umano al punto da essere vagamente sovrumano, uno a noi simile e ciò nonostante parecchio dissimile, che ridia quel tanto di fiducia nell’essere umano purificandoci dalla desolazione della sciatta mediocrità come dal doping adrenalinico di vicende sospese nel fantastico e nell’irreale.
Jack Taylor, un moderno Philip Marlowe.
Uno così è Jack Taylor. Impersonato da quell’affascinante faccia da schiaffi di Iain Glen (Jorah Mormont in “Game of Thrones”), l’ex poliziotto della cittadina costiera di Galway, in Irlanda, è un Philip Marlowe sputato, che mena una vita da sfaccendato in spola fra una camera d’affitto e il pub scolandosi quantità industriali di birra e whisky, il tutto innaffiato da un’ironia cinica ultima àncora di salvezza per chi ha perso – ammesso l’abbia mai avuta – la Speranza. Trasposizione dei romanzi di Ken Bruen, l’insieme di tre stagioni sono una chicca nascosta fra i meandri del piccolo schermo, con la sapiente limitazione di non tradurre i dialoghi in italiano, salvaguardando così la rude inflessione irlandese, autentica goduria per orecchie fin troppo abituate al latrato americano.
Gli episodi sono ciascuno a sé, quasi dei lungometraggi da 90 minuti, benché un filo rosso si dipani nell’evoluzione del personaggio principe, che passa da uno stato di disperata rassegnazione al suo male interiore (il padre morto presto che gli ha lasciato in eredità, oltre a un segreto, l’amore per letteratura e filosofia, la madre più odiata che amata, l’assenza di conforto nella fede nonostante gli ronzi attorno un parroco bonario e tabagista, i sentimenti sepolti e malamente compensati da un certo via-vai sessuale) per giungere a una faticosa apertura al prossimo (dura, all’inizio, sopportare la presenza di una spalla, una specie di Robin per lui Batman solitario) e, dai e dai, anche agli affetti, facilitati almeno da modi che si addolciscono davanti alle donne, per quanto con un fare da burbero gentleman all’antica.
Jack Taylor, un duro dal cuore buono
Insomma, a parte l’alcolismo e i fine mese in bolletta, chi fra noi maschietti non vorrebbe essere Jack Taylor? Non perché sia originale, ma proprio perchè non lo è, riportandoci a quella figura del duro dal cuore buono che oggigiorno è una rarità, in mezzo a tutti questi mollaccioni che si prendono maledettamente sul serio. Detto che, stando all’unico fra i libri di Bruen editi in italiano (la prima puntata), questa è la classica serie che rende molto di più del testo scritto cui rimanda, l’hard-boiled qui non sconfina nel pulp, si ferma un passo prima, con eleganza un po’ di maniera ma indovinata, corrispondente al tratto intelligente e compassionevole di una storia a tappe che in fondo è ricerca di sé, delle proprie ombre, fra citazioni di Nietzsche e sberleffi alla Chiesa.
Lo sfondo religioso torna più volte, a partire dalle pesanti intrusioni pedofile di preti degenerati nell’esistenza di ragazzi innocenti (anche per questo, azzardiamo, nel nostro Paese, forse un po’ meno cattolico della cattolicissima Irlanda ma con il Vaticano ben piantato a Roma e ancora forte nel controllo sociale, Taylor non è stato granchè pubblicizzato).
Nella piovosa Irlanda, un anti-eroe tormentato e gentiluomo.
L’investigatore dalla battuta tagliente indaga rischiando sempre grosso, rimettendoci in botte e sparatorie, tragicamente propenso a dimostrare quanto la vendetta sia il rifugio dei più deboli, non la prova di una superiore forza. E’ un senzadio con i suoi déi interiori, che si chiamano dignità, onore, lealtà, senso di giustizia. E’ un violento per necessità, non per passione di violenza. Dentro è spezzato e va a caccia di dolore, di vite lacerate per esorcizzare la sua fragilità, avvolta nel pastrano di quando era in servizio, feticcio che non ha mai voluto dare indietro.
E’ un classico anti-eroe, ma in quanto tale è ancora un eroe, con una dirittura morale da far invidia al megalopsychos (il magnanimo, il “grande animo”) dell’etica aristotelica. Con in più la simpatia trasandata da uomo di bancone, tutto sarcasmo e malinconia, senza concessioni al macchiettismo e all’oleografia (Taylor non è Montalbano, anche perchè la piovosa Irlanda non è la Sicilia), un tormentato cinquantenne che alla domanda “Cosa fai nella vita?” risponde serafico: “Niente, di solito”.
Il beniamino del disincanto contro il funestare dei bravi e buoni cittadini, sempre così forsennatamente produttivi e, di regola, sempre così ipocriti come una moneta falsa. Per scacciare la quale, un buon Jack da sorseggiare come il racconto di un mito greco è proprio quel che ci vuole.
Un altro poliziotto anti-eroe: Bosch