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I’m a Virgo: scuotere le coscienze con il surreale | 5 minuti 1 serie
I’m a Virgo, podcast | Puntata a cura di Untimoteo.
Su Prime Video in 7 puntate di circa mezz’ora, I’m a Virgo (Sono della Vergine) è una serie TV a carattere surreale. Quest’opera apparentemente stramba rimbalza con grazia tra atti d’accusa e metafore, rispecchiando in pieno la poetica del suo autore, critico nei confronti di un sistema che si diverte a sbeffeggiare.
Boots Riley, con la sua immagine da giullare del terzo millennio, rivendica il privilegio del Jester. Ovvero fare satira per vie traverse, nascondendo in una storia stramba e fantastica messaggi politici lucidi e profondi. E di fatto, utilizzando il genere più semplice e innocuo, una storia di supereroi, per scuotere le menti più ricettive.
“5 minuti 1 serie” è il format del podcast di Mondoserie che racconta appunto una serie in poco più di cinque minuti (o meno di dieci!). Senza fronzoli, dritti al punto.
Well I’m a Virgo, and Virgos love adventures
I’m a Virgo narra le disavventure del giovane Cootie, un ragazzo afroamericano di 4 metri alle prese con il primo amore, la lotta sociale, l’affermazione della propria identità e il crollo dei miti infantili. Cootie è stato un neonato sovradimensionato, un bambino abnorme e ora è un giovane adulto fuori scala. I genitori adottivi vorrebbero nasconderlo per timore di quello che potrebbe fargli un mondo che teme e combatte ciò che non conosce.
Ma la fame di vita di un giovane non si può tenere a bada per lungo tempo. Cootie esce dal recinto, si fa degli amici e incontra l’amore, una ragazza che come lui è dotata di doti fuori dalla norma. Ma per il semplice fatto di esistere si fa anche dei nemici e su tutti The Hero, un supereroe in crisi tutto gadget e metodi spicci. Il protagonista di questa serie lotta per l’affermazione di sé e perde un po’ della sua ingenuità ogni puntata. Ma senza perdere la naturale tenerezza che ispira.
Anche perché il mondo che gli sta attorno è un coacervo di piccole follie. Dominato da una corporation che stacca arbitrariamente l’elettricità per far sentire il peso del proprio potere. Protetto da un supereroe vigilante complessato e tragicomico, che sembra il folle parto di un incrocio genetico tra l’ispettore Clouseau e Batman. Un mondo in cui il programma più seguito è uno sconvolgente cartone animato che indaga tra le pieghe dell’esistenzialismo più pessimista.
Il terzo cavaliere dell’Afrosurrealismo
Lo sconfinamento continuo tra realismo ridicolo e fiaba inquietante sta alla base del modus operandi dell’Afrosurrealismo, ovvero una corrente artistica pluridecennale che ha sviluppato un interessante pensiero laterale.
Nonostante anni passati a denunciare chiaramente i soprusi continui che la comunità nera continuava a subire, gli artisti afroamericani si sono resi conto che l’uditorio invece di sviluppare una coscienza più profonda si stava desensibilizzando. E allora si sono spinti oltre, nel mondo della metafora, in quell’automatismo di matrice surrealista che scardina le regole della narrazione per avere accesso a zone del pensiero che si ha timore di esplorare. L’Afrosurrealismo filtra ogni aspetto della realtà in un mondo magico e angosciante, non per far comprendere ma per far sentire quello che sente un afroamericano, quando la sua stessa esistenza è vittima di un sistema assurdo e kafkiano che non ne riconosce la dignità.
Negli ultimi anni questa corrente, che sembrava ormai abbandonata, è tornata alla ribalta grazie a tre autori. Jordan Peele autore dell’horror Get Out, Donald Glover con Swarm e Atlanta e Boots Riley, con Sorry to bother you e, appunto, I’m a Virgo.
Un altro alfiere dell’Afrosurrealismo, Donald Glover: Swarm (Sciame)