In Italia il cinquantenario de Il Padrino arriverà un po’ più tardi, a settembre. In America, dove uscì tra il 15 e il 22 marzo 1972, viene celebrato invece proprio in questi giorni. Con articoli, speciali, interviste sulle maggiori testate (splendida quella ad Al Pacino sul New York Times).
Non dovrebbe sorprenderci: parliamo di un film che ha avuto un impatto spaventoso. Non solo al momento dell’uscita: anzi, la sua influenza è cresciuta nel tempo. E non solo sul cinema (e sulla televisione): sul costume, sul linguaggio. Ma, come vedremo, persino sulla mafia: cioè il mondo che la pellicola raccontava e in un certo senso celebrava. Con uno dei più clamorosi esempi di imitazione incrociate tra l’arte e la realtà, in cui è davvero difficile dire quale abbia più plasmato l’altra.
Il Padrino (The Godfather) oggi appare come un monumento anche solo a riepilogarne certi tratti salienti. Prima pellicola della fortunatissima trilogia omonima. Con la regia di un autore gigantesco come Francis Ford Coppola. Interpreti del calibro di Marlon Brando, Al Pacino, James Caan, Robert Duvall, Diane Keaton. E una fortuna critica che lo ha fatto spesso acclamare tra i film migliori – per diversi: il migliore – della storia del cinema.
Eppure, il capolavoro scritto da Coppola e Mario Puzo non ha avuto vita facile. Prima di raccontarne l’influenza, le citazioni entrate nel mito, il successo, vale la pena partire da qui. Dai moltissimi motivi per cui, se solo le cose fossero andate un po’ diversamente, non lo avremmo avuto. O lo avremmo avuto, magari, assai diverso.
Il Padrino: un bestseller mondiale, e i diritti per il cinema “rubati”
Intanto la trama de Il Padrino, in poche righe. Il film è ambientato a New York in pieno dopoguerra, tra il 1945 e il 1955. Don Vito Corleone (Marlon Brando) è a capo di una famiglia mafiosa divenuta col tempo potente e rispettata. Quando il boss rimane vittima di un attentato da parte di un rivale, il figlio Michael (Al Pacino), fin qui rimasto al di fuori degli affari illeciti e violenti della famiglia, comincia l’ascesa nell’impero mafioso. Schivo e riservato, considerato troppo timido e perbene per occuparsi di omicidi e regolamenti di conti, mostrerà una feroce intelligenza e una capacità strategica raffinata: fino a diventare il nuovo padrino.
Il romanzo di Mario Puzo, del 1969, vendette oltre nove milioni di copie. Divenendo fin da subito uno straordinario bestseller, con un effetto ulteriormente amplificato dalla rapida – e trionfale – realizzazione del film. L’autore, tuttavia, beneficiò solo in parte dell’enorme successo della pellicola. Per colpa, ahilui, dei suoi debiti di gioco. La Paramount Pictures infatti cominciò a interessarsi al romanzo già nel 1967, quando – dopo aver letto le prime sessanta pagine dell’opera – il suo vicepresidente Peter Bart lo sottopose alla compagnia. La Paramount offrì a Puzo 12.500 dollari per finire il lavoro, e altri 80.000 se avesse accettato di farne un adattamento cinematografico. Nonostante il parere contrario del suo agente, Puzo – all’epoca sommerso dai debiti per la sua dipendenza dal gioco d’azzardo – accettò l’offerta. Per carità: niente di male. Ma se si pensa che che il film fu il maggiore successo dell’anno, e uno dei maggiori della storia del cinema…
I produttori non volevano Brando, né Pacino, e in fondo neanche un mafia movie
Così nel 1969 la Paramount acquistò i diritti de Il padrino, per farne un film di genere. Primo paradosso: all’interno della casa di produzione i contrari erano moltissimi. Perché? Bisogna sapere che, l’anno prima, nel 1968, un altro film dall’ambientazione assai simile alla storia di Puzo era stato un flop. La fratellanza, nonostante una star come Kirk Douglas, aveva quasi mandato in bancarotta la Paramount. Insomma, un nuovo mafia movie pareva a molti una cattiva idea.
E poi, tutti i registi a cui era stato proposto si tirarono indietro. Si arrivò a Coppola, piuttosto sconosciuto e con all’attivo esperienze più sperimentali che di successo, soprattutto per due fattori: era dì origine italiana, e aveva un cachet basso. E il nostro si convinse ad accettare il progetto solo per rimediare al fiasco di un precedente film. Inizialmente, Coppola aveva mostrato un sostanziale disdegno per la materia narrativa costruita da Puzo.
Non basta. Coppola rischiò a più riprese di essere licenziato, prima ancora dì iniziare le riprese. Soprattutto per le sue insistenze su scelte di casting che la produzione detestava. A partire dai due protagonisti. Brando, all’epoca in declino e considerato bizzoso. E Pacino, che Coppola voleva a tutti i costi ma che vantava quasi solo esperienze teatrali. Alla fine il regista la spuntò, e così su altri nomi non particolarmente graditi: Caan, Duvall.
Così come l’ebbe vinta sulle scelte stilistiche, e su una logica produttiva pienamente autoriale e tutt’altro che commerciale. Le ambizioni di Coppola e il gigantismo della messa in scena fecero lievitare i costi: anche lì, il regista rischiò. Ma ebbe ragione, e fece contenti tutti. Il Padrino sarebbe diventato un successo come detto gigantesco, incassando oltre trenta volte il suo budget.
Successo travolgente, premi, fortuna de Il Padrino
Acclamato dal pubblico in tutto il mondo fin dalla sua uscita, il film si rivelò un successo tanto critico quanto commerciale. Dal punto di vista economico, incassò nei primi mesi oltre 250 milioni di dollari (ne era costati 7). Un risultato che fece riemergere la Paramount Pictures dal baratro in cui era finita.
Non solo. Il Padrino consacrò Francis Ford Coppola, futuro regista di capolavori come La Conversazione, Apocalypse Now, Bram Stoker’s Dracula. Ridiede vita alla carriera in quel momento traballante di Marlon Brando. E fece di Al Pacino una star planetaria, dalla notte al giorno. Spingendo fortemente anche due ottimi attori come Robert Duvall e James Caan.
L’anno successivo ottenne dieci nomination agli Oscar, portandone a casa tre. Miglior film; miglior attore protagonista (Brando); e miglior sceneggiatura non originale (Coppola e Mario Puzo). Ancora meglio andò ai Golden Globe, con 5 premi.
Un successo destinato a ingigantirsi con il primo dei due seguiti. Il Padrino – parte II (1974) raddoppiò le statuette: 6 Oscar, tra cui quello per il miglior regista e il premio a Robert De Niro (che interpreta il giovane Vito Corleone). Insieme, i due film compongono un dittico che è in testa a molte classifiche sui più bei film di sempre. Dominando certamente il genere gangsteristico. Nel 1998 l’American Film Institute ha inserito il primo capitolo al terzo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, e dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito al secondo posto. È al secondo posto anche nella classifica dell’Internet Movie Database. Diverso il discorso per Il padrino – Parte III: ultimo e stanco capitolo uscito nel 1990.
La trilogia, complessivamente, dura all’incirca 9 ore. E non a caso fu presentata anche in formato televisivo serializzato, negli anni.
Curiosità: il cotone di Brando, il “non protagonista” Pacino, il debutto da neonata di Sofia Coppola
Quando un film assume uno status leggendario, è inevitabile il fiorirvi attorno di curiosità e aneddoti. Il Padrino non fa eccezione, anzi.
Marlon Brando, che era stato una star di prima grandezza, all’epoca aveva 47 anni e un aspetto ancora giovanile. Costretto dalla produzione, che non si fidava, a fare un provino per il ruolo lasciò tutti di stucco. Sua, infatti, fu l’idea di dare al personaggio una faccia da bulldog, con tratti pronunciati e cascanti. Recitò con del cotone in bocca per appesantire le guance e apparire più anziano. Fu il trucco che convinse definitivamente i produttori, e che poi venne trasformato, sul set, in un apparecchio interno alla bocca.
Nel film appaiono tre membri della vasta famiglia di Francis Ford Coppola. Talia Shire, che interpreta la parte di Connie, sorella di Michael Corleone, è nella vita sorella del regista. Carmine Coppola, compositore, è suo padre: nel film appare al pianoforte nella scena d’intermezzo della pellicola, e ha contribuito a parti della mitica colonna sonora di Nino Rota. Il figlio di Michael Corleone, cioè Michael Francis Rizzi, il bambino battezzato durante la strage che chiude il film, altri non è che la figlia neonata di Coppola. Ovvero Sofia Coppola, futura regista in proprio con titoli di culto come Il giardino delle vergini suicide (1999), Lost in Translation (2003), Marie Antoinette (2006).
Ancora. Al Pacino, pur interpretando il personaggio con il maggiore minutaggio, ottenne la candidatura agli Oscar come migliore non protagonista. Così come Caan e Duvall. La statuetta da protagonista andò a Brando. Che però clamorosamente rifiutò dì ritirare l’Oscar, mandando al suo posto – in segno di protesta per il trattamento delle minoranze negli States – una nativa americana.
Le tre citazioni chiave de Il Padrino
La forza del film si manifestò fin da subito anche nella capacità di fare breccia nell’immaginario collettivo. Intere frasi divennero modi dire, o citazioni stranote. In questo articolo, il New York Times ne ha elencate 7. Noi, più modestamente, ci limitiamo a 3. Tre citazioni che abbiamo sentito innumerevoli volte, o che si sono impresse a caratteri di fuoco nella mente degli spettatori di diverse generazioni.
Niente di personale, sono solo affari.
“It’s not personal, Sonny. It’s strictly business”. È quello che dice Michael al fratello maggiore, quando devono decidere come agire in un momento cruciale. Gli avversari hanno sparato a Vito Corleone. I figli e i consiglieri si riorganizzano. Sonny reclama vendetta. Tom Hagen, il consigliori, più freddo e americano, argomenta che il tentato assassinio del patriarca non è questione personale. Sono solo affari. Ragionamento che Michael ribalta quando propone l’omicidio del capitano di polizia che protegge il mandante dell’assalto. “Strictly business”: solo affari.
Luca Brasi dorme con i pesci.
“Luca Brasi sleeps with the fishes”. Brasi, gorilla della famiglia Corleone mandato a spiare un rivale, viene eliminato. Poche ore dopo Sonny riceve un pacco: un foglio di giornale che avvolge due pesci. È Clemenza, caporegime della famiglia, a spiegargli il messaggio. Luca Brasi è morto. La sua uccisione è stata brutale: ma ora, come in un poema antico, “dorme con i pesci”.
Gli farò un’offerta che non può rifiutare.
La battuta di Don Vito Corleone “Gli farò un’offerta che non può rifiutare” è considerata tra le battute più memorabili del cinema. Ha un antesignano importante (Balzac), ma per tutti è la sintesi perfetta del peculiare stile de Il Padrino. In cui la brutalità fattuale (la celebre decapitazione equina) è sovente alleggerita da una codificazione espressiva allusiva, quasi poetica.
Prima di Tony Soprano: il Padrino e i suoi eredi
Il Padrino non era certo il primo gangster movie. Ma il merito di Coppola è di aver dato alla sua storia di mafiosi una verità, una ricchezza e una profondità che derivano dal fortissimo ancoraggio nella cultura popolare e tradizionale dell’immigrazione italiana. Un risultato persino superato dal secondo capitolo della saga, che torna ancora più indietro nel tempo. Raccontando l’arrivo in America di Vito Corleone bambino.
Il successo critico e commerciale dei due film darà vita a un vero e proprio sottogenere, il mafia movie. Con la rappresentazione delle comunità italo-americane tra criminalità e integrazione affaristica. E con esiti spesso altissimi. Basti pensare a un capolavoro assoluto come Quei bravi ragazzi (Goodfellas, 1990) di Martin Scorsese. O, in tv, a una serie di culto come I Soprano di David Chase (1999-2007). Allo show HBO abbiamo dedicato un ampio speciale: con un articolo sulla serie classica, una puntata del podcast che riflette sulla figura dell’antieroe, e un approfondimento sul rapporto tra la serie e il recente prequel cinematografico The Many Saints of Newark.
L’immaginario de Il Padrino entra potentemente in una serie come I Soprano, che pure ne costituisce un superamento smitizzante. Un esempio tra tanti: il topless bar di Tony Soprano si chiama Bada Bing!, espressione popolarizzata da Sonny Corleone. Un’altra curiosa connessione: nel 1976, durante la prima stagione di Saturday Night Live, fu presentato uno sketch che metteva in scena una seduta di terapia del Padrino. John Belushi era don Vito Corleone. Il boss racconta il suo brutto momento: la famiglia Tattaglia minaccia il suo territorio, gli affari non vanno bene. “Inoltre, hanno sparato 56 volte a mio figlio Sonny”. Un boss mafioso che si fa psicanalizzare, più di 10 anni prima de I Soprano.
Arte e vita: se i veri gangster imitano i Corleone
Abbiamo visto come Il Padrino ha avuto impatto sul cinema, sulla televisione, sul costume, sul linguaggio. Ma il mondo mafioso, la criminalità reale, come ha reagito alla propria messinscena?
Non sorprendentemente, il film di Coppola ha qui uno status mitico. Dovremmo anzi dire “mitopoietico”: il film ha costruito miti. Romanticizzando la figura del mafioso, dandole una dimensione epica.
In un recente articolo per il New York Times, Michael Wilson ha fatto un lavoro assai curioso. Il suo With ‘The Godfather,’ Art Imitated Mafia Life. And Vice Versa riporta una serie di registrazioni o dichiarazioni di malavitosi. Che mostrano di aver assimilato, e in profondità, la “lezione” de Il Padrino. Prendendo il film a modello: di vita, dì stile, persino “professionale”.
“Mario Puzo ha affermato che le rappresentazioni così minuziose del romanzo derivano dalla sua meticolosa ricerca. Ma da quando il film è stato presentato in anteprima mezzo secolo fa, questo grande esempio di arte che imita la vita mafiosa ha continuato a funzionare anche nella direzione opposta. Generazioni di mafiosi hanno cercato ne Il Padrino ispirazione, convalida e un vero e proprio manuale su come parlare, agire e vestirsi. Lo si vede nelle intercettazioni delle forze dell’ordine e attraverso interviste con alcuni degli stessi soggetti”.
Salvatore “Sammy the Bull” Gravano, già figura di spicco della famiglia criminale Gambino, ha dichiarato: “Ho lasciato il film sbalordito. Forse era finzione: ma per me, quella era la nostra vita. Ricordo di aver parlato con moltissimi ragazzi, uomini d’onore, che si sentivano esattamente allo stesso modo”. Le intercettazioni mostrano anche come, dopo aver visto il film, numerosi mafiosi hanno modificato il loro modo di parlare per imitare quello di Vito Corleone.
Il Padrino: una sacra rappresentazione in parodia
La sacra rappresentazione è la messa in scena teatrale di un fatto religioso. Pratica medievale, mirava a rinforzare l’insegnamento spirituale e i messaggi delle Scritture.
Il Padrino, in un certo senso, fa un’operazione analoga. Costruendo un corpus mitico e quasi religioso attorno a una Famiglia e al suo Vangelo. Non è un caso che il direttore della fotografia, Gordon Willis, abbia rinunciato a molte delle possibilità tecniche dell’epoca, a favore di una messa in scena che è quasi pittorica. E sacrale. Piena di ombre, di chiaroscuri, di volti che emergono dal buio.
Ma al contempo il film attua una feroce e sotterranea satira sull’american way of life, sull’american dream, sulla ricerca del successo, sulle ipocrisie moraliste che diventano perbenismo di facciata. Celando una realtà più feroce, più violenta, più brutale.
“I believe in America”, io credo nell’America. Il Padrino inizia così, con le parole pronunciate da Amerigo Bonasera, il becchino a cui hanno picchiato la figlia e che chiede al boss una forma tribale di giustizia e risarcimento. Le parole risuonano sullo schermo ancora nero. E così assumono il valore di esergo e introduzione.
“Io credo nell’America”. È una dichiarazione d’amore e insieme un atto di devozione, la manifestazione sincera di una fede ingenua. E sarà seguita da tre ore che devastano dall’interno qualsiasi pretesa di superiorità morale del modello americano. Non c’è contraddizione, ci dice Coppola, tra amore e orrore, tra buono e cattivo, tra ricchezza e squallore. C’è, piuttosto, complementarità sotto i grandi cieli degli States, nel vigore quasi osceno degli anni della loro epica fondativa.
Così, il Padrino riesce ad essere, insieme, sacra rappresentazione e feroce parodia. Una sacra parodizzazione. Così potente e perfetta da aver segnato mezzo secolo di cinema e televisione. Il nostro immaginario. Le nostre vite.
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O leggi il nostro articolo sul documentario Fear City