“Sono andato a letto con così tante star del cinema che non ho mai avuto tempo di vedere i loro film”
(Scotty Bowers)
La miniserie Hollywood (2020, Netflix, 7 episodi) di Ryan Murphy si ispira ad alcuni personaggi realmente esistiti.
In particolare il giovane Jack e il più maturo Ernie, entrambi gigolò per le stelle del cinema, sono ricalcati sulla figura di Scotty Bowers, leggendario gigolò hollywoodiano, di cui parleremo a breve.
Ma Hollywood non è solo un racconto sulla prostituzione come anticamera dello star system dell’epoca e valvola di sfogo per persone costrette nascondere la propria sessualità.
È, più largamente, una sorta di ucronia del mondo del cinema degli anni ‘40 e ‘50. Dove un giovane trio di artisti – Camille, un’attrice di colore (Laura Harrier), Archie (Jeremy Pope), uno sceneggiatore gay, Raymond (Darren Criss), un regista asiatico – dovranno lottare duramente per conquistare la collina dei sogni e aver la meglio su razzismo, sessismo e omofobia.
Di cosa parla Hollywood
Ancora una volta Ryan Murphy firma una sceneggiatura audace. A tratti sdolcinata ma tutta tesa a raccontare le storie di personaggi ai margini che diventano, grazie ad un sogno americano rivisitato, eroi nel mondo del cinema.
L’intera trama di Hollywood ruota attorno ad un ipotetico film che porterà i nostri protagonisti alla ribalta. Meg, la storia di Peg Entwistle, un’attrice che si suicidò (veramente) negli anni ‘30, in seguito ai suoi ripetuti fallimenti.
Le voci narrano sia stato l’atto disperato della giovane attrice dopo aver saputo di essere stata “tagliata” nell’ultimo film da lei girato, per motivi “morali”. A quanto pare una delle sue battute era a sfondo lesbico e la censura di Hollywood non l’aveva sopportato.
Peg Entwistle diventò molto famosa per questo suo atto estremo creando una leggenda. Ancora oggi qualcuno afferma di aver visto sulla collina di Hollywood il fantasma di una donna triste, vestita di bianco. Che appare sempre sotto la famosa “H” da cui la Entwistle si gettò, sfracellandosi, nel settembre 1932.
Murphy riprende questa triste storia, ribaltandola. Immagina che già negli anni ‘40 si volesse fare un film su di lei, per commemorare il suo gesto ed evitare ad altri la sofferenza del crudele mondo del cinema.
L’ipocrisia di facciata del mondo del cinema d’epoca
Hollywood vuole far luce sull’ipocrisia che regnò sovrana sul mondo del cinema e le sue stelle, costrette ad un’esistenza spesso misera. Il sogno americano voleva un uomo forte sposato ad una moglie sottomessa.
Una gran parte di attori ed attrici non era affatto così, e ai produttori non interessava realmente cosa facesse una star in privato. Ma la facciata era importantissima. Stiamo parlando di un’epoca dove gli omosessuali potevano essere arrestati in qualsiasi momento per oltraggio al pudore e sottoposti alla cura dell’elettroshock.
Un periodo storico in cui sullo schermo un bacio eterosessuale era già un azzardo: la grande industria doveva sfornare film pudici ed eroici, incentrati sulla famiglia e sul guadagno.
Peccato che mezza Hollywood fosse omosessuale, bisessuale e, nel tempo libero, piuttosto lasciva.
E qui ritorniamo su Scotty Bowers. Intrigantissimo personaggio che, dopo una vita di silenziosa e allegra prostituzione, ha deciso alla veneranda età di 90 anni di parlare delle sue avventure sessuali hollywoodiane.
Bowers era nato in una fattoria dell’Illinois nel pieno della Grande Depressione. Fin da piccolo cominciò a prostituirsi per guadagnare qualche spicciolo. E, come ci racconta lui stesso nel documentario Scotty and the Secret History of Hollywood, la cosa non lo disturbò minimamente.
La storia di Scotty Bowers, gigolò hollywoodiano
Si arruolò poi nei marines durante la II Guerra Mondiale per approdare, a guerra finita, a lavorare in una Gas Station ad Hollywood. Una pompa di benzina che era in realtà una copertura per un giro di prostituzione ad alto livello. Esattamente come nella miniserie, dove tre dei nostri protagonisti lavorano alla stazione di servizio, pronti ad offrirsi a uomini e donne che vogliono andare nel “mondo dei sogni”.
Bowers era famoso per non discriminare nessuno. Per un lungo periodo uno dei suoi clienti fissi fu un invalido senza braccia né gambe. La gioia di vivere di Bowers era sconvolgente e lo portò ad essere una delle figure di riferimento in tutte le feste di Hollywood per decenni.
Nella sua carriera andò a letto con Bette Davis, Vivien Leigh, Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Wallis Simpson, Edward VIII e persino col direttore dell’FBI J. Edgar Hoover.
Fece poi delle nottate a tre con Ava Gardner e Lana Turner (nella casa di Frank Sinatra), e poi con Cary Grant e il suo amante Randolph Scott.
Discretissimo durante tutta la sua esistenza, a 90 anni suonati ha deciso di raccontare le sue appassionanti storie. Ormai sono tutti morti, non infangherà il nome di nessuno. L’ha fatto, a detta sua, per sfatare il mito della Hollywood eterosessuale e puritana.
L’Hollywood reinventata di Ryan Murphy
E Ryan Murphy non ha perso tempo a mettere a frutto queste confessioni, aggiungendo altri personaggi ispirati alla realtà come l’attore Rock Hudson, nel suo Hollywood apertamente gay (dopo qualche tentennamento). Mentre nella vera Hollywood si sposò con la sua agente (lesbica) pur di coprire le voci sulla sua omosessualità.
Con i suoi 7 episodi che scorrono piacevolmente, i costumi magnifici e una bella colonna sonora, la miniserie ha avuto un ottimo ritorno di pubblico e critica. Confermando il talento di Murphy e del suo entourage nel coinvolgere il grande pubblico in temi delicati come il razzismo e l’omofobia.
Hollywood ha un solo difetto: il suo finale hollywoodiano.
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