Dici il suo nome e senti odore di zolfo. O quantomeno puzza di scandali. Di rodomontate. Di clamore mediatico. Anche adesso, a più di 70 anni, Roger Stone non si è calmato. Anzi. L’eccesso resta il suo tratto distintivo. Assieme al gusto per la provocazione, che ha segnato la sua lunga attività politica: oltre mezzo secolo in cui è diventato l’anima nera del partito Repubblicano.
Il suo nome negli ultimi 5 anni è uscito dai circoli degli addetti ai lavori della politica americana per diventare decisamente più noto. Nel gennaio 2019 la notizia del suo arresto ha fatto il giro del mondo. Così come, a dicembre 2020, la rocambolesca grazia concessagli dall’allora Presidente Trump, proprio agli ultimi giorni di permanenza alla Casa Bianca.
Se allora vi siete chiesti: chi è Roger Stone?, questo brillante documentario del 2017 (su Netflix) fa al caso vostro. Pensate che un documentario politico voglia dire noia? Ripensateci: il suo soprannome è “The Prince of Darkness”, il principe delle tenebre. Ed è meritato. Ampiamente meritato. E poi, con una nuova campagna elettorale americana ormai apertissima, capire chi è Roger Stone permette di capire un po’ meglio cos’è e cosa rappresenta Donald Trump. E di leggere lo strabordante fenomeno del biondo ex Presidente (di nuovo candidato) in un’ottica, per così dire, razionale.
Chi è Roger Stone?
Roger Stone non è solo stato coinvolto nell’elezione di ogni singolo presidente Repubblicano dal 1972 ad oggi, da Nixon a Trump passando per Reagan e i Bush: ha contribuito a inventare la politica moderna. Anche e soprattutto nei suoi aspetti degenerativi, alla cui rappresentazione tra cinema e tv abbiamo dedicato un approfondimento. Fatti di campagne negative, scandalismo, attacchi personali, troppo denaro, interessi speciali, influenza spropositata dei lobbisti. E persino invenzioni di sana pianta e manipolazioni palesi dell’opinione pubblica e dei media.
Molto abile anche commercialmente, nel 1980 Stone co-fondò una società di lobbying con Paul Manafort e Charles R. Black Jr, che in breve tempo divenne una delle più potenti a Washington. È lui il padre dei famigerati PAC con cui la politica USA è stata invasa dai soldi illimitati delle grandi corporation. Lui il primo a usare scientificamente le campagne negative e la disinformazione come strumento elettorale. Animato da due convinzioni: la gente crede a qualsiasi cosa; l’odio è una leva più forte dell’amore. A chi lo accusa di aver avvelenato la politica risponde che l’unica cosa che conta è vincere. Non importa come.
Tra le sue regole, le famose (o meglio famigerate) Stone’s Rules: “Attaccare, attaccare, attaccare, mai difendersi”; “Non ammettere nulla, negare tutto, contrattaccare”. O ancora, forse persino più rivelatrice: “La politica per me non è teatro. È arte performativa, a volte per il gusto di farlo”. Non basta a incuriosirvi? Ha la faccia di Nixon tatuata sulla schiena. È l’uomo che ha messo in testa a Trump l’idea di correre (fin dagli anni ‘80), come raccontiamo meglio dopo. E ha iniziato piccolissimo: praticamente da bambino, come racconta lui stesso.
Infanzia e giovinezza di un manipolatore seriale
Con un personaggio così non è facile distinguere realtà e finzione. Verità e leggenda. Essendo lui stesso esperto e spudorato autore della propria mitopoiesi. Eppure gli aneddoti sulla propria infanzia e gioventù che lui stesso racconta sono rivelatori: veri o meno, gettano una luce su come egli si veda. In fondo, su chi è sempre stato. Stone dice che il suo primo approccio con la politica fu da bambino, durante le elezioni presidenziali del 1960 (aveva 8 anni). Volendo aiutare la candidatura presidenziale di John F. Kennedy, “Ricordo di essere passato attraverso la fila della mensa dicendo a ogni bambino che Nixon era a favore della scuola il sabato… È stato il mio primo trucco politico.”
A soli 12 anni, la folgorazione repubblicana, grazie a una copia de “La coscienza di un conservatore” di Barry Goldwater, allora candidato del Gop alla presidenza. Stone diventa subito volontario della campagna: siamo nel 1964.
Quando era vicepresidente degli studenti alla John Jay High School (nello stato di New York), racconta – con orgoglio – di aver tramato per destituire il presidente degli studenti, e ovviamente sostituirlo. Stone ricorda anche come si candidò per essere eletto presidente nel suo ultimo anno alle superiori: “Ho costruito alleanze e piazzato tutti i miei potenziali sfidanti maggiori nella mia lista. Poi ho reclutato il ragazzo più impopolare della scuola per farlo correre contro di me. Meschino? No, furbo”.
Da studente alla George Washington University nel 1972, Stone ha invitato Jeb Magruder a parlare a una riunione dei giovani repubblicani: è l’aggancio giusto per mollare il college ed entrare nel comitato per la rielezione di Nixon, di cui il politico era consigliere. Da notare che Magruder finirà in galera per il suo coinvolgimento nello scandalo Watergate.
Il rapporto tra Donald Trump e Roger Stone
Se avete letto con attenzione, è impossibile che non abbiate pensato: sembra Donald Trump. La stessa impenitente capacità di mentire, la spudoratezza nel sostenere tutto e il contrario di tutto, il rifiuto di ammettere la sconfitta, l’incredibile e quasi sovrumana coerenza nel rimanere ancorati all’ossessione per il successo a tutti i costi come tratto distintivo di un brand assai fasullo ma anche straordinariamente efficace. Non è un caso. I due uomini si conoscono da molto, moltissimo tempo. Fin dall’apprendistato politico di Trump nella New York tra fine anni ‘70 e primi anni ‘80.
Roger Stone ha suggerito per la prima volta a Donald Trump di candidarsi per la presidenza all’inizio del 1998, mentre era il suo lobbista per gli affari dei casinò a Washington. Ed è stato dietro ai primi timidi “affacci” di Trump all’ipotesi presidenziale, nel 2000 e nel 2012, solo ventilati o interrotti immediatamente.
Nel 2015, è entrato tra i consulenti di primo piano della campagna ufficiale di Trump per la Casa Bianca. Ruolo che ha continuato a mantenere, informalmente ma molto visibilmente, anche dopo aver ufficialmente lasciato la campagna per controversie. È in questo periodo che Stone ha, come poi confermato dai documenti giudiziari, costruito un legame con Julian Assange e, si sospetta, favorito le rivelazioni molto discutibili di WikiLeaks nel tentativo (riuscito) di screditare Hillary Clinton, candidata dei Democratici. Altri atti processuali resi pubblici nel 2020 hanno mostrato che Stone ha orchestrato centinaia di falsi account Facebook e blogger per esercitare influenza politica sui social media.
Il 25 gennaio 2019, Stone è stato arrestato e incriminato con l’accusa di ostacolo alla giustizia, intralcio a un procedimento ufficiale e cinque capi d’accusa di false dichiarazioni. A novembre 2019, una giuria lo ha dichiarato colpevole di tutti e sette i capi d’accusa. È stato condannato a 40 mesi di prigione. Il 10 luglio 2020, pochi giorni prima che Stone dovesse presentarsi in prigione, Trump ha commutato la sua condanna. Donald Trump ha poi graziato Stone il 23 dicembre 2020, negli ultimi giorni della sua presidenza, quando Stone era tornato a esercitare un ruolo attivo di consigliere nella tumultuosa fase seguita alla sconfitta contro Biden.
Gli ultimi anni: dal tentato golpe alla minaccia di omicidi politici
Un video pubblicato nell’agosto 2023 mostra Roger Stone spingere per ribaltare i risultati del voto presidenziale 2020 in alcuni stati stati – due giorni prima che le elezioni fossero dichiarate a favore di Joe Biden.
Ma il coinvolgimento nel tentato golpe dopo la sconfitta di Trump non si ferma a quello. Il 12 dicembre 2020, durante proteste nella capitale, Stone ha esortato i seguaci a “combattere fino alla fine”. Al raduno “Stop the Steal” il 5 gennaio 2021, poche ore prima dell’assalto al Congresso, ha arringato la folla denunciando il “furto delle elezioni” e dicendo: “Vinceremo questa lotta o l’America cadrà in mille anni di oscurità. Non osiamo fallire. Sarò con voi domani fianco a fianco”.
Il Washington Post ha raccontato che Stone avrebbe incontrato gli Oath Keepers (una milizia paramilitare di estrema destra poi incriminata per cospirazione sediziosa per il suo ruolo nell’assalto al Campidoglio) il giorno stesso dell’attacco.
Nel gennaio 2024, è nata un’ulteriore controversia a seguito della pubblicazione di un nastro in cui Stone discute dell’assassinio dei politici democratici Eric Swalwell e Jerry Nadler. Stone ha sostenuto che la registrazione fosse una “pessima falsificazione generata dall’IA”, ma la polizia del Campidoglio degli Stati Uniti starebbe investigando la questione dopo la pubblicazione dell’audio.
Tra finzione e realtà: da Roger Stone a Olivia Pope e Ray Donovan
Get Me Roger Stone, il documentario di Dylan Bank, Daniel DiMauro e Morgan Pehme, come detto, è del 2017, e quindi non copre gli ultimi anni. I tre hanno iniziato a girare con Roger Stone alla fine del 2011. Ispirati da un articolo sul New Yorker, i filmmaker hanno intrapreso un viaggio di ben cinque anni per realizzare il documentario. Con l’obiettivo – riuscitissimo – di raccontare il suo effetto trasformativo sulla politica moderna, fino all’elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America nel 2016.
Un altro e più recente documentario, A Storm Foretold (2023), diretto dal regista danese Christoffer Guldbrandsen, copre gli anni mancanti. Raccontando il rapporto tra Roger Stone, il movimento MAGA e l’attacco al Campidoglio degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021.
Ma poi, a parte i documentari, i libri e gli infiniti articoli che lo riguardano, l’influenza di Roger Stone la si vede anche nella sua capacità di incidere sulla finzione. Stone ha definito l’immaginario della “politica corrotta” come pochi. Non solo: è tuttora il modello più potente – anche in termini di estetica pop – per i tanti fixer rappresentati da film e serie che si sono occupati di politica negli ultimi decenni. Il fixer: quella figura – a metà tra maestri della comunicazione, delle PR e dei magheggi – che risolve situazioni politicamente imbarazzanti. Tipo la Olivia Pope di Scandal, per capirci. O, in termini diversi, ciò che Ray Donovan fa per i suoi clienti altolocati.
D’altra parte, a proposito di realtà più folle della finzione, pare che durante una delle più recenti indagini su di lui abbia cercato di intimidire un testimone. Minacciando di rapirgli il cane.
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