Non è facile parlare di Fondazione (Foundation), la mega-produzione fantascientifica Apple TV+ la cui prima stagione, nel 2021, era stata attesissima. E di cui è ora in corso la seconda stagione. Non è facile soprattutto per chi abbia molto amato i romanzi di Isaac Asimov da cui la serie è, o meglio sarebbe, tratta. Il celeberrimo Ciclo della Fondazione che rimane, a 70 anni precisi dal suo debutto letterario, uno dei capisaldi della fantascienza novecentesca.
Ma non è facile, tutto sommato, a prescindere dai libri. Cercando di darne un giudizio ponderato, quello che qui ci sforziamo di proporvi. Motivo tra l’altro per cui aspettiamo sempre la fine di una stagione per parlare di una serie, anziché affrettarci in giudizi incompleti dopo uno o due episodi.
Il problema non è tanto la distanza tra un romanzo e la sua versione filmica o seriale. È ovvio che siano cose diverse. Le Cronache del ghiaccio e del fuoco di Martin sono cosa diversa da Game of Thrones, eppure le si possono amare entrambe. I libri di Tolkien non sono scalfiti dalla (bella) trilogia su Il Signore degli Anelli ma neppure dalla (brutta) trilogia ispirata allo Hobbit.
Per restare al campo fantascientifico: si può amare alla follia, come è per me, l’opera di Philip K. Dick e ciononostante adorare Blade Runner. Capolavoro che solo molto in parte assomiglia al romanzo Do androids dream of electric sheep?.
Le domande qui sono altre. Il racconto seriale di Fondazione regge da solo? Ha ragionevolmente tradotto, nel suo diverso linguaggio, il ciclo letterario di Asimov? Serviva davvero istituire un nesso con libri così amati? Per chi ha fretta, anticipo le risposte che svilupperò: sì, no, NO.
Qui la versione italiana del trailer.
Di cosa parla Fondazione?
Inquadriamo l’opera televisiva a partire dalla sua prima puntata, così da evitare spoileracci e concentrarci sugli elementi portanti. Fra l’altro la cosa ha senso perché il primo episodio è l’unico a mantenere un forte legame con la parte corrispondente del ciclo letterario, di cui parleremo in dettaglio dopo.
Nell’anno 12.067 dell’Era Imperiale, la geniale giovane matematica Gaal Dornick viaggia dal suo mondo natale di Synnax, un pianeta in cui le scienze sono bandite come eresia, a Trantor, capitale dell’Impero Galattico. L’invito nel pianeta-capitale, che consta di una gigantesca unica città, giunge per aver risolto una complessa congettura. E qui studierà con il famoso Hari Seldon, creatore di una nuova e rivoluzionaria disciplina matematica predittiva, la psicostoria. Ne parleremo meglio dopo, ma in sintesi: la psicostoria, usando strumenti matematici e statistici avanzatissimi e applicandoli a popolazioni grandissime, è in grado di ricavare proiezioni su eventi storici futuri.
Poco dopo il suo arrivo Gaal viene arrestata, assieme a Seldon, entrambi con l’accusa di tradimento. Lui perché il suo modello prevede l’imminente collasso dell’Impero, dovuto in parte alla stagnazione causata da quattro secoli di dominio da parte dei cloni dell’imperatore Cleon I. Lei perché rifiuta di screditare la psicostoria durante il processo, e anzi conferma il modello predittivo di Seldon. L’Impero li esilia, assieme ad alcune migliaia di studiosi che lavorano da anni al progetto della psicostoria, nel lontanissimo mondo periferico di Terminus.
Qui potranno costruire la “Fondazione”: un archivio della conoscenza umana che secondo Seldon accorcerà l’età oscura dopo la scomparsa dell’Impero da trentamila anni a un solo millennio.
Tale è l’arco temporale su cui si proietta la vicenda!
Le grandi aspettative per l’ambiziosissima Fondazione
Insomma, una materia narrativa complessa e vastissima, che Asimov coprì (solo in parte, come vedremo) con 7 romanzi scritti nell’arco di svariati decenni. Non è un caso che, nel presentare l’operazione, lo showrunner David Goyer abbia esposto un piano che definire ambizioso è poco, fatto di 8 stagioni per un totale di 80 episodi.
“Con Fondazione possiamo raccontare la storia, si spera, nel corso di ottanta episodi; ottanta ore, invece di cercare di condensare tutto in due o tre ore per un singolo film”.
Tra le ragioni per cui c’era enorme attesa verso la serie figura anche il nome di Goyer, tutt’altro che un novellino. Come sceneggiatore ha scritto, tra le altre cose, la trilogia di Blade (1998-2004), la trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan (2005-2012), Man of Steel (2013) e Batman v Superman: Dawn of Justice (2016). Anche solo i tre film incentrati su Batman scritti per Nolan meritano un credito non indifferente.
Allo stesso tempo, faceva ben sperare l’evidente sforzo produttivo messo in campo da parte di Apple. Fin dalle prime immagini si capiva che avremmo potuto immergerci in mondi complessi, e in un viaggio di grande e visionaria ambizione.
Anche alcune scelte di cast promettevano benissimo, specie l’annuncio di Jared Harris nei panni di Hari Seldon. L’attore inglese è uno dei più fini interpreti degli ultimi decenni di televisione, come ha mostrato spaziando da Fringe a Mad Men, da The Crown a The Terror fino a un ruolo da protagonista in Chernobyl.
Insomma: attese, è il caso di dirlo visto il genere, alle stelle, come racconta lo stesso Goyer nel teaser qui sotto. E come d’altra parte meritava un ciclo di romanzi così conosciuto, amato, rispettato. Di cui è ora giusto raccontare qualcosa.
Che cos’è dunque il ciclo della Fondazione di Asimov?
Il primo romanzo del Ciclo della Fondazione esce nel 1951: Fondazione, che in Italia si chiamerà per molti anni Cronache della galassia. Isaac Asimov, che è già un prolifico scrittore di fantascienza, trae ispirazione da una celeberrima opera storica; “Declino e caduta dell’impero romano”. Enorme studio in sei volumi curato dallo storico inglese Edward Gibbon nella seconda metà del ‘700, e a lungo considerata opera storiografica centrale.
Traducendo la lezione sull’impero romano, Asimov immagina un universo retto da un Impero Galattico che ha assicurato per millenni una sostanziale pace. Ma che ora inizia a scricchiolare, sotto il peso della propria stessa mole e inerzia.
Ma il fulcro dell’invenzione narrativa di Asimov è la felice intuizione, da lui partorita già molti anni prima, della psicostoria. Cioè l’idea che le forze che plasmano la storia – dinamiche sociali, economiche, culturali – siano prevedibili. E quindi utilizzabili per cercare di promuovere la nascita di un nuovo nucleo di ordine che possa abbreviare il tempo della barbarie e dell’oscurità che, inevitabilmente, la caduta dell’Impero porterà con sé.
Già a partire da questo primo episodio Isaac Asimov ci mostra una fantascienza diversa da larga parte di quella d’epoca, e da quella di oggi. Una fantascienza senza alieni, senza epiche battaglie intergalattiche, senza misteriose forze sovrannaturali, con uno spazio limitato per l’invenzione tecnologica. I diversi snodi che, attraverso i decenni, dovrà superare la Fondazione (le cosiddette “crisi Seldon”) toccheranno problemi “reali” e ben noti: diplomazia, politica, religione, economia, scienza sono i temi che Asimov utilizza per dipingere il futuro della storia dell’umanità.
Isaac Asimov: un intellettuale ateo, razionalista e scientista
D’altra parte il grande autore (vincitore innumerevoli volte dei premi Hugo e Nebula, i maggiori del settore) non è stato solo un prolifico autore di fantascienza. Genere cui ha contribuito con decine di racconti e romanzi, e almeno un altro ciclo fondamentale, quello dei Robot in cui si delineano le famose “Tre leggi della robotica” tutt’ora fonte di riflessione nel campo dell’Intelligenza Artificiale.
Asimov (1920-1992) è stato anche un appassionato divulgatore scientifico, biochimico, ricercatore, autore di decine e decine di saggi e articoli accademici. Ma non si è risparmiato neppure incursioni in campi come quello poliziesco e della narrativa per ragazzi.
Personaggio capace di divenire iconico, anche al di là della qualità e quantità della sua produzione letteraria e scientifica (circa 500 volumi!!!), Asimov è stato anche un intellettuale per nulla abituato a nascondere le proprie opinioni. Ateo, si è sempre battuto per il pensiero razionalista e scientista, denunciando il pericoloso anti-intellettualismo della società americana, oggi più forte che mai.
La stessa idea narrativa della psicostoria, introdotta in Fondazione, riflette questa logica. Ipotizzando come prevedibile, scientificamente e probabilisticamente, il percorso della storia. Dando preminenza alle dinamiche strutturali anziché ai singoli episodi. Definendo come ininfluente l’agire del singolo essere umano sul comportamento e le tendenze complessive di un’intera società.
Il Ciclo della Fondazione (o meglio delle Fondazioni), che deriva da una serie di racconti brevi sviluppati negli anni ‘40, si incarnerà in una prima trilogia. Dopo Foundation(1951), Foundation and Empire (1952, in italiano inizialmente Il crollo della galassia centrale) e Second Foundation (1953, L’altra faccia della spirale).
Solo decenni dopo, sotto la spinta degli appassionati e dell’editore, Asimov riprese in mano il ciclo: pubblicando dal 1982 due seguiti ai tre romanzi “classici”, e poi due prequel nel 1988 e nel 1992.
Fondazione: traduzione o tradimento?
Ora che abbiamo un po’ inquadrato i romanzi originari e loro autore possiamo venire al rapporto tra libri e serie. Le distanze sono infinite.
Ripetiamo: il problema non sono gli ovvi adattamenti linguistici. Un racconto per immagini è altra cosa da un racconto scritto. Così come non lo sono gli adattamenti pensati per portare in vita oggi un’opera scritta oltre 70 anni fa. Quindi ok che tre figure molto importanti, Gaal Dornick (Lou Llobell), Salvor Hardin (Leah Harvey) ed Eto Demerzel (Laura Birn), diventino donne, le prime due di colore. I romanzi di Asimov erano una parata di personaggi tutti maschi e bianchi: ci sta sistemare le cose.
Ma è ben diverso fare strame dell’idea centrale dei romanzi. Perché se la psicostoria non è il motore di tutto il racconto, allora… allora, semplicemente, questa non è davvero più la storia della Fondazione come la conoscevamo. In Asimov, come abbiamo visto, la chiave non è l’azione individuale: sono forze altre a plasmare la storia, e il divertimento è in questo. In come crisi che paiono richiedere soluzioni tipiche (militari, d’azione, avventurose) finiscano invece per risolversi grazie a un impasto di fattori ed eventi pregressi.
Si veda, nel finale della prima stagione di Fondazione, la soluzione della crisi tra Terminus e alcuni vicini regni periferici: senza svelare troppo, ma siamo lontani anni luce dai romanzi. Lì erano fattori scientifici, diplomatici, e un uso politico della religione a consentire a Terminus di prevalere. Qua, letteralmente, si ricorre a un grottesco deus ex machina che spiega ai tre popoli che devono cooperare. Per non parlare dell’inizio della seconda stagione di Fondazione… ci torneremo quando si conclude.
Clamoroso poi il personaggio di Gaal, la matematica, che a un certo punto scopre di poter intuire il futuro. Ma questo è l’esatto contrario dell’universo immaginato da Asimov...
Una produzione sontuosa, con alcune belle idee
Idem per il personaggio di Hardin: uomo politico che diventa eroina d’azione, che affronta le Crisi non con le armi della diplomazia e della politica ma col suo fucile laser e i cazzotti. O l’astronave Invictus, relitto imperiale con la capacità di distruggere interi pianeti: non ci sono super armi alla Star Wars in Asimov!
Lo capiamo che è una serie, e che dovessero aumentare il ritmo. Ma c’è un limite a tutto.
Peccato perché la produzione di Fondazione è davvero sontuosa. Il lavoro di invenzione e costruzione visiva è formidabile. Così come la resa dei tantissimi diversi ambienti di questa ricca space opera. Allo stesso tempo, alcune invenzioni narrative sono assai ben riuscite. L’idea, per esempio, della “dinastia genetica” grazie alla quale viene assicurata una perfetta continuità nel governo dell’Impero. Retto da tre figure, tutti e tre cloni perfetti del grande imperatore Cleon I, di età diverse. A regnare è Fratello Giorno (Lee Pace), il clone di età mediana. Suo erede sarà Fratello Alba (Cassian Bilton), che viene cresciuto per imparare le arti del governo. Su tutti veglia con la sua saggezza Fratello Tramonto (Terrence Mann), che ha lasciato la conduzione attiva degli affari ma accompagna i suoi due più giovani cloni. Fino a quando, alla fine del ciclo, diverrà Fratello Oscurità e verrà sottoposto a eutanasia.
Un’idea potente e bellissima, che da sola poteva benissimo reggere il racconto (anche se si incasina non poco nelle parti finali della prima stagione).
Sempre nel campo dell’invenzione si colloca la grande rilevanza assunta dai temi religiosi, a tratti quasi sovrannaturali. Anche questa una radicale divergenza dall’immaginazione asimoviana, ma tutto sommato intelligente.
Ma a prescindere dai libri, Fondazione merita?
Alla fine, la questione è semplice. Se vi interessa una space opera ricca d’azione ma anche di sfumature oggi inusuali nel genere, Fondazione vi darà ricche soddisfazioni. Nonostante i suoi squilibri, che non sono pochi ma che sono compensati dal ricorso al meraviglioso.
Se invece cercate la complessità e il sapore dei romanzi di Asimov, rischiate di incazzarvi di brutto: più che una traduzione questo è un tradimento. Che non si capisce neanche bene perché sia stato fatto. Se si voleva costruire un’operazione così diversa, che dopo la prima puntata non c’entra più quasi per niente con l’originale, perché prendere a ispirazione i romanzi di Asimov? Perché non elaborare un percorso del tutto proprio?
Fondazione, che nasce con l’ambizione di portare su schermo un ciclo letterario leggendario, alla fine produce l’effetto opposto.
Farci pensare che l’antica saga di Asimov – in cui gli elementi socio-politici, diplomatici, economici non sono lo sfondo ma sono davvero l’essenza della narrazione – sia, molto semplicemente, irrappresentabile.
Una grande saga fantascientifica: ascolta il podcast su The Expanse
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