L’adolescenza è terribilmente crudele e dolcemente incosciente. Se c’è una cosa che Euphoria ha capito perfettamente è questa (e ne parliamo anche in questa puntata del podcast).
Fin dall’inizio la serie (Sky e NOW, 8 puntate regolari + 2 speciali) ci catapulta in un universo buio. Quello degli adolescenti di una sonnolenta provincia americana, che più che vivere sembrano trascinare i loro corpi in un incubo distorto. Durante il primo episodio, alla luce liquida blu ed asfissiante, simile a quella dei club dove si entra sotto ketamina, la protagonista, Rue (la cantante-attrice Zendaya), ci racconta l’overdose che le ha rovinato l’estate.
Di cosa parla Euphoria
Rue, un’adolescente nata nei giorni del crollo delle Torri Gemelle, ha finora condotto una vita priva di speranze. Diagnosticata maniaco depressiva fin da bambina (come succede ad ormai molti ragazzini americani) ha assistito alla lunga agonia domestica del padre, costretto a letto da un cancro.
È così che Rue ha cominciato a drogarsi verso i 12 anni: ingollando di nascosto le pillole antidolorifiche del genitore incosciente.
Più che pillole dovremmo chiamarle eroina in pillole, visto che l’Oxycotton (Oxycodone) a detta di chi lo sniffa è addirittura “meglio”. Sicuramente più potente della morfina.
Dopo la morte del padre, Rue ha cominciato a farsi ancora più pesantemente. A diciassette anni è già uscita da una comunità di recupero e si appresta a cominciare un nuovo anno di scuola.
Eppure quest’anno una novità irrompe nei suoi incubi quotidiani: una ragazza, o meglio, un trans woman (un’adolescente che sta attuando il passaggio da uomo a donna) arriva in città. Nella prima scena di Euphoria vediamo Jules (Hunter Schafer) seminuda piantarsi con mano esperta una siringa di ormoni nella natica. Poi la seguiamo in un motel dove viene sodomizzata da un uomo che potrebbe essere suo padre (scopriremo essere invece il padre di un suo compagno di classe).
Adolescenti distaccati, vittime delle proprie immagini
Rue e Jules si incontrano poco dopo ad una festa dove noi spettatori conosciamo alcuni degli altri protagonisti.
Nate, il figlio del padre che ha sodomizzato Jules, è un adolescente bello e violento che ha una relazione tossica con Maddy, una ragazza appassionata di video porno. Come tutti gli altri, del resto. Sono adolescenti che conoscono più posizioni di una pornostar a fine carriera anche se magari non hanno ancora fatto sesso. E la prima volta, neanche a dirlo, si consuma in modo violento, imitando quello che vedono su internet. E, soprattutto, va filmata. Col consenso o meno del “partner”.
Una delle figure più interessanti di Euphoria perde la sua verginità a quella festa. Si chiama Kat (interpretata magnificamente dall’influencer Barbie Ferreira), è una ragazza molto carina ma in notevole sovrappeso. Il giorno dopo scoprirà che il ragazzo con cui ha fatto sesso sta diffondendo il video in tutta la scuola. Ma sarà un episodio che le darà forza facendole scoprire una nuova se stessa.
Del resto, ci sono abituati. Le loro azioni si traducono quasi subito in immagini Instagram o video YouTube e praticamente tutti i ragazzi fanno la dolorosa esperienza di vedere una loro immagine o video privato che circola tra i telefoni della scuola e oltre.
Oggi a me, domani a te, sembra essere la dura nuova legge.
Non ci stupisce che quasi tutti i personaggi della serie vivano una forma di distacco permanente.
Porno, alcool, droghe. E bagni.
Euphoria esplora un’intimità fatta di luoghi claustrofobici: i ragazzi si muovono quasi solo in ambienti chiusi, per loro l’isolamento è uno spazio naturale. Uniche finestre, i social e i reality show. Nel migliore dei casi, qualche serie tv. Ma non riescono più nemmeno a seguire quelle. Troppa attenzione da dedicare. La vera vita è su WhatsApp. Lì si consumano gli amori romantici, non certo nelle tristi e violente prime scopate casuali ad una festa.
Però uno spazio reale esiste: il bagno, i cessi, sono i luoghi dove si annidano esperienze forti, nuove e a volte persino sincere. Lì ci si rifugia ad inviare i messaggi importanti, o a discutere con il partner. I cessi sono i testimoni poi di una tossicodipendenza quotidiana e scolastica. Scuola che sembra essere solo un sottofondo di incontri mirati al sesso o alla droga.
Porno online, alcool, fiumi di droghe, trucchi esagerati e musica a tutto volume. Potrebbe sembrare superficiale e invece Euphoria è una serie profonda, forse persino troppo. Dolorosa perché in parte veritiera nel suo nichilismo fotogenico.
Non c’è nessun sfondo moralistico, i genitori sono spesso peggio dei figli e le esperienze più estreme non hanno alcuna funzione catartica. Le terapie e gli psicologi da cui quasi tutti finiscono servono solo a farsi prescrivere farmaci ancora più pesanti.
L’unica speranza sembra essere Narcotici Anonimi, il gruppo di autoaiuto a cui Rue è costretta ad andare. Lì trova un amico, Ali, un tossico di Crack oramai ‘pulito’ da 20 anni.
Eppure anche nel penultimo episodio, un’intera puntata dedicata al dialogo tra lei e Ali, abbiamo la sensazione che Rue non ci sia. E’ effettivamente altrove, persa nelle particelle di Oxy che si è appena sniffata.
Euphoria e il fascino terribile del buio
Zendaya ha vinto un Primetime Emmy per la sua interpretazione e le critiche ci assicurano che sarà la prossima diva del cinema. Hunter Schafer ha recitato in modo eccellente la sua parte, affermandosi come attrice e artista.
Eppure, nonostante la profondità, le due protagoniste rimangono intrappolate nella presunta bellezza che le contraddistingue. Anche nella situazione più dolorosa ci sembra di essere in una pubblicità di alta moda, tanto sono belle le luci, loro stesse, i costumi. Nonostante Jules provenga da una famiglia medio-povera, pare perennemente vestita da Vivienne Westwood.
Certamente la serie fa una scelta estetica. Rue è sempre affascinante e bella anche in astinenza, o quando maniacalmente depressa. Forse sarebbe stato interessante mostrare cos’altro succede quando si han problemi con le droghe. Non ci sono solo le overdosi. Si dimagrisce fino a diventare scheletri, a volte. Oppure uno che smette si sfonda di cibo e diventa disgustosamente gonfio in poche settimane. Eruzioni cutanee, cera verdastra, vomito continuo. Almeno, così è diagnosticata l’astinenza da Oxycodone.
Ma non c’è forse la pretesa di essere veramente ‘reali’, quanto più appunto di narrare i sentimenti estemporanei e le sensazioni di questi ragazzi intrappolati in sordide province. Vediamo attraverso i loro occhi, sentiamo sulla loro pelle il dolore e il fascino momentaneo di quei due secondi di buio che tutti cercano.
Del resto Euphoria è scritta e diretta da Sem Levinson, oggi trentenne. Che non nasconde e anzi utilizza creativamente il suo passato di tossicodipendente per lasciare un messaggio che forse solo le generazioni di oggi possono comprendere.
Ascolta anche la puntata del podcast: Euphoria, uno scintillante viaggio all’inferno | PODCAST
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