Don’t F**k with Cats: Hunting an Internet Killer (tradotto eufemisticamente: Non si Scherza con i Gatti: Caccia ad un Killer della Rete) è una docuserie true crime in 3 episodi (Netflix, 2019). La serie è scritta e diretta da Mark Lewis, veterano dei documentari dedicati al rapporto tra uomo e natura, società e animali. Il repertorio documentaristico di Netflix, molto spesso di genere crime (delitti celebri, cold case, processi dubbi ecc.), vanta svariati titoli davvero eccezionali (ad es. The Staircase e Making a Murderer). Don’t F**k with Cats è senza dubbio uno di questi. L’avvincente e surreale vicenda di Luka Magnotta, ai limiti dell’incredibile se non dell’horror, è emblematica di una società virtualmente iperconnessa come quella attuale.
In questa breve docuserie, a differenza di molte altre del genere true crime, il racconto non è più o meno oggettivamente incentrato sul colpevole – dalla sua problematica infanzia alla sua rocambolesca cattura – bensì su un punto di vista assolutamente insolito e originale. Ovvero quello di due persone – Deanna Thompson di Las Vegas e John Green di Los Angeles – che guidano una social tribe di migliaia di componenti, dedita all’individuazione e ad una successiva eventuale punizione dello sconosciuto autore di un video, dal titolo 1 boy 2 kittens.
1 boy 2 kittens
Nel prologo, Deanna alias Baudi Moovan descrive il far west di Internet, mettendo in chiaro quella che lei considera la regola zero della rete. Una regola non detta, corrispettivo dell’insensata e sfrenata passione che quasi tutti hanno per i video con gatti e gattini. Ovvero: con i gatti non si scherza. Giù le mani dai gatti. Don’t fuck with cats. Don’t F**k with Cats. Tutto nasce nel 2010, quando lei, John Green alias John Green e tantissimi altri, incappano in un orrido video virale. Un video nel quale un ragazzo incappucciato uccide barbaramente due micetti. Con un sacchetto per il sottovuoto e un aspirapolvere. 1 boy 2 kittens. L’indignazione della rete è massiva ed immediata.
Nasce spontaneamente un gruppo Facebook (realtà social allora da non molto esistente) che si prefigge di individuare o meglio, di stanare il suo mostruoso autore. Con il supporto e l’aiuto di migliaia (all’apice erano all’incirca 15.000) di altri users, Deanna e John – le voci più coinvolte e autorevoli – analizzano il filmato immagine per immagine (frame by frame), alla ricerca di indizi utili. Sono abbastanza consapevoli che, trattandosi di un reato minore, difficilmente vi sarà un intervento da parte delle forze dell’ordine. E poi quali forze o meglio – di dove? Il tizio in questione potrebbe essere ovunque nel mondo. Così questi motivati aspiranti detective si danno da fare: il pacchetto di sigarette, la presa di corrente, il modello di aspirapolvere, il piumino raffigurante un lupo… Ogni dettaglio potrebbe aiutare a condurli alla collocazione geografica dell’assassino di gatti.
Don’t F**k with Cats: Catch Me If You Can
Gli strumenti a disposizione sono quelli della rete: Google Maps, forum su servizi e prodotti vari, Amazon ecc. Ma i risultati, in questa prima fase, sono contraddittori. America, Sud Africa, Australia… Tutto questo mentre il soggetto oggetto della loro ricerca sembra contemplare, compiaciuto, i loro sforzi. Al primo video ne segue allora un secondo. Questa volta il povero felino è immerso in una vasca da bagno colma d’acqua. E infine un terzo, ancora più assurdo, in cui il gattino viene dato in pasto ad un pitone (sic). Interviene addirittura una surreale gang di bikers da tempo impegnata nel salvataggio di animali in difficoltà. Il loro intervento – sempre on line – fissa una ricompensa di 5000 dollari per chiunque fornisca informazioni che portino al disvelamento dell’identità del bastardo in questione. Quello è naturalmente il momento in cui le adesioni si moltiplicano, così come le segnalazioni – e ovviamente le false piste.
Fino a quando non si crede di aver finalmente scovato l’ignoto psicopatico. In Namibia, per la precisione. Nonostante le vivaci proteste di John e Baudi, convinti si tratti della persona sbagliata, la gogna della rete si attua in modo irreversibile. Soltanto dopo il suo suicidio si scoprirà questo essere solo un emulatore in preda a forti crisi depressive. Qualsiasi motivazione abbia avuto il suo gesto estremo, sempre ci sia stata una motivazione, di sicuro le migliaia di insulti e minacce, spesso di morte, non devono averlo aiutato. Per di più, dal vero autore dei video incriminati – naturalmente tramite un falso account (sock puppet account) – viene una lampante e smargiassa dichiarazione d’intenti, quando questi rimanda gli utenti del gruppo al film Catch Me If You Can (Prova a prendermi), con DiCaprio e Tom Hanks. Sembra che questo maniaco omicida di felini viva il tutto come un gioco. Un gioco che sembra divertirlo moltissimo.
Roma, Parigi, New York …e Karla Homolka
Lo sconforto prende il sopravvento nel gruppo. Fino ad un’improvvisa ed anonima segnalazione: il tizio che state cercando si chiama Luka Magnotta. “E chi cazzo è Luka Magnotta?” – sbotta Baudi. “Sembra il nome di una pornostar” – è invece la reazione di John. Ad una prima occhiata nel web, Luka sembra essere un giovane attore e modello, pieno di adoranti fans e altrettanto pieno di foto che lo ritraggono festoso e felice in ogni parte del mondo. Da Roma a Parigi, da Mosca a New York.
Eppure, secondo John, qualcosa non torna. Le immagini sono per lo più ritoccate digitalmente. Il suo volto è semplicemente sovrapposto ai corpi, felici e festosi, di tutt’altre persone. E c’è anche qualcos’altro, secondo Baudi. Tutti i profili dei suoi ammiratori sembrano usare lo stesso stile linguistico: stessa sintassi, stessa punteggiatura, stesso lessico. Addirittura stessi errori. Sono profili finti. Verosimilmente creati dallo stesso Luka. Come le sue foto.
Il profilo che sembra invece combaciare, confrontato con quello dell’autore dei macabri video, è proprio il suo. Forse è davvero lui. I nostri capiscono finalmente dove Luka vive: a Toronto, Canada. E sul sito del quotidiano locale trovano una sua surreale intervista. Dice di essere perseguitato dai pettegolezzi – voci che lo mettono in relazione sentimentale con tale Karla Homolka. Nome che a noi non dice niente. Ma quello è il nome della donna più odiata del Canada, moglie di un serial killer di tredicenni. Testimoniando contro il marito, ottenne l’immunità. Soltanto dopo venne fuori la prova che la vedeva non solo complice, ma anche mente dietro gli omicidi. A partire da quello di sua sorella…
Don’t F**k with Cats: Holy shit, this is really real!
Luka lamenta che la propria carriera e la propria esistenza siano state rovinate da queste insinuazioni scandalistiche. Quel che è certo, è che non avesse però alcuna carriera. Quel che è molto probabile, è che le voci le abbia messe in giro lui stesso. Ancora: quel che è sicuro, è che Luka adora accostarsi al mondo dei serial killer. Diversi suoi alias in rete sono nomi di giovanissime vittime degli autori dei Moors Murders (omicidi della brughiera). Una coppia inglese di assassini attiva negli anni Sessanta.
Magnotta, sedicente amante di Madonna (sic), biondino vanesio e metrosexual alla disperata ricerca di visibilità, nonché prostituto gay molto attivo nei siti di incontri occasionali omosex, sembrerebbe proprio essere uno psicopatico in erba. La community, convinta che il ragazzo non si fermerà alla violenza sugli animali – che è ad ogni modo notoriamente il primo gradino nella scala degli assassini seriali -, decide di allertare la polizia di Toronto. Anche perché l’ennesimo guanto di sfida viene lanciato ancora una volta dall’autore dei video. Lui stesso promette non solo di continuare la propria agghiacciante opera, ma di alzare il tiro: passando agli esseri umani. John Green: “Okay, this person wants to play a game of cat and mouse, and I’m up for that!” (Va bene, se questo tizio vuole giocare al gatto col topo, bene: ci sto!)
Questa mia spoilerata introduzione non è altro che – un’introduzione. Perché la parte davvero folle di questa storia è quanto viene dopo. “Holy shit, this is really real!” dirà qualcuno nel gruppo.
Casablanca (& 1 icepick)
Il 25 maggio 2012 compare in rete un video, dal titolo 1 lunatic 1 icepick, della durata di poco più di una decina di minuti, dove un giovane legato ad un letto viene trucidato con quello che pare essere un rompighiaccio (icepick). La community è in tremante fibrillazione. Viene allertato il dipartimento di polizia di Toronto, con cui sembrava essersi instaurato un canale di comunicazione. Nessuna risposta. Quattro giorni dopo viene rinvenuto un torso umano dentro una valigia abbandonata – a Montreal. Poche ore dopo, presso la sede di Ottawa del Partito Conservatore canadese, viene recapitato un pacco contenente un piede umano. Una mano, destinata al Partito Liberale, viene invece intercettata in un ufficio postale.
La vittima smembrata è Jun Lin, giovane studente cinese di ingegneria, adescato da Magnotta tramite un annuncio on line per sesso occasionale. Luka è stato ripreso dalle telecamere del palazzo, mentre in piena notte si liberava di decine di sacchi della spazzatura contenenti braccia, gambe, vestiti ed effetti personali di Lin, assieme alla coperta e a quant’altro possa essersi macchiato di sangue. Ed è stato altresì ripreso dalle telecamere dell’ufficio postale, in fila con i due pacchetti dallo sconvolgente – e sanguinante – contenuto. La notizia si diffonde tra i media del Canada, e non solo.
Inizia la caccia all’uomo. Ancora una volta la polizia fa affidamento alle telecamere, che l’hanno ripreso mentre all’aeroporto si imbarca su un volo per Parigi, con tanto di parrucca. Eppure gli internauti, ormai a piena conoscenza della personalità e degli schemi comportamentali di questo maniaco, ci erano già arrivati per conto loro. Come? Attraverso un dettaglio colto nello snuff video. Un dettaglio, a dire il vero, grande come un poster attaccato al muro. Un poster del mitico film Casablanca.
Don’t F**k with Cats: troppo esagerato troppo inverosimile maledettamente vero
Abbiamo visto la passione cinefila di Magnotta, e la sua irresistibile propensione a disseminare di indizi il proprio percorso, sfidando i suoi inseguitori (Catch Me If You Can). Nel finale del film, Humphrey Bogart e Ingrid Bergman parlano di Parigi. Strano ma vero. No, non solo strano. Assurdo, irreale, completamente folle… Ma maledettamente vero.
Il nostro riesce a far perdere le proprie tracce nella capitale francese. Verrà comunque catturato poco tempo dopo, in maniera del tutto fortuita. Entrato in un internet Cafè di Berlino, rivolgendosi al gestore per accedere ad una postazione (in cui farà ricerche su se stesso e sui mandati di cattura per lui emessi dall’Interpol), si imbatte proprio in uno che ha appena letto di lui sui giornali. Il tizio esce per strada e ferma il primo mezzo delle forze dell’ordine che sta passando da quelle parti. Un furgone blindato della polizia tedesca con dentro una dozzina di cadetti in addestramento. Il tutto essendo stato per l’ennesima volta ripreso dalle telecamere del posto, vedere dispiegarsi tutta quella forza per arrestare il minuto biondino ormai trentenne, ha dato grande soddisfazione a Baudi, John e al loro seguito. Fine della storia. O no? No, naturalmente no.
Mi rendo perfettamente conto che tutto questo possa suonare come un mockumentary. Tutto troppo esagerato, troppo inverosimile. Eppure no. Questa è l’ennesima prova – come spesso capita ormai di trovare tra i documentari, seriali e non, di quest’ultimo periodo – di come la realtà non solo superi ma talvolta anzi tenda a surclassare la fantasia.
Manny Lopez
La trama di Don’t F**k with Cats è sapientemente organizzata a mosaico. Si apre e si chiude, come a breve vedremo, con il gruppo on line di detective cat lovers (che molto probabilmente hanno trovato in quell’ossessiva ricerca una ragione di vita). Nell’ultimo episodio però, parla la madre di Luka. La quale crede ciecamente nell’innocenza del figlio. Secondo lei Luka sarebbe stato costretto a fare tutto ciò che ha fatto da un certo Emmanuel ‘Manny’ Lopez. Manny sarebbe inizialmente stato uno dei tanti facoltosi clienti del ragazzo. Via via però le sue richieste, di tipo bondage e sadomaso, si sarebbero fatte sempre più pesanti. Fino a sconfinare nello stalking e nel ricatto. Fino ad arrivare a costringerlo all’omicidio.
Un anno e mezzo prima del tragico evento – ovvero durante il periodo di registrazione dei macabri video sui felini – Luka si presenta da un avvocato di New York. Esordisce chiedendogli se gli hanno già detto che assomiglia a Michael Douglas. Dopodiché parla di Manny, di come questi lo stia perseguitando, minacciando, spaventando. Di come lo costringa ad atti sessualmente aberranti, che Manny riprende per il mercato del Dark Web. Tra questi atti colloca i video dei gattini.
Un paio di settimane dopo, lo stesso avvocato riceve un fax dalla polizia di Miami. Secondo il quale Magnotta sarebbe stato rapito a New York, portato con la forza in Florida, drogato e ripetutamente violentato da tale Manny ed altri sconosciuti. O almeno questo è quanto confusamente ricorda e dice il ragazzo, trovato malconcio, terrorizzato e in stato confusionale in una spiaggia di Miami…
Don’t F**k with Cats & Basic Instinct
Durante il processo del 2014 viene chiesta una perizia psichiatrica per Luka Rocco Magnotta. E lì viene nuovamente fuori il nome di Manny. Lo psichiatra inizialmente non sa che pensare. Ma dopo aver sentito l’avvocato di New York, comincia a credere Manny Lopez possa realmente esistere… E qui tornano in gioco Baudi, John e compagnia bella. Partono dagli alias usati dal giovane sociopatico. Non quelli usati in rete, bensì quelli usati per far scomparire le sue tracce in Europa. Nell’ultimo squallido hotel di Parigi in cui si era ben nascosto, aveva usato il nome Kirk Tramell, ovvero K. Tramell. E Catherine Tramell è il nome del personaggio interpretato da Sharon Stone in Basic Instinct. Il film in assoluto preferito da Luka.
Il nome del violento fidanzato da lei ucciso con un rompighiaccio è Manuel ‘Manny’ Vasquez. Manny. Con un rompighiaccio. L’arma con cui Magnotta uccide Jun Lin è in realtà un cacciavite, modificato e dipinto per sembrare però un rompighiaccio. Non uno qualsiasi, ma proprio quello usato in Basic Instinct. Di più: la stessa inquadratura del breve e amatoriale snuff movie riprende dettaglio per dettaglio quella del film. La vittima con i polsi legati al letto, la stessa scena, la posizione dell’assassino, i suoi gesti… Tutto pare una sconcertante e dilettantistica replica di quella fatidica scena cinematografica. E non solo di quella scena.
Quando Luka viene catturato ed estradato in Canada, viene ripreso anche il suo primo interrogatorio. Nel quale chiede una sigaretta, verosimilmente per poter fumare – con le gambe accavallate – esattamente come faceva la seducente Sharon Stone nella famosa scena in cui mostra di non indossare biancheria intima.
L’ergastolo, la caccia alle streghe e un dubbio angosciante
Tornando dunque a Manny, l’ipotetico burattinaio: “le hanno mai detto che lei assomiglia a Michael Douglas”? Ovviamente Michael Douglas è il protagonista maschile di Basic Instinct. Lo stesso avvocato di N.Y. commenta sconvolto che si deve davvero essere psicotici e brillanti allo stesso tempo per mettere in piedi una tale messinscena – quella di Manny e dei suoi ricatti psicologici – un anno e mezzo prima dell’omicidio in questione.
Il brillante e psicotico Luka Magnotta è stato comunque condannato all’ergastolo.
Ma Don’t F**k With Cats non racconta solo la storia di questo stranissimo e perverso cinefilo, su cui vi suggerisco caldamente di cercare ulteriori informazioni (non presenti in questa docuserie), ad esempio nella pagina wikipedia a lui dedicata. Quest’opera, così originale e così bizzarra, narra non solo il narcisismo patologico di un aspirante serial killer, ma anche la caccia forsennata che gli viene data da una community on line. A causa dell’ipotetica e sopracitata regola zero della rete: guai a toccare i gatti. È infatti a partire da questo assunto che Deanna Thompson e John Green guidano una crociata di migliaia di vigilantes virtuali, che dà talvolta la strana sensazione di essere anche una caccia alle streghe. Tanto che ci è scappato il suicida. E forse anche il morto ammazzato.
Rimane infatti il dubbio angosciante, come dice verso la fine la stessa Deanna, di aver fatto tutti il gioco che Luka fin dall’inizio voleva. Chissà che non sia stato proprio il desiderio di prevenire un possibile omicidio a crearne uno vero…
Don’t F**k With Cats: la fama a tutti i costi e il dovere di intervenire
Magnotta voleva essere famoso, a tutti i costi. Sfumata la sua carriera di modello / attore, la ribalta social è diventata il suo nuovo palcoscenico. Lui stesso si era maniacalmente creato una ventina di siti dedicati alla sua figura, nonché una settantina (sic) di falsi profili di adoranti fan. Ed era sempre lui ad inventare e spargere in rete i gossip che lo riguardavano. Luka bramava follemente un seguito di follower reali. La caccia all’assassino dei gattini in fondo gli ha fornito tale seguito. Il resto è stato l’inarrestabile quanto inevitabile alzare sempre più la posta da parte di un ego che stava ingigantendo a dismisura.
Quanta involontaria complicità vi è allora stata da parte di Baudi, John, ecc.? A partire dalla cosiddetta regola zero. Ovvio che torturare animali indifesi per passatempo sia assolutamente deprecabile. Ma c’è qualcosa di morboso e straniante nella smodata affettività che molti tendono – soprattutto in rete – a riversare sugli animali in genere e su quelli domestici in particolare. I gatti, e più ancora i gattini, sono l’emblema internauta di questa singolare affezione.
Inevitabile quindi chiedersi se il solo efferato omicidio di Jun Lin sarebbe stato in grado di provocare una reazione altrettanto massiccia e potente di quella causata dalle contorte e fantasiose esecuzioni di cuccioli indifesi. Anche se Don’t F**k With Cats non indugia esplicitamente nelle immagini delle torture omicide, ciò che viene mostrato è comunque sufficiente a scatenare nello spettatore orrore e indignazione. E a far sorgere, al di là dei turbamenti, alcuni importanti quesiti. Quando si è in dovere di intervenire di fronte a qualcosa che si ritiene oggettivamente aberrante? Si ha il diritto di intervenire in prima persona?
La rete, la brama di cose eccezionali e noi spettatori
La Rete è innanzitutto una rete di relazioni. Una sterminata comunità in cui reale e fittizio convivono senza soluzione di continuità. Cosa significa allora smascherare qualcuno in rete? E ancora: si ha il diritto di poterlo fare? Come si usa dire: meglio cento colpevoli fuori che un innocente in galera. Traslando il concetto nel mondo di internet: quanti utenti si può correre il rischio di linciare per errore, prima di arrivare al vero colpevole? Posto che il linciaggio avviene per furia popolare e non proviene certo da un’autorità giudiziaria?
Anyway, questa docuserie funziona proprio in tutti i sensi, a partire da forma e contenuti. Invece di focalizzarsi da subito sull’omicida e sulla sua storia personale, come si è soliti fare nei documentari true crime, Don’t F**k With Cats assume l’insolita prospettiva dei due investigatori amatoriali: John e Deanne. E alle parole di quest’ultima che, sfondando la quarta parete, guarda dritto in camera per rivolgersi agli spettatori, è affidato il finale di questa breve e intensa epopea. Dopo tre ore di interviste ai componenti della task force on line e ai veri detective, di flash degli snuff video di Luka, e di una marea di immagini di supporto visivo al racconto, alla fine Baudi si chiede – e ci chiede – quanto questa storia sia stata causata dalla loro stessa caccia. In fondo, hanno tutti offerto a Luka Rocco Magnotta il palcoscenico che andava disperatamente cercando. Come se il gioco fosse sfuggito loro di mano e avesse iniziato ad influenzare la stessa realtà (vedi Q – Into the Storm a proposito del fenomeno Qanon).
E quanto questa storia, o più in generale storie come questa, sia stata causata dall’insaziabile brama collettiva di immagini e video eccezionali, ovvero fuori dal raggio della normalità. A partire sempre da loro, da subito spettatori dei video sui gattini e dei video sulla morte atroce dei gattini, per finire con tutti noi, fino all’ultimo spettatori di questa stessa docuserie.
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