L’investigatore Wolfe (Cry Wolfe) è una serie televisiva statunitense di genere investigativo – documentaristico (Investigation Discovery, 2014-16), in tre stagioni per un totale di 40 episodi da 30 minuti circa. In Italia è andata in onda su Investigation Discovery, Real Time e infine su Giallo. Dove ancora la si può talvolta vedere nell’ultimissima fascia del palinsesto notturno, prima dell’alba.
Il programma racconta alcuni tra i casi più intriganti seguiti dall’investigatore privato Brian Wolfe. Che nello show interpreta se stesso. Si tratta di indagini reali, scelte dalla produzione nell’archivio del detective. E inscenate ad hoc. Ambientate nella vasta e caotica Los Angeles, le storie di Wolfe non si limitano mai a semplici tradimenti coniugali, mobbing sul posto di lavoro e piccoli ricatti vari… Le vicende hanno qui la tendenza a complicarsi in modo plateale, prendendo una piega spesso surreale.
Brian, che ha al tempo di Cry Wolfe ha 55 anni, è un detective esperto e navigato. Aiutato dalla sua assistente Janine McCarthy, che si occupa in ufficio delle ricerche informatiche, Wolfe ricorre anche ad altri collaboratori occasionali, a seconda dell’indagine. Talvolta c’è bisogno della donna avvenente da infiltrare ad un party, talaltra del bravo ragazzo per fare una finta consegna a domicilio. Ma il protagonista indiscusso è sempre lui, fedelmente seguito da una piccola troupe che ne riprende le gesta. Fare degli appostamenti con al seguito tizi con telecamera e giraffa per l’audio non è certo il massimo, ma lui sa il fatto suo e spesso lascia tutti indietro per agire indisturbato.
Cry Wolfe: exempla
Brizzolato, ben piantato e dal marcato accento bostoniano, Brian Wolfe è un tipo semplice (viene per l’appunto dal Massachusetts), di pochi e saldi principi. Principi che ha modo di ripetere più volte, attraverso brevi pillole di saggezza (del Massachusetts) a commento delle vicende. La sua moralità viene comunque costantemente urtata dalle situazioni pruriginose nelle quali è chiamato ad intervenire. In fondo Wolfe è un adorabile burbero dall’aria provinciale, che rimane spesso scandalizzato dalla decadenza dei costumi degli abitanti di Los Angeles. Più volte ad esempio alla fine viene a scoprire che il cliente gli ha mentito. Non si contano poi le volte in cui rimane turbato, se non esterrefatto, di fronte alla bizzarra o isterica risoluzione di un improbabile caso. E noi con lui. Alcuni casi esemplificativi, scelti a caso. Fidanzata teme lui la tradisca. No, è solo già sposato da anni con un’altra. Coppia femminile è finalmente sobria da tempo. Lei sospetta che la fidanzata abbia ripreso a bere. Invece frequenta un club sadomaso. Fidanzato di una cartomante registra di nascosto le sessioni di lei, le cui informazioni apprese poi utilizza per abbordare le belle ragazze. Docente universitario sotto ricatto. Se non paga delle foto piccanti che lo ritraggono con una studentessa finiranno alla moglie. Lui non ricorda nemmeno di averla tradita. Ad aver organizzato tutto è stata la moglie. Padre di famiglia si rivolge a lui perché gli è sparito un prezioso ‘trenino da collezione’ (sic). Sospetta fortemente del giovane clown che ha ingaggiato per il compleanno della figlioletta. Wolfe inscena addirittura un’altra festicciola di compleanno con bambini. Si scoprirà che il giovane va a letto con la moglie del derubato. Vestito da pagliaccio, perché alla signora piace così. Imperdibile l’inseguimento dello stallone in questione, nudo e con la maschera da clown.
Leggero, ingannevole, scanzonato e fuorviante
Trame al limite dell’incredibile. E ricostruzioni drammatiche eseguite a regola d’arte, con attori estremamente credibili. Ed è proprio questo il punto che, soprattutto negli USA, ha diviso il pubblico (in verità non numerosissimo) di Cry Wolfe. Perché per alcuni il fatto che le scene siano ricostruzioni drammatiche, o drammatizzazioni (reenactment) se si preferisce, è una scoperta addirittura sconcertante. Che denuncia la volontà di inganno e in generale il livello mediocre della serie. Del resto sarebbe davvero strano l’esatto combaciare di inquadrature, tempi, luci! Ma questi credono che le storie fingano di essere vere, e pretendano di stare accadendo realmente. Accusano quindi lo show, che trovano stucchevole e artefatto, di avere trame ai limiti del nonsense, con casi totalmente inverosimili – che insomma starebbero meglio in un programma di Jerry Springer, al cui modello di tv abbiamo dedicato questo articolo.
Strano come, una volta convinti sia una finzione, anche le storie raccontate lo diventino in automatico. Proprio perché ai limiti del credibile, queste storie dovrebbero invece risultare subito veritiere. Ancora una volta, la conferma che di questi tempi la realtà sia molto più fantasiosa della stessa fantasia. Comunque sia, anche per Variety lo stile delle riprese, da nervosa camera a mano in continuo movimento, rende Cry Wolfe “ingannevole e fuorviante”.
C’è chi invece ne apprezza il tono tutto sommato leggero (niente sangue o violenza), quasi scanzonato, in contrasto alle atmosfere solitamente cupe (Death Row Stories, FBI: Criminal Pursuit, Disappeared, Unusual Suspects) di Investigation Discovery. Un canale che è dunque pieno di show true crime. Ovvero show, dal taglio documentaristico o reality, che raccontano crimini e indagini (più o meno risolutive) realmente avvenuti. Le drammatizzazioni vengono spesso utilizzate in questo genere di programmi. Ma con Cry Wolfe il pubblico sembra avere qualche difficoltà a gestire la cosa.
Cry Wolfe: alcuni commenti degli spettatori americani
-“This made by underpaid street actors they just found downtown” (Sembra fatto da attori sottopagati trovati per strada).
-”I have no reason to believe these aren’t real events filmed in real time” (Non ho ragione di pensare che questi non siano eventi reali filmati in tempo reale).
-”A reality show that may not be a reality show?” (Un reality che potrebbe non essere un reality? si chiede amleticamente qualcuno).
-”I would not have a problem if the shows producer made a clear disclaimer right at the beginning” (Non avrei problemi se la produzione avesse messo un’avvertenza giusto all’inizio).
In realtà, l’avvertenza (disclaimer), alla fine del programma c’è. Quasi invisibile, è vero, ma c’è. Dice che Cry Wolfe è ‘basato’ su fatti reali. Così come alla fine di ogni sanguinaria caccia di Mountain Monsters si dice che nessun animale è stato maltrattato durante le riprese… E’ talmente finto da essere irresistibilmente vero. E talmente vero da risultare platealmente finto. Comunque sia, è anche dannatamente divertente.
Cry Wolfe gioca maliziosamente sul confine tra cronaca e inganno. Per certi versi si potrebbe persino pensare ad un mockumentary (anche se tecnicamente non lo è). Dunque, riassumendo: un vero investigatore privato, interpretando se stesso, mette in scena, con l’utilizzo di attori, lo svolgimento e la risoluzione di casi che ha realmente seguito e risolto in passato. Fino a qui l’unica nota strana sembrerebbe il fatto che lui interpreti se stesso. Ma non si tratta ovviamente di questo. Né della confusione che ottenebra le menti degli spettatori yankee, incapaci di decidere il grado di verità di ciò che stanno guardando solo perché sfugge loro il disclaimer. Comunque colpevolmente scritto in piccolo e buttato lì apposta per nasconderlo.
Un’insolita inconsapevole mise en abyme
La vera questione che trasforma Cry Wolfe in un’insolita inconsapevole mise en abyme è l’impiego della troupe che segue l’investigatore ad ogni passo. Alla quale Brian si rivolge continuamente, ora spiegando il perché di alcune sue azioni, ora illustrando il suo metodo investigativo. Raccontando di casi passati, commentando l’assurdità dell’attuale situazione. Raccomandando di tenersi a distanza per non farsi scoprire. Spiegando minuziosamente cosa crede stia succedendo. La troupe naturalmente si vede e non si vede, poiché Brian si rivolge sempre all’operatore che ha la telecamera. A meno che non sia nell’immancabile momento del ‘confessionale’. A spiegare, illustrare, raccontare ecc.
Spesso Wolfe e compagnia bella, agendo in incognito, utilizzano altre camere nascoste (come quelle nei finti occhiali da vista), e l’azione si sposta in strane prospettive o in soggettiva. Si ha quindi forte la sensazione di avvenimento in diretta: sembra davvero che il caso in questione sia raccontato in mezzora, tra inseguimenti, appostamenti, ricerca di informazioni… Come dice saggiamente un altro spettatore yankee: “I do realize he isn’t solving anything in 30 minutes, so a bit of dramatization is fine with me” (Capisco che un caso non si possa risolvere in 30 minuti, per cui un po’ di drammatizzazione mi sta bene).
Cry Wolfe: Al lupo, al lupo!
Proseguendo l’analisi di questa autoreferenzialità assolutamente sui generis, fosse anche vero che i fatti vengono inscenati così come sono accaduti, ebbene in realtà non c’era nessuna troupe mentre accadevano. Un investigatore privato non può fare il suo lavoro con tanto di operatori, attrezzisti e produttori al seguito. Dovrebbe essere ovvio. Invece è questo a causare il cortocircuito tra realtà e finzione. A volte, per mezzo di un secondo apparecchio, vediamo il cameraman riprendere Brian in azione. E, paradossalmente, non si contano le volte in cui in questo programma viene chiesto, o intimato, di spegnere le telecamere.
Sembra proprio che ciò che stiamo vedendo sia registrato lì, al momento. Anche se sappiamo che non è così. Che non può essere così. O forse può? In fondo non è proprio la presenza di cameraman e fonico a rendere reali queste drammatizzazioni? Seguendo fedelmente i dettami della società dello spettacolo – che è sempre più l’Occidente tutto, America in primis e Hollywood L.A. sopra ogni cosa – lo show è l’unica realtà. Lo show, ovvero il filmato, la messinscena, lo spettacolo. Se non fa notizia, non esiste. Non è poi una filosofia così distante dall’everyday people.
Se un albero cade nella foresta e nessuno l’ha ripreso, è mai caduto? Ricordate la storia di Pierino che tutti i giorni grida “Al lupo, al lupo!”, finché in paese nessuno gli crede più? Bene, stranamente Cry Wolfe si potrebbe da noi tradurre anche e proprio in: Al lupo, al lupo! Per chi ha orecchie per intendere (e che orecchie grandi che hai!)…
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