Alla voce “gemme da recuperare”, specie in Italia, c’è sicuramente Community. Non a caso le abbiamo dedicato anche una puntata del podcast, con un’allegra e interessante discussione che potete ascoltare qui.
D’altra parte, è un po’ la chiave del nostro tempo e dei suoi comfort: il trionfo delle piattaforme di video on demand ha prodotto anche la nascita di un enorme, e sempre crescente, archivio di serie, show, film. Una sorta di esistenza perpetua, da cui possono essere riportati in vita in qualsiasi momento o formato dallo spettatore. Ed ecco le nuova ondate di popolarità per show finiti da anni, come è stato di recente per The Office, in particolare ovviamente la versione americana capitanata da Steve Carell e di cui abbiamo parlato ampiamente qui.
E, in misura minore, appunto per Community. Le cui sei stagioni erano fino a poco fa visibili su Netflix, e ora sono di nuovo indisponibili in Italia. Paese in cui questa fantastica sitcom non ha conosciuto, ancora, il successo che meriterebbe. E che all’estero, ma specialmente negli USA, ne fa un vero e proprio oggetto di culto. Facendola considerare a buon diritto uno delle più brillanti, originali, divertenti commedie del nuovo millennio.
Per due ragioni, che vedremo meglio nei prossimi capitoli. Una comicità che dietro l’apparenza frivola e situazionista gioca in realtà in modo molto sofisticato con gli oggetti dell’immaginario pop. E un approccio radicalmente metatestuale, che fa di Community un oggetto unico tra le sitcom.
Che cos’è e di che parla Community
Partiamo dal suo autore: Dan Harmon. Che poi, subito dopo, sarebbe stato co-autore di un cartone adulto e complesso come Rick and Morty: uno degli show che a Mondoserie amiamo di più, e cui abbiamo dedicato oltre all’articolo già citato anche una puntata del podcast di approfondimento. In un certo senso, la serie di cui parliamo qui è quasi una prova generale (e ovviamente live action) del cartone animato assai adulto oggi giunto alla sua quinta stagione.
Community è stata trasmessa per le prime cinque stagioni da NBC (2009-2014). Dopo la cancellazione dello show, e anche grazie alla mobilitazione dei fan, una sesta stagione è stata commissionata e trasmessa da Yahoo! Screen nel 2015.
La serie è ambientata in un Community College della fittizia città di Greendale, in Colorado. Cioè una di quelle scuole pubbliche che in America offrono un’alternativa più accessibile e breve (di solito due anni) alle costosissime Università private.
Una cerchia di personaggi tutti a loro modo marginali ed eccentrici, di diverse età, forma un gruppo di studio bizzarro ed eterogeneo: che nel tempo diventa, per tutti, quasi una stabile famiglia sostitutiva. A interpretarli, un cast fatto di volti già celebri, come Joel McHale e il “vecchio” Chevy Chase; ed altri che celebri lo sarebbero diventati negli anni successivi: Donald Glover (Atlanta, ma anche musicista come Childish Gambino), Alison Brie (protagonista in anni più recenti di Glow), il comico Ken Jeong (la serie di The Hangover). Da segnalare il comico britannico John Oliver nei panni dell’alcolizzato inglese prof. Duncan.
E ovviamente l’incredibile Jim Rash, preside dagli infiniti travestimenti e dall’identità sessuale così fluida da suonare in anticipo sui nostri vorticosissimi tempi.
Il ricorso costante alla cultura pop
Il fulcro della sitcom, però, non sono i flirt, le disavventure scolastiche, e neppure tutto sommato la crescita nel tempo dei personaggi (scarsa). È, in realtà, la radicale dimensione metatestuale in cui lo show è costantemente pronto a scivolare.
Questa dimensione si traduce in due grandi filoni: uno esterno e uno interno alla narrazione. Il primo ha a che fare con la natura dell’umorismo di Community, e con la cultura pop del nostro tempo. Il secondo con la natura del racconto e la struttura della realtà interna dello show. In realtà i piani si mescolano costantemente, come vedremo meglio, anche e soprattutto grazie al personaggio di Abed (il magnifico Danny Pudi, oggi in Mythic Quest). Una sorta di adorabile sociopatico capace di leggere la realtà solo in chiave di cultura pop, e quindi di film e soprattutto di serie tv.
Da un lato, quindi, Community fa ricorso costantemente alla cultura pop corrente. Film, serie, show televisivi, fumetti. Non si tratta di semplici citazioni o ammiccamenti, ma di vere e proprie assimilazioni. Un processo che finisce, in una miriade di casi come si può vedere dal video qui sotto, per dare forma alla struttura stessa del racconto. Interi episodi sono pensati e realizzati a partire da un modello esterno, assumendone le caratteristiche anche formali.
Per esempio, l’episodio in stile Law and Order (3×17, “Basi di biologia investigativa”), alcuni episodi mockumentary in stile The Office e persino un episodio di un videogioco animato a 8 bit, insieme a una parodia di un episodio animato di GI Joe. O “Il Natale incontrollabile di Abed” (2×11), animato in stop-motion, un fatto che Abed sembrava conoscere: per tutto l’episodio, continua a dire che la loro realtà è in claymation. O le citazioni da John Woo, Matrix, Star Wars.
Abed e la dimensione genialmente metatestuale di Community
La seconda dimensione che rende del tutto speciale Community è quella propriamente metatestuale. Cioè, come discutiamo in dettaglio nella puntata del podcast dedicata alla show, quella di un’opera che sa di essere opera di fiction.
Ed è lo sguardo meta-narrativo di Abed a trasformare i riferimenti alla cultura pop di cui parlavamo prima in qualcosa di più: strutture del mondo abitato dai personaggi. Abed è un personaggio sostanzialmente autistico, del tutto incapace di relazioni normali con gli altri. O persino di operare in modo efficace nel mondo. L’unico modo che ha per vivere nella realtà è quello di fare ricorso costantemente a idee, situazioni, accadimenti, battute derivanti dagli universi di finzione che ama e da cui è ossessionato. Film, serie, programmi tv diventano la sua guida per agire nel mondo. E il suo bagaglio di “vita”, che sostituisce un’esperienza “reale”.
Non solo. Abed rompe spesso la quarta parete, rivolgendosi allo spettatore o trattando lo show come uno show, e non come la sua vita vera. Il che, per inciso, è falso nel mondo della finzione – e come tale viene trattato dagli altri personaggi – ma vero nel mondo reale! (In altre parole, Abed è un matto che ha ragione).
Per esempio con il “to be continued” di 3×13, un riferimento fortissimo a uno dei topos della serialità specie “primitiva”. O nei finali delle stagioni 1 e 5. Quando – nel primo caso – cerca ripetutamente di “chiudere” su una nota drammatica l’episodio, conscio essere appunto il finale di stagione. Il secondo caso è ancora più emblematico: siamo alla fine della stagione 5, lo show forse non tornerà. Abed guarda in camera e dice: “Torneremo sicuramente l’anno prossimo. In caso contrario, sarà perché un asteroide ha distrutto tutta la civiltà umana. E questo è canonico”.
Episodi favoriti: Rimedi alla teoria del Caos; Camper base e chiromanzia
Non resisto e dichiaro, con qualche dubbio, i miei due episodi favoriti. Perché forse i più emblematici da un lato di come possa essere genialmente divertente la follia creativa di Dan Harmon. Dall’altra, della purezza della sua ispirazione metanarrativa.
Il primo è il preferito mio e di molti: “Rimedi alla teoria del Caos”, 3×04, di cui trovate un assaggio qui sotto. I sette personaggi principali dell’eccentrico ed eterogeneo gruppo di studio si ritrovano per la festa inaugurale del nuovo appartamento di Troy (Glover) e Abed (Pudi). L’arrivo della pizza a domicilio porta alla domanda: chi dovrà scendere a prendere la cena? Jeff (McHale), il leader di fatto del gruppo, usa uno dei suoi trucchi: un dado a sei facce, e si conta dalla mia sinistra (stratagemma che lo esclude dal compito). Abed interviene, inascoltato: lanciare un dado per determinare il futuro produrrà 6 distinte timeline! E le cose vanno, nell’inconsapevolezza generale, esattamente come previsto dal nostro paranoico “agente metanarrativo”: si creano 6 diverse timeline. Che vediamo tutte, in un crescendo di comicità e follia. Fino alla scoperta della “darkest timeline”, che poi tornerà come uno scherzo ricorrente.
Seconda puntata favorita, con molti più dubbi data la concorrenza: “Camper base e chiromanzia” (6 x 10). Siamo quasi alla fine della sesta e ultima stagione. La puntata si apre con il gruppo di studio on the road, in un camper che, sul tetto, porta una mano gigante, senza alcun contesto. Abed insiste sul fatto che il “pubblico” non sarà in grado di capire come si è trovato in questa situazione e dice a tutti che vuole “tornare a 3 settimane prima” (cut to 3 weeks earlier). E continua a farlo durante l’episodio, ancora e ancora, per cercare di stabilire un punto di partenza della loro storia. Meraviglioso.
Community e le sue sei stagioni: perché guardarla
Va detto con chiarezza. Non tutto è allo stesso livello, nelle 6 stagioni e 110 puntate (nel formato breve da sitcom) di Community. I momenti di stanca, o di ripetizione, ci sono. E c’è in particolar modo il cospicuo “buco nero” della quarta stagione. Dan Harmon, personaggio irrequieto, era stat cacciato dal programma. Ma senza il suo creatore, autore, showrunner Community finì rapidamente per avvitarsi su se stessa. Al punto da costringere i produttori a richiamare Harmon per la quinta (e poi sesta) stagione. Il nostro si vendicò a piuttosto riprese, inserendo ricorrenti riferimenti sarcastici alla stagione 4 come “l’anno della fuga di gas”.
Ma pur nell’ovvia incostanza delle sue stagioni e puntate, la serie ha saputo reggere fino all’ultimo. Chiudendo in bellezza, nonostante gli attori nel frattempo persi per strada (Glover e Chase su tutti), con un finale assolutamente convincente. In “Conseguenze emozionali del palinsesto televisivo” il gruppo immagina come potrebbe essere il loro prossimo anno al Greendale. L’episodio include molte proposte autoreferenziali su come sarebbe una “settima stagione” dello show.
E si conclude, dopo l’apparente finale di saluti e baci, con una finta pubblicità (quella qui sopra) del gioco da tavolo Community. In cui i giocatori, una famiglia tipica, capiscono di essere solo una famiglia immaginaria prevista dalla sceneggiatura.
Non solo: pur nei toni di una sitcom, Community riesce a dirci qualcosa di prezioso. La “malattia” di Abed è la nostra: condannati a vite sempre più virtuali, persi in universi di finzione. Fino a non saper più navigare la vita. O a non poter distinguere il vero dal falso, la realtà dalla finzione.
Come i due giovani amanti di I Love You, Now Die, documentario agghiacciante. O come i tanti altri esempi di intreccio e scambio furioso tra realtà e suo racconto che stiamo analizzando nelle puntate di podcast dedicate alla “Follia doc“.
Ascolta anche il podcast su Community!
Community, sitcom che riflette su se stessa (e la tv) | PODCAST
E quello su Rick and Morty: