Cos’hanno in comune uomini e coralli? Beh, sono i soli esseri su questo pianeta ad avere la capacità di costruire il proprio habitat. Un tuffo sott’acqua nelle barriere coralline e vi sembrerà di stare a Manhattan. Una Manhattan per pesci, naturalmente.
I coralli sono teoricamente macchine perpetue: finché l’ambiente che li circonda lo permette, possono vivere senza preoccuparsi di morire di morte naturale. Come le meduse, possono andare avanti nell’esistenza finché un fattore esterno non li uccide.
Queste e molte altre meravigliose notizie sono racchiuse nei due documentari che Netflix ha (più e meno) recentemente dedicato ai coralli: Chasing coral (2017) e Puff: meraviglie della barriera corallina (2021).
Chasing coral (che potete vedere integralmente qui sul canale YT di Netflix) ha come protagonista un ‘nerd dei coralli’, come lui stesso si definisce. Zachery Rago, nato in località montane degli Stati Uniti, ha da sempre una passione viscerale per questi ‘polipi’ costruttori di mondi. I coralli sono animali che edificano – mettendosi tutti assieme – un ecosistema che dà casa e nutrimento a innumerevoli specie di pesci, molluschi, granchi, stelle marine e tutto quello che abbiamo sempre visto nelle pubblicità e nei film.
Zachery Rago e molti altri esperti di questo documentario spiegheranno le innumerevoli qualità del corallo, organismo misterioso, oggetto di curiosità fin dai tempi antichi. Plinio il Vecchio ne parla come di una pianta marina che, una volta portata in superficie, muore. E così è stato considerato fino al XVIII secolo: una pianta.
Il collasso delle barriere in Chasing Coral
Oggi è riconosciuto nella famiglia animale dei Cnidaria. Ed è carnivoro! Ebbene sì, coi suoi tentacoli afferra piccoli crostacei e plancton. Tuttavia i coralli più famosi, quelli delle barriere coralline di acque calde, ospitano dentro di loro una specie di alga, le zooxanthellae, che fornisce nutrimento in cambio di ospitalità.
Ma per poterlo fare, essendo le zooxanthellae microorganismi fotosintetici, c’è bisogno di luce. Perciò questo tipo di coralli si trova in acque poco profonde. I famosissimi e bellissimi coralli della barriera corallina australiana sono di questa specie. Ma abbiamo al mondo tanti altri tipi di coralli, solitari e anche d’acqua fredda, che non vivono in simbiosi con alghe e si nutrono autonomamente. Per questo possono vivere anche in profondità, dove la luce non arriva.
Chasing coral analizza il tipo di corallo d’acqua calda. Sicuramente il più coreografico. Eppure nel 2017, quando il documentario è stato realizzato, stavamo assistendo alla più grande moria delle barriere coralline che la storia ricordi. Negli ultimi anni quasi il 50 per cento dei coralli di acqua calda nel mondo stava morendo.
Un evento drammatico che in pochi hanno percepito. A parte qualche notizia sui giornali, questo ed altri coraggiosi documentari, in cui gli studiosi dedicano mesi del proprio lavoro a spiegare il fenomeno, nessuno si stava interessando ad una catastrofe di dimensioni bibliche, fortunatamente evitata grazie alla fantastica resilienza della natura.
Ma perché uno dei più grandi ecosistemi della terra stava collassando, oltretutto nel silenzio più totale dell’umanità?
Chasing coral e la strategia di autodifesa del corallo
Il corallo d’acqua calda ha recentemente sofferto moltissimo per l’innalzamento della temperatura dei mari. In pratica l’alga simbiotica che lo abita si ‘stressa’ per il troppo caldo e non potendo più lavorare nel processo di fotosintesi – quindi non potendo più nutrire il suo ospite – viene espulsa dallo stesso polipo. Il quale poco dopo diventa tutto bianco e muore. Questo evento è tristemente noto come ‘sbiancamento dei coralli’.
I protagonisti di Chasing coral sono scesi ogni giorno, per mesi e mesi, a documentare la catastrofe. In pochissimo tempo hanno assistito alla morte di migliaia e migliaia di coralli – e di conseguenza di pesci, con tutto l’ecosistema che li sosteneva.
Oltretutto per potersi calare nelle acque poco profonde dove risiedono i coralli, la troupe per un periodo di tempo ha dovuto utilizzare come base un ristorante galleggiante. Li vediamo salire e scendere, a documentare l’ecatombe corallina mentre la gente balla, mangia e beve. E nessuno dei festanti nota le facce sconvolte e gli occhi spaventati degli operatori.
Insomma, nel 2017 Chasing Coral tenta di lanciare un enorme (anche se rimane praticamente inascoltato) grido d’allarme.
Il fenomeno dello sbiancamento dei coralli è stato spiegato anche dal grande David Attenborough nella miniserie Life in color (di cui abbiamo parlato qui). Attenborough, con la sua naturale positività, dedica parecchia attenzione ad una particolare reazione del corallo rispetto al suo stesso sbiancamento. Già nel 2015 alcuni coralli, come difesa alle temperature troppo elevate, hanno cominciato a sviluppare un pigmento fluorescente: una specie di crema solare in grado di proteggere sia loro sia l’alga con cui vivono in simbiosi.
La speranza in Puff, le meraviglie della barriera corallina
Anche in Chasing Coral vediamo come questo fenomeno abbia in qualche modo salvato alcuni dei coralli in mezzo ai loro compagni di barriera, purtroppo divenuti scheletri. Tuttavia, questa reazione, per quanto sorprendente e positiva, non è sufficiente. E i coralli fluorescenti, circondati da chilometri di ecosistema morto, sembrano inquietanti fantasmi.
Ma il recente documentario Puff: meraviglie della barriera corallina (Netflix 2021) ci riporta un po’ di speranza. Seguendo questo piccolissimo pesce, Puff (un pesce palla), nella sua lotta per l’esistenza, scopriamo non solo che laggiù c’è ancora vita ma che la natura sta elaborando nuovi sistemi per combattere i problemi legati al cambiamento climatico. Dal 2009 al 2017, oltre all’innalzamento delle temperature, ci sono stati diversi cicloni marini che hanno contribuito al collasso delle barriere. Ed ora la situazione sembra, se non ristabilirsi, almeno migliorare.
Vediamo Puff nascere in un ambiente florido, poi avventurarsi e trascorrere alcuni mesi in una specie di asilo per piccoli pesci, non lontano dalla barriera in cui è nato. Poi lo osserviamo tornare indietro per formare una famiglia e costruirsi una vita (i pesci palla possono vivere più di 10 anni). Dapprima smarrito in una barriera corallina che in pochi mesi è caduta a pezzi, moribonda. Ritrova poi, dopo un lungo viaggio, un’altra e nuova barriera, finalmente in grado di accoglierlo.
Sì, perché negli ultimi due anni una nuova generazione di polipi e zooxantelle ha ripreso a popolare i mari caldi, dando vita ad uno dei più grandi eventi riproduttivi marini degli ultimi tempi.
Il futuro delle nuove e delle vecchissime barriere coralline
Insomma, c’è speranza!
L’Australian Institute of Marine Science, nel suo rapporto annuale del 2021-22, afferma:
“La barriera corallina ha già dimostrato la sua capacità di riprendersi dopo le perturbazioni, ma questa capacità di recupero ha dei limiti. Il monitoraggio continuo a lungo termine per capire come la barriera corallina risponde alle perturbazioni è fondamentale per la sua protezione, insieme a una riduzione delle emissioni globali e a una continua buona gestione ambientale”.
Abbiamo assistito – senza darci particolarmente retta – ad una catastrofe pericolosissima, anche per noi. Le barriere coralline ospitano il 30 per cento della biodiversità marina, difendono la terra dalle mega onde e dagli tsunami, e nutrono circa 500 milioni di persone al mondo attraverso la pesca. Infine costituiscono una futura e importante risorsa per gli studi genetici e medici. Salvi per un pelo? Neanche tanto… Se le emissioni di gas continueranno e il tasso di inquinamento non si abbasserà – addio barriere coralline …con tutto quello che ne conseguirà.
Mia figlia di 5 anni, che guardava con me Puff, quando il pesciolino è tornato indietro alla sua prima barriera corallina e ha trovato il deserto continuava a dire… “Ma è tutto solo adesso Puff? Senza amici? Perché non c’è più niente?”. Stavo per spegnere, nel più totale imbarazzo, quando per fortuna Puff ha trovato una seconda barriera, quella delle nuove generazioni di corallo. E tutto è finito bene. Ma questo corallo è giovane e delicato, va protetto. Anche perché, se trattato bene (o meglio: se lasciato in pace) può vivere tantissimo.
Sapete che uno dei coralli più anziani che l’uomo conosce ha più di 4.000 anni?
Era solo un polipetto quando i Sumeri stavano inventando la scrittura…
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