La prima stagione di Bridgerton è uscita a dicembre 2020. Se ne prevedono altre sette, di cui ben tre già confermate! Creata da Chris Van Dusen e prodotta dalla potentissima e infallibile Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy, Scandal, Le regole del delitto perfetto), la serie è basata sui romanzi di Julia Quinn. In questi giorni sono circolate le prime immagini dal set della seconda stagione, e le prime anticipazioni sul cast: il ritorno dovrebbe avvenire per fine anno.
Nonostante sia stato lo show americano più visto su Netflix in 76 paesi (circa 82 milioni di telespettatori al debutto) vi do un consiglio: stateci alla larga. In attesa dei nuovi capitoli, ecco un (velenoso) resoconto delle prime otto puntate.
Bridgerton: di che parla?
Ambientata nella Londra di inizio XIX secolo, durante la cosiddetta Età della Reggenza, Bridgerton racconta la storia dell’omonima famiglia in tutti i suoi intrighi aristocratici.
È l’ora cruciale dei primi balli della stagione. L’occasione per delle damigelle ipocritamente a modo di fare la loro apparizione nel mondo e di venir scelte da un pretendente, passando così dallo stato di figlia docile a quello di moglie sottomessa.
Protagonista indiscussa della prima stagione è Daphne, maggiore della casata Bridgerton, che a detta di tutti, Regina in testa, è la damigella con maggiori possibilità di reperire un buon partito. Dal momento della sua prima “esposizione” in pubblico, tutti vorrebbero stringerla tra le braccia, mostrandola come decorazione o trofeo. Ma il posto d’onore le viene presto sottratto da Marina Thompson, parente di una famiglia rivale, che tuttavia cela un segreto scandaloso non difficile da immaginare.
Fa presto poi la comparsa in scena (per non abbandonarla mai più) un giovane e avvenente duca, ostile però all’idea di maritarsi. Simon Bassett, duca di Hastings, è infatti un seduttore patentato dalle labbra perfette e il cuore duro, ma che grazie al rapporto con Daphne e la sua famiglia si deciderà a risolvere i problemi d’infanzia.
Ad aumentare la suspense, sotto l’ombra dell’anonimato, una certa Lady Whistledown crea disagi e inquietudini rivelando di settimana in settimana le cronache segrete delle alcove di ogni famiglia coinvolta nel “giro dei balli della Regina”.
Un trionfo di cliché… e di costumi.
La prima stagione di Bridgerton è una vera sfida nel cercare di incastrare il massimo dei cliché romantici in un minimo di episodi. Non c’è poi davvero spazio per l’inaspettato: i belli sono buoni, i brutti sono cattivi e i grassi sono adorabili e complessati.
Appaiono in successione tutti gli stereotipi dell’Inghilterra pre-vittoriana: le stabili e antiche famiglie cozzano con le borghesi emergenti, le ragazze eccitate e terrorizzate dal matrimonio rivaleggiano tra loro, i fratelli sono gelosi, le matrigne insopportabili, le sorelle minori erudite e pronte a dar buoni consigli. Un mondo dove il parto avviene senza il minimo sforzo e dove il sesso, anche se nessuno ne sa nulla, fa da padrone.
Eppure Bridgerton, pur essendo una mal riuscita mistura tra Gossip Girl e un romanzo di Jane Austen, si fa guardare fino in fondo. Per più d’un motivo.
Anzitutto i costumi. Nonostante siano di stampo classico (stile impero per le donne, divise, camicie a sbuffo e cravattine per gli uomini), si nota una scelta narrativa di tipo cromatico. La famiglia borghese emergente e un po’ rozza si veste tutta (madre e figlie in testa) a colori sgargianti, in ardite accozzaglie di giallo, arancione e rosa, mentre gli antichi e raffinati Bridgerton prediligono le tinte pastello e il bianco.
Lo sfoggio solenne dei costumi durante i balli è accurato e notevole, e il duca (mai lasciato dalla camera) non cessa di stupirci con le fantasie dei suoi gilet. Ma non basta a nobilitare una serie che per ora, nella sua rassicurante superficialità, non ha nulla da dire.
L’aristocrazia quietamente multietnica di Bridgerton.
L’unica vera particolarità di Bridgerton consiste in un cast totalmente multietnico che abbandona le solite diafane tinte dell’epoca, fatte notoriamente di uomini e donne esclusivamente bianchi, proponendo invece una vera diversità non solo etnica ma anche di stili, ad immagine della nostra società attuale.
Il bel duca (Rege-Jean Page) è un attore britannico originario dello Zimbabwe, la Regina (Golda Rosheuvel) è guineana-britannica e così via. Il cast è completamente misto e vi sono comparse asiatiche vestite da damine londinesi e nobiluomini afroamericani in divisa con lunghi dread.
Ma non è una dirompente novità: cast multietnici si hanno in diverse altre recenti serie in costume, come in The Hollow Crown, The Great etc.
Rimane però importante che nella commercialissima serie Bridgerton non vi sia bisogno di alcuna spiegazione del perché di tale scelta. Si accenna solo, in uno degli episodi di mezzo, al fatto che “il re in gioventù sposò una donna di colore e da allora l’aristocrazia si mescolò”. Detto e dimenticato. Il cast multietnico sta in piedi da sé, come è giusto che sia sempre di più ai nostri giorni, al cinema e a teatro. La trama, invece, delude.
Fortunatamente la voce della misteriosa Lady Whistledown è quella di Julie Andrews che, a ottantasei anni, non finisce mai di ammaliarci con il suo enorme talento, anche se solo in voiceover. Motivo per cui, se proprio volete seguire la saga dei Bridgerton, fatelo almeno in lingua originale.