Breaking Bad è stata con probabilità una delle serie più importanti dello scorso decennio, se non la serie, l’opera narrativa fondamentale di tutto il periodo.
I motivi sono molteplici. Le interpretazioni degli attori, e non solo quelli protagonisti, hanno contribuito e non poco. Al di là della pioggia di premi per Bryan Cranston e Aaron Paul, vogliamo ricordare la bella lettera (una vera e propria fan letter) che mandò lo scespiriano Anthony Hopkins al dottor White, in cui ammetteva di aver divorato la serie e di non aver capito con che sistema si fosse ottenuta una simile concentrazione in tutto il cast a cui chiese di portare i propri complimenti nominando uno per uno tutti.
Un altro motivo è la fattura generale, omogenea nello stile e davvero ben costruita nel plot. L’arco narrativo dei personaggi è impressionante, ognuno di essi impara a perdere la propria stabilità dinanzi all’irruzione del Male nella propria vita – i poliziotti perdono la baldanza, le mogli la tranquillità, i piccoli drogati l’immaturità… l’unico a subire un processo opposto è il protagonista Walter White, il cui viaggio nell’oscurità è contornato da ferite e decadimenti fisici che però non lo frenano.
Breaking Bad. Capolavoro sociale. Capolavoro razziale. Forse no.
C’è poi una lettura in profondità, secondo cui il successo dell’opera sta nell’aver dipinto la crisi dell’americano della classe media e di mezza età – insomma, dell’americano medio – al volgere del millennio, soprattutto quando la spaventosa crisi economica del 2008 cominciò a mettere in discussione il simbolo per eccellenza della stabilità familiare promessa dal sogno americano: la casa.
All’idea che Breaking Bad fosse una risposta profonda al crash dei subprime, si aggiunsero altre interpretazioni venate di quel razzismo che è oggi ineliminabile da ogni discorso dell’intellighenzia americana, sia sui giornali che nelle università: Walter White era il simbolo dell’uomo medio americano in crisi in quanto ad essere in discussione ora era la sua razza.
Insomma, Walter White – nomen omen – risuonava nell’intera nazione perché rappresentava i timori dei bianchi oramai consci del crepuscolo razziale venturo, quando l’egemonia e la maggioranza numerica saranno per sempre perdute.
In ambo i due ultimi casi – crisi della classe media, crisi della razza bianca – non pochi hanno tirato in ballo Donald Trump e l’elezione del 2016, di cui Breaking Bad diviene quindi una sorta di amara spia profetica.
Ogni spiegazione del successo di un capolavoro è lecita. Tuttavia, vogliamo qui ricordare un altro effetto non indifferente che la serie di Vince Gilligan ha avuto sull’immaginario collettivo americano e mondiale: la percezione del Narco-Stato.
È innegabile che soprattutto dopo la prima stagione (troncata orrendamente causa solito prolungato sciopero degli sceneggiatori di Hollywood) uno dei piaceri che riservava la serie era quello di scoprire, strato dopo strato, le organizzazioni sempre più grandi, potenti, letali, efficienti che si celavano dietro la produzione e lo spaccio di metanfetamina.
Abbiamo scoperto con gli occhi di Walter e Jessie – i quali credevano che il mondo della droga potesse attuarsi domesticamente, su un camper – che invece c’erano industrie, mafie, intere potenze di dimensioni sconosciute già radicate in profondo, con tentacoli che si estendevano ovunque e una indiscutibile lealtà da parte degli affiliati, con volumi economici da «business grandi abbastanza da essere quotati al NASDAQ» (dice Walter alla moglie in una delle scene più clippate sui social media) e operazioni di precisione totale.
In pratica, quello che scopriamo nel viaggio all’Inferno di Walter e Jessie, è un universo di istituzioni. Laddove l’occhio nudo vede solo il lerciume caotico dei drogati e degli spacciatori, vi è invece un continuum di razionalità ed organizzazioni assolute.
Laddove c’è disfunzione sociale, sotto sotto c’è, in realtà, uno Stato.
Breaking Narco-Stato
Gustavo Fring, il leggendario industriale drogastico che copre l’attività con la catena di Fast Food Los Pollos Hermanos, è solo la prima foglia della Cipolla. Fring, viene accennato durante la serie ma mai spiegato, avrebbe contatti, forse per famiglia con i militari del Cile, da cui il personaggio interpretato da Gianfranco Esposito dice di venire. Non è chiaro se si parli del Cile di Pinochet, che però, come viene detto nei primi secondi della serie Netflix Narcos, fu in realtà colui che trucidò tutti i produttori di coca spostandoli verso la Colombia e creando così indirettamente i vari Escobar, il Cartello di Medellin etc.
Fring fa funzionare l’impresa come un orologio svizzero, ha catene intere per la distribuzione che si servono di metodi quasi infallibili, e una rete capillare in tutta la regione.
Eppure, scopriamo, non è il pesce più grande. Il cartello di Juárez, cui si rivolgerà poi la sua tremenda vendetta, è ancora più potente e crudele. I messicani, tra cui il Don Eladio Vuente interpretato da Steven Bauer (il quale, apparendo in una scena come il Manny da lui interpretato in Scarface mentre Walter e il figlio si godono il film in TV, rischia il paradosso dell’attore), trattano il fiero Fring come una pezza da piedi. Sparano ai suoi dipendenti, attaccano la sua sede, rubano i suoi specialisti, uccidono i suoi amici – e tutto questo solo per negoziare.
Il cartello messicano diviene il vertice del male organizzato nell’esperienza di Walter e Jessie. Quando anche il cartello esce di scena, apprendiamo che la ramificazione del traffico di stupefacenti prende altre vie: lo possono portare avanti anche quelli dell’Aryan Brotherhood, un gruppo reale presente nelle carceri che predica la supremazia bianca e talvolta il separatismo, con la creazioni di uno Stato monocolore nei territori da essi controllati
E poi ancora: istituzioni finanziarie e industriali tedesche sono coinvolte, e c’è il dettaglio, rivelato a Walter da Lydia, insospettabile capo della logistica internazionale dei cristalli di metanfetamina, che in Repubblica Ceca (non ancora divenuta «Cechia») «il 5% della sua popolazione di 10 milioni, che è più o meno la popolazione del South West dal Texas a Phoenix, usa la meth».
Nel mondo reale, l’ammontare totale annuo delle finanze provenienti dal del commercio di stupefacenti si stima essere compreso tra i 500 miliardi e 1,5 trilioni di dollari. Si tratta di somme che di per sé possono sostenere intere nazioni, e non di piccolo taglio.
Narco-Stati mondiali
Secondo la definizione che si tende a dare oggi, il Narco-Stato è il termine che si applica a Paesi dove le legittime istituzioni sono state espugnate dai signori della droga. Il primo uso del termine risale ai tempi del golpe di Luis García Meza in Bolivia, che si dice fosse finanziato dai narcos locali.
L’altro caso, decisamente più noto, è stato quello di Pablo Escobar, figura apicale del Cartello di Medellín, il principale fornitore di cocaina degli USA – un traffico multimiliardario che non avveniva, come oramai ammesso in vari libri e mostrato per bene nel Barry Seal di Tom Cruise, senza l’avallo di istituzioni di rilievo, come la CIA.
Escobar controllava l’intera forza di polizia di Medellín, dove comprava qualsiasi cosa, dai voti della gente (fu eletto in Parlamento) a ogni livello di controllo che potesse mettergli i bastoni fra le ruote.
Altro caso conosciuto, fra i tanti, quello dei papaveri afghani: un mercato fiorentissimo che sussisteva sotto i talebani ma anche sotto i signori della guerra dell’occupazione americana, con l’esercito USA a chiudere un occhio sull’export degli oppioidi che ora stanno letteralmente distruggendo il tessuto sociale USA (la dipendenza da oppiodi, ingenerata anche dalla politica di Big Pharma, è praticamente la prima causa di morte per la popolazione bianca).
Nel febbraio 2004 l’economista italiano Antonio Maria Costa, Sottosegretario generale delle Nazioni Unite con la carica di Direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNDOC), ha dichiarato che circa 2,3 miliardi di dollari finiscono nelle mani di organizzazioni come al-Qaeda.
A finanziarsi con il traffico di droga sono miriadi di gruppi terroristici, e ad ogni latitudine: tutte le sigle di destra e sinistra in Colombia (Clan del Golfo, Los Rastrojos, Ejército Popular de Liberación); gli indiani della D-Company, un’organizzazione criminale che ha effettuato gli attentati di Bombay del 1993, sospettata di essere coinvolta nel traffico di droga su larga scala attraverso i contatti nell’intelligence pakistana; i paramilitari lealisti dell’Ulster Volunteer Force; Il Movimento Islamico dell’Uzbekistan.
Struttura, non caos: il gioco di Trump sull’immaginario
Ora, questa è stata per gli americani uno dei bagliori principali per cui sono stati attaccati a Breaking Bad. Dietro alla droga e ai latinos non c’è povertà e caos, c’è struttura. Walter White e Jessie, paradosso, sono ingenui bianchi americani che la scoprono e – guilty pleasure – la vincono.
Potete ascoltare la lunga e sincera intervista che Steve Bannon diede qualche tempo fa al canale pubblico USA CBS. Dettagliando le rocambolesche avventure della Campagna Trump, Bannon indica che il vero start fu esattamente nel momento in cui il biondo non-ancora-candidato-presidente scese dalla scala mobile della Trump Tower (la scena che si vuole i Simpson avessero preconizzato) per andare nella sua conferenza stampa di lancio e dipingere nella mente della nazione gli stupri commessi dalle mafie di immigrati.
Seguì il vespaio di polemiche, ma lui non indietreggiò di un millimetro: all’anchorman CNN Don Lemon, che protestava con sufficienza credendo ovviamente di trovarsi davanti ad una macchietta politica transeunte, ribadì che «someone is doing the rapings, Don!», qualcuno sta commettendo quegli stupri.
Per quanto i media, soprattutto quelli esteri, abbiano sempre mancato i dettagli sulle tirate di Trump, l’obbiettivo allora e negli anni successivi era molto preciso: The Donald citava a piè sospinto gli MS-13, una mafia transazionale nota per la sua efferatezza.
I Mara Salvatrucha (nome bizzarro a cui si preferisce MS 13) sono un’organizzazione dedita allo spaccio e al traffico d’armi, con un numero consistente di omicidi negli anni. Nel 2017, due membri dell’MS-13, Miguel Alvarez-Flores e Diego Hernandez-Rivera, sono stati arrestati per aver rapito, violentato, torturato e drogato una ragazza di 14 anni per oltre due settimane a Houston, in Texas. Nel 2018, un affiliato di Brooklyn fu accusato di aver stuprato una bambina di 11 anni.
Sono salvadoregni, onduregni, guatemaltechi, sono di ogni Paese Sudamericano e sono presenti in tutto il mondo: attacchi legati a pandillas (bande latinoamericane) legate a MS-13 si sono avuti anche a Milano (dichiarata «capitale europea delle gang salvadoregne») e Genova. L’FBI ha avviato una task force anti-MS-13 da oramai più di tre lustri.
Per la loro disumanità, i mareros (così chiamano gli affiliati di MS-13) sono stati talvolta assoldati dal Chapo Guzman (imperatore del Cartello di Sinaloa, recentemente ingabbiato dagli USA) per combattere i Los Zetas, il braccio armato del Cartello del Golfo costituito da altrettanto sanguinari ex membri delle forze speciali messicane.
Breaking Bad e tutti gli altri show sul narcotraffico
Chi prova a seguire il ragionamento, può arrivare a capire il successo popolare di Trump: egli non gioca su temi politici e discorsi, egli colpisce la fantasia delle persone (ecco perché non rinuncia a quella capigliatura pazzesca, che lo rende subito riconoscibile fra mille, come un brand), egli lavora sull’immaginario.
E l’immaginario americano e non solo, grazie alle serie TV, aveva scoperto da decenni dell’ascesa del Narco-Stato, un’ennesima riprova della debolezza della Repubblica oramai al crepuscolo. Queste inquietudini hanno contribuito all’elezione del candidato Trump nel 2016, e pure agli incredibili 74 milioni di voti (tantissimi, più di Obama) presi nel 2020.
Vi basta sfogliare i cataloghi di Netflix e Amazon Prime. Narcos, in infinite stagioni e con gemmazione messicana. Documentari su Escobar e sulla droga ovunque. Dope, Drug Lords, El Chapo, How to Fix a Drug Scandal, Top Boy, Drug Squad, The Day I Met El Chapo, The Business of Drugs, Ozark (un’altra serie dove, sempre nell’orrore, i poveri criminali autoctoni americani trucidano i ricchi narcotrafficanti messicani).
Sul tema c’è chi ha prodotto perfino capolavori, come il Nicolas Winding Refn di Too Old to Die Young. Ma si tratta di un’opera, appunto, di piena era Trump: la vera cifra di questa storia di poliziotti corrotti e di onnipotenti narcoassassini messicani è una mistica della decadenza, con gli USA a divenire una realtà più povera e devastata del Messico fatto delle ville dei generosi boss.
L’idea di decadenza di un popolo, che Breaking Bad cominciò a dimostrare e che Trump seppe intercettare, una volta assorbita invoca giocoforza una sostituzione del sistema politico: e il Narco-Stato con annesse narrazioni di mafia altro non è se non una delle vie, un babau che appare come non solo immaginaria possibilità quando un Paese si prepara al suo reboot.