Bang Bang Baby (2022) è una fiera serie italiana ideata da Andrea Di Stefano e diretta da Michele Alhaique (che è anche supervisore artistico), Giuseppe Bonito e Margherita Ferri.
Produzione di Apartment e Wildside, per la distribuzione di Prime Video. Ho voluto riportare per intero i nomi coinvolti in questa produzione perché, all’interno dell’italico panorama seriale, Bang Bang Baby costituisce una felice e luminosa eccezione. Per forma e contenuti. Non appartiene al novero delle mastodontiche produzioni, crime o simili (Gomorra, 1992/93/94) né a quello delle grosse coproduzioni internazionali (ZeroZeroZero). Non per questo appartiene però alla schiera delle produzioni minori e/o minorate (… troppo imbarazzante fare qui qualche esempio).
Incredibile come questa serie, che in fondo è un brioso inno all’eccesso e alla finzione della messa in scena cinematografica, si ispiri ad un romanzo – L’intoccabile – di Marisa Merico (edito da Sperling & Kupfer), che è invece il racconto di una storia vera. Storia vera che qui si trasforma nella fiaba di Alice, una ragazzina che si ritrova vorticosamente invischiata nel mondo della ‘Ndrangheta nella Milano degli anni Ottanta.
Romanzo di formazione e favola nera, nera come l’umorismo di cui straborda, con ritmi serratissimi e un’estetica esasperatamente grottesca, questi dieci episodi sono un omaggio continuo ad un certo tipo di cinema d’autore. Da Guy Ritchie e (ovviamente) Quentin Tarantino a Martin Scorsese e (addirittura) Nicolas Winding Refn – anche se quest’ultimo viene citato più per la costante presenza di luci al neon. Ammiccando ad Hulk e alle Charlie’s Angels (due telefilm cult in voga in quel periodo).
Tutto qui è volutamente artificiale, e il decennio in questione – con la sua lacca e la sua musica sublimemente laccata – risulta essere il contesto ideale per sbizzarrirsi creativamente. Ricorrendo spesso a brillanti ammiccamenti autoreferenziali.
La “Santa” e l’affare di Malpensa
Siamo nel 1986: Alice (Arianna Becheroni) è una taciturna ragazza che vive con la mamma operaia (Lucia Mascino) in una cittadina poco fuori Milano. Il padre calabrese, Santo Barone (Adriano Giannini), è morto sparato molti anni prima. O almeno così pensa Alice, fino a quando non vede una sua foto sul giornale, che lo ritrae nudo tra due agenti: questa immagine surreale segna l’inizio del suo viaggio nel mondo della malavita. Dal quale la madre, mentendo spudoratamente sulla sorte di lui, aveva sempre cercato di tenerla distante.
Il numeroso, potente e pittoresco clan familiare dei Barone è capeggiato da nonna Lina (un’irresistibile Dora Romano), vedova che sta cercando di accedere al Gran Consiglio della “Santa” – prerogativa tradizionalmente maschile – proponendo al vecchio boss dei boss, venuto per l’occasione al Nord, un affare assai remunerativo basato su concessioni pilotate per i lavori dell’aeroporto di Malpensa. La fantastica vecchia vuole a tutti i costi il suo posto alla tavola dei grandi, ovvero tra i malavitosi delle alte sfere. La sua è una ricerca, per così dire, esistenziale, che condivide con la nipote, la nuora e i principali personaggi – tutto sommato tragici – che fanno parte di questo allucinato dramma comico.
Ma l’appalto di Malpensa è saltato, a causa di qualche miliardo di lire che non è finito nelle giuste tasche politiche. E che, guarda caso, è forse passato troppo vicino alle mani di Santo… Ora lui è in prigione, a causa della sua inconsulta nudità per le notturne strade di Milano. In pratica, la nonna – in lutto da tempo immemore – vede sfumare l’affare della vita per colpa dell’idiota libidine del figlio. Sarà dunque la prima di una lista di villain intenzionati a farlo fuori. Questa volta sul serio, però.
Maschi e femmine in Bang Bang Baby
Dunque il fatidico incontro, dieci anni dopo, e attraverso le sbarre di una prigione, con l’inaffidabile genitore redivivo, catapulta letteralmente la nostra Alice nel paese delle meraviglie. Tra cadaveri, bordelli e maghi della TV, droga, sparatorie e loschissimi affari, ogni figura qui è un’iperbole volutamente caricaturale. Un’iperbole però alla spasmodica e spesso commovente ricerca del proprio senso, della propria identità.
Su tutti spicca quella di Nereo Ferraù (un grande Antonio Gerardi), lo scemo del villaggio che idolatra George Michael. Accompagnato dalla sorella Assunta (Giorgia Arena), lesbica mancata con velleità da sensitiva. Entrambi, venuti dalla Calabria per vendicare la morte del fratello, si perdono nella frenetica magia della Milano da bere. Tra trans, cocaina e macchiettistiche televisioni private.
Ed è la sorella a cercare di guidare le azioni – o più spesso a frenare la pazzia scatenata – del fratello, perché in Bang Bang Baby i maschi sono fondamentalmente cliché assurdi, bellimbusti e mostruosamente ridicoli. Sono solo le donne ad avere profondità, carattere, e a dominare la scena: Alice, assieme alla madre e alla nonna – per tacere delle splendide dame del night…
Il rocambolesco susseguirsi di eventi tra il pulp ed il demenziale, che segue al punto di non ritorno narrativo della protagonista, molto probabilmente non ha più niente a che fare con la storia vera della “principessa della ‘ndrangheta” inizialmente raccontata dal romanzo. Nella serie la ragazzina timida, impacciata e derisa dai suoi compagni, che ha un unico effeminatissimo e divertentissimo amico – Jimbo -, diventa, con una velocità che ha del disarmante, una scaltra e spietata criminale minorenne. Torna dunque ad essere fieramente una Barone, famiglia di punta della ‘ndrangheta milanese. Per la disperazione della madre, operaia emancipata e progressista.
Bang Bang Baby: una gangster story sovversiva
Una metamorfosi improvvisa ed irreversibile, scandita dai commenti in voice over della nostra eroina, che aprono e chiudono ogni episodio. Parafrasando sitcom americane, anime giapponesi e pubblicità varie, in un’ambivalente atmosfera onirica, fluttuante tra il postmoderno e il kitsch (per quel che può significare). Parafrasi che non riguardano esclusivamente l’evoluzione della stessa Alice, ma che talvolta includono anche diverse epifanie degli altri protagonisti del racconto. Perché la fanciulla, in Bang Bang Baby, non è l’unica a doversi sudare la propria emancipazione.
Se ha senso parlare di lotta tra il Bene e il Male per questa storia (e non ce l’ha, soprattutto se per l’uno e l’altro si intendono Stato e crimine organizzato), l’unica vittoria possibile per Alice, Nereo & Company consiste nell’assoluta e spensierata – ma non per questo sprovveduta – affermazione di sé contro i diversi luoghi comuni che sono costretti ad incarnare per nascita, appartenenza, genere, età…
Bang Bang Baby è allora una rielaborazione assolutamente unica e originale della gangster story, che nell’italica tradizione sempre si accompagna al family drama. Una rielaborazione che mira alla sovversione dei generi, formale e contenutistica. Bene e male, maschio e femmina, vecchio e giovane, legale ed illegale sono tutti poli che vengono ribaltati, anche più volte, nel corso della narrazione. Una narrazione dall’estetica multiforme e debordante, come già accennato.
Careless Whisper e l’ultrapop di una fiaba “vera”
La sua deriva ultrapop è magnificamente contrappuntata anche dalla colonna sonora. Che pesca a piene mani dal catalogo nazionale ed internazionale, tra gli indimenticabili – o magari già dimenticati – successi del tempo: Loredana Bertè, Blondie, Heather Parisi, Wham, Al Bano e Romina, Talking Heads, Ivan Graziani… Il culmine del pathos è senza dubbio raggiunto da scene come l’esibizione d’opera lirica en travesti al night – oppure Nereo Ferraù, con posticcia parrucca biondo tinta, che karaoka tragicamente Careless Whisper di George Michael davanti alle telecamere televisive, per l’indicibile vergogna di tutto il suo clan parentale…
La rabbia impotente dello scemo del villaggio, in quell’epico e straziante momento, o l’impossibilità di poter vivere l’amore della sua vita (che è sempre en travesti!), ci riporta al continuo sottotesto drammatico che tutta percorre questa serie, altrimenti così sgargiante e luccicante, talvolta in apparenza anche così pacchiana…
Proprio in questa apparente contraddizione sta la potenza di Bang Bang Baby: visione al contempo sincera e spiazzante, artificiale ed emozionante. E assolutamente, pur tra tutti i rimandi e le citazioni, originale.
Ovvero – come partire da una storia vera per arrivare ad un’incredibile fiaba… altrettanto vera.
Un’altra crime story dark e grottesca: Bad Sisters