Partiamo da qua: Andor (Star Wars: Andor) è una delle serie migliori degli ultimi anni. E no, non mi riferisco solo all’universo Star Wars. E neppure alla fantascienza come genere. È davvero uno degli show più belli, meglio costruiti, più gioiosamente guardabili da un bel po’ di tempo.
Ma se uno non è un fan, o un conoscitore profondo, della ormai immensa saga di Guerre Stellari? Va bene uguale. Si può guardare da sola, e funziona benissimo nei suoi tratti di racconto fantascientifico a metà tra spionaggio e politica. E con le sue caratteristiche ambiziose di world building “sporco”, incredibilmente generoso nel dar vita a una pluralità ricchissima di ambienti quasi sempre “periferici”, marginali.
È chiaro: Andor funziona ancora meglio vista nel contesto di Star Wars. Cui peraltro conferisce una quasi sorprendente profondità, come vedremo meglio dopo. Funziona molto bene se si ha una familiarità generica con l’universo inventato da George Lucas ormai quasi mezzo secolo fa. E meravigliosamente se quell’universo lo si conosce bene, potendo cogliere alcuni preziosi elementi – che però non ammiccano quasi mai ai soli iniziati.
Tutto questo anche per la sua premessa narrativa. La storia di Andor infatti si colloca cinque anni prima degli eventi di A New Hope (1977), il film capostipite della serie che in Italia conosciamo semplicemente come Guerre Stellari. Attraverso le vicende di un gruppo di personaggi, scopriamo la lenta nascita di un’Alleanza Ribelle, che si oppone al sempre più dispotico Impero Galattico.
Al centro della storia è Cassian Andor: un ladro che un po’ alla volta si unisce alla Ribellione. Sullo sfondo, e non è certo uno spoiler, l’ombra dell’iconica Morte Nera, la super arma che l’Impero sta ancora costruendo con terribile pazienza.
Andor e l’universo Star Wars
Chiunque abbia anche solo una vaga familiarità con l’universo di Guerre Stellari conosce l’importanza della Morte Nera nella trilogia originale. È la gigantesca stazione da battaglia capace di incenerire un intero pianeta. Nel primo film, oggi etichettato come episodio IV, dopo che il suo immenso potere distruttivo era stato scatenato dall’Impero in un chiaro tentativo di mandare un messaggio a chiunque osasse sfidarlo, l’Alleanza Ribelle concentrava i propri sforzi sulla disperata missione di far fuori la super arma.
Chi conosce bene la nostra saga invece probabilmente ricorda anche il personaggio che dà titolo alla serie: Cassian Andor. Che non appare in uno dei nove film “maggiori”, ma nel primo spin off standalone del franchise: Rogue One (2016). Lo show Andor funge quindi da prequel proprio a Rogue One, che come meglio racconteremo nel prossimo capitolo è a sua volta un prequel di A New Hope, insomma il film d’esordio.
Lo show è prodotto ovviamente da Disney+, che sta espandendo il franchise con diverse serie tv (abbiamo parlato qui di Obi-Wan Kenobi, e qui di Boba Fett). Il primo nome da ringraziare per Andor è quello del suo creatore, showrunner e sceneggiatore Tony Gilroy. Come sceneggiatore, a lui si devono Dolores Claiborne (1995) e L’avvocato del diavolo (1997), la trilogia originale di Jason Bourne (2002-2007) di cui ha diretto il quarto capitolo, The Bourne Legacy (2012). Gilroy ha anche scritto e diretto Michael Clayton (2007) e Duplicity (2009). Proprio per il bellissimo Rogue One ha attuato una riscrittura (e pure fatto riprese aggiuntive).
La prima stagione di Andor è stata pubblicata da Disney+ dal 21 settembre 2022, in 12 episodi. La seconda, in lavorazione, concluderà la serie, portandoci appunto dritti agli eventi di Rogue One.
Rogue One: “Un film sul furto dei piani della Morte Nera”
È a questo punto inevitabile e giusto dedicare un capitolo proprio al bellissimo film standalone dell’universo Star Wars. Parlare di Rogue One significa inevitabilmente fare SPOILER su Andor, visto che lo show ci racconta appunto gli eventi che porteranno a quelli della pellicola. Ma sarebbe una preoccupazione ancora più stupida dell’attuale esageratissima ossessione per lo “spoiler”. Perché uno degli elementi che dà fascino allo show è proprio quello di raccontarci la origin story di un personaggio che abbiamo già conosciuto nel pieno della maturità. E di cui sappiamo persino come finirà – eroicamente – la storia.
Come si diceva, Andor (2022) è un prequel di Rogue One (2016), a sua volta prequel del primo Guerre Stellari (1975). Un prequel diretto, visto che racconta l’evoluzione e la formazione di uno dei protagonisti degli eventi raccontati da Rogue One. E cioè la missione (suicida) per rubare i piani della Morte Nera. I famosi “piani rubati” che poi appaiono letteralmente nella prima scena di Guerre Stellari, e che – come sanno anche i sassi – nascosti in un simpatico droide finiranno per arrivare in mano al vecchio Obi-Wan Kenobi, mettendo in moto la catena di eventi che porteranno il giovane Luke Skywalker a intraprendere il cammino dei Jedi…
Nel film vediamo un eterogeneo gruppo di ribelli unirsi nel tentativo disperato di scoprire una falla che possa fermare la nuova micidiale superarma dell’Impero. Bisogna rintracciare lo scienziato che l’ha costruita, scoprire dove sono i progetti e poi cercare di rubarli nel protettissimo pianeta-archivio che li custodisce. Il film, ricco di un ottimo cast, è molto bello, maturo, intelligente, appassionante. Proprio come la serie, e non è un caso.
Il nostro Cassian Andor (Diego Luna) in Rogue One è un’abile, coraggiosa ed esperta spia ribelle.
Cassian Andor, da poco di buono a mercenario a ribelle
Ma non è sempre stato così. Prima di diventare un eroe della ribellione, Cassian Andor era un poco di buono. Un ladro, e qualcosa di persino peggio. Nella prima scena della nuova serie, arriva sul tetro pianeta industriale di Morlana One. Cercando notizie sulla sorella scomparsa, si imbatte in due sgradevoli addetti alla sicurezza della Preox-Morlana Authority, un gigantesco conglomerato aziendale galattico. Quando i due cercano di taglieggiarlo, Andor uccide uno dei due accidentalmente. Ma a quel punto, alle strette, ammazza il secondo a sangue freddo. Eccolo, il nostro “eroe”…
I primi minuti dello show ci hanno mostrato il suo protagonista come, di fatto, un assassino. Persino spietato. Apprendiamo poi che da bambino Cassian aveva assistito alla distruzione del proprio pianeta per l’avido sfruttamento minerario da parte dell’Impero. Senza per questo diventare un ribelle, ma piuttosto un cinico: opportunista, materialista, egoista. Ed è questo uno dei motivi della bellezza e della forza coinvolgente di Andor: la capacità di mostrarci la convincente trasformazione di un personaggio, la sua crescita. Sappiamo già, da Rogue One, cosa diventerà: un eroe. All’inizio della serie ci viene mostrato all’opposto, e ci vorranno praticamente tutte e 12 le puntate della prima stagione a dare conto di un cambiamento così profondo.
Cassian Andor si avvicinerà alla ribellione, che disprezza, quasi per caso, come mercenario assoldato per una sola missione. Conoscerà le ragioni e la forza morale di chi rischia la vita per una giusta causa. Ne vedrà il coraggio, la disperata speranza. Imparerà a rispettare le parole – che all’inizio gli suonano vuote, pompose, astratte – del manifesto rivoluzionario che un ribelle incontrato lungo il cammino sta scrivendo. Lentamente abbraccerà una coscienza collettiva, forgiata anche dall’esperienza diretta – in un’ orribile fabbrica-prigione – dell’iniquità ammorbante della tirannide. Solo alla fine emergerà, compiutamente, come eroe della resistenza.
Ed è veramente difficile immaginare un attore più adatto di Diego Luna a rendere le sfumature di un uomo sfuggente, solitario, ombroso, non immediatamente carismatico, che solo lentamente svilupperà le doti di un leader. Non a caso Luna, messicano, oltre che attore (Y tu mamá también, Frida, Milk) è anche regista, sceneggiatore, produttore di film e documentari di forte valenza sociale. E attivista politico.
Un universo più complesso
L’evoluzione del suo protagonista – una trasformazione così radicale, coinvolgente, realistica – è la prima grande sorpresa strutturale di Andor. Sotto il segno di una profondità che è davvero un tratto inedito nell’universo narrativo di Star Wars. Prima che i fan si mettano a urlare, precisiamo: non stiamo dicendo che la saga inventata da George Lucas sia una bambinata (peraltro non sarebbe un insulto). Ma che lavori affastellando archetipi su archetipi, serviti su un livello simbolico tutto di superficie, questo sì. Fascinosa, emozionante, divertente: certo. Ma mai, mai profonda – o in verità neppure sorprendente.
Cassian Andor non è Han Solo, cioè un finto cinico dal cuore d’oro che si rivela tale dopo 5 minuti. Allo stesso modo, neppure l’universo di Andor è esattamente lo stesso di quello di Guerre Stellari. Per esempio: l’Impero del franchise cinematografico è una costante parata di truppe in armatura (corazze inutili ma sempre tirate a lucido). Con pochissimi spaventosi villain e poi una massa di esecutori singolarmente inetti. Se non apertamente grotteschi, caricaturali. Qui, la musica cambia.
La prima manifestazione dell’Impero che incontriamo è indiretta e ambigua, e non ha la forma degli stormtrooper, i classici assaltatori imperiali. Sono invece addetti, guardie, lavoratori del super conglomerato economico della Preox-Morlana Authority (Pre-Mor). Tra questi, uno dei personaggi più importanti della serie, e uno degli antagonisti, anche se il termine qui risulta solo parzialmente applicabile: lo zelante, ossessivo, ambizioso funzionario Syril Karn (Kyle Soller). Che inizia a dare la caccia a chi ha ucciso due suoi colleghi. A questa missione sacrifica la carriera, animato da una motivazione accesa e profonda. Sincera. Karn è uno che vuole fare il suo dovere, che cerca giustizia. Ai suoi occhi, Andor è un elemento di disordine. Karn è un antagonista, certo – ma lo possiamo comprendere: una novità.
“Una ferita al centro della galassia”. L’impero in Andor
E poi c’è la forma poliziesca e repressiva dell’Impero. Per la prima volta la vediamo dietro le quinte. Ed è la seconda grande innovazione strutturale di Andor. Non i super cattivi, gli iconici villain: l’imperatore, Darth Vader, e manco – che so – un Grand Moff. Vediamo piuttosto i servizi segreti. Lo stato poliziesco. La lenta e avvolgente stretta di un potere che si fa sempre più oppressivo, sempre più paranoico. Coruscant, il pianeta-capitale, è tutto un intrigo di spie, di astuzie politiche, manovre, complotti. “Una ferita al centro della galassia”, come denuncia un personaggio.
Vediamo i modi in cui l’Impero gestisce i “fastidi” locali residui: i nativi di Aldhani; le tradizioni di Ferrix. Vediamo l’abilità con cui la burocrazia – spina dorsale del potere – governa. O ancora: le tecniche che il controspionaggio usa. Le forme atroci e inventive di tortura. La strategia di spersonalizzazione che vi sta dietro. Usando la lente di un altro funzionario ossessivo: l’algida e concentratissima supervisora dell’apparato di sicurezza imperiale Derdra Meero (Denise Gough), in rapida ascesa per le sue doti di astuzia e manipolazione.
Ma non basta. In uno degli inserti più impressionanti, e sorprendenti, entriamo nel sistema di amministrazione della giustizia. O meglio: di somministrazione dell’ingiustizia. Spaventato dalla ribellione, l’Impero stringe le maglie: basta un’infrazione di poco conto, trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, per essere condannati ad anni di galera. Senza difesa, senza giusto processo.
E la prigione-fabbrica in mezzo al mare su Narkina-5 è un luogo kafkiano e orripilante, in cui migliaia di detenuti sono assoggettati a una sorta di panopticon, sotto la costante minaccia di punizioni fisiche. E devono ogni giorno competere, divisi in gruppi di lavoro, per raggiungere gli obiettivi di produzione di alcune misteriose parti meccaniche.
“La libertà è un’idea pura”. Nascita della rivoluzione
Proprio sul pianeta-prigione incontriamo il personaggio di Kino Loy: è una sorta di kapò, un prigioniero responsabile di altri carcerati e della loro produzione. Lo interpreta Andy Serkis, per una volta in live action: curioso e gustoso paradosso, l’attore era già apparso nel ciclo canonico, interpretando (in motion capture) il Supremo Leader Snoke dell’ultima trilogia. Loy tiene in riga gli schiavi-prigionieri: ma poi diventerà, spinto da un Cassian sempre più “collettivista”, la voce della ribellione nella magistrale puntata 10.
Loy è uno dei tre personaggi-chiave della terza grande innovazione di Andor: aver dato anima e corpo alla Ribellione. In lui vediamo incarnata la possibilità del riscatto: anche un prigioniero, anestetizzato capo-reparto di altri carcerati, può abbracciare la rivolta.
Il secondo personaggio chiave è Marva (Fiona Shaw), la madre adottiva di Andor: rappresenta la dignità della resistenza. Il suo discorso di commiato, baricentro emotivo e narrativo della formidabile puntata finale, è il canto del cigno di una donna anziana che non vuole più avere paura. Che non accetta più di sottomettersi. È lei a definire l’Impero “una ferita al centro della galassia”. Lei ad accendere l’insurrezione di Ferrix.
La terza figura chiave è quella di Nemik (Alex Lawther), il gracile e apparentemente risibile ribelle che Andor incontra su Aldhani. Incarna la teoria della rivoluzione, attraverso un manifesto che sta scrivendo: e che ascolteremo finalmente anche noi, in apertura del meraviglioso finale di stagione, quando Cassian sarà pronto a recepirlo. Perché oramai non è più il ladro, il mercenario, l’individualista: ha abbracciato l’idealità della ribellione e la necessità che essa sia collettiva. “La libertà è un’idea pura. Compare spontaneamente, e senza istruzioni. Atti isolati di insurrezione si verificano costantemente in tutta la galassia”, dice il manifesto di Nemik.
La dimensione politica della ribellione
La libertà è un’idea spontanea. Come spontanea può essere la ribellione. Mentre innaturale è l’Impero, innaturale è la sua smania di controllo pervasivo, innaturale la sua repressione paranoica, innaturale la sua rigidità metallica. È l’idea più bella che la puntata finale di Andor introduce con le parole del manifesto di Nemik. E che si concretizzano, poco dopo, quando il discorso funebre di Maarva accende una di quelle “scintille di rivolta”.
Cui assiste anche Luthen Rael, elemento fondamentale della ribellione dietro la facciata di rispettabile e chic antiquario sul pianeta-capitale Coruscant. Rael è convenuto su Ferrix, per assicurarsi che Andor – che lui ha personalmente reclutato per la missione su Aldhani – non possa mai identificarlo con le autorità imperiali. Qui osserva l’insurrezione spontanea del pianeta operaio e tradizionalista e del suo proletariato salariato (non è una forzatura!). Luthen, che ha il volto pensoso e calcolatore di Stellan Skarsgård, è una delle due figure che incarnano la dimensione politica della ribellione. È il regista di un’abile campagna terroristica pensata scientificamente per spingere l’Impero a una stretta repressiva che – questa la scommessa – alimenterà vieppiù il fuoco libertario che vorrebbe soffocare. E vive (consapevolmente) il tragico paradosso di tanto terrorismo “tirannicida”: diventare crudele come il proprio nemico, nel tentativo distruggerlo.
L’altra figura che rappresenta la dimensione politica della ribellione è l’unica presente anche nella trilogia iniziale: Mon Mothma (Genevieve O’Reilly). La futura leader dell’alleanza ribelle qua è ancora una senatrice, segretamente parte del nucleo aristocratico e repubblicano della resistenza. Di cui alimenta il flusso finanziario: anche, se serve, con alleanze equilibristiche con i banchieri più corrotti della galassia.
A fronte di queste figure – inevitabilmente opache, politicanti – vi è l’ultimo attore, il più sorprendente nell’universo individualista di Star Wars: la massa rivoluzionaria. Vera protagonista dell’eccezionale finale.
L’emozionante e matura bellezza di Andor
L’ultimo episodio della prima stagione di Andor, come avete capito, ci ha stregati. È bellissimo, perfetto. Portando all’ennesima potenza quel mix di intelligenza, emozione e profondità di sguardo che caratterizza in crescendo questa serie. E che la distingue, oggettivamente, da tutto il resto del canone. E non parlo solo degli altri prodotti seriali.
Costruito su una struttura possente, che si prende il tempo di approfondire diversi ambienti e i discorsi di cui sono portatori (tre puntate ciascuna per l’inizio su Ferrix, la missione su Aldhani, la prigionia su Narkina-5), il finale chiama a raccolta quasi tutti i personaggi che abbiamo seguito fin qui. I vivi, e i morti. E coreografa, con una perfezione stilistica rara, il funerale “politico” che diventa innesco rivoluzionario. E che sublima la trasformazione del nostro Cassian: lo abbiamo incontrato ladro e assassino, iniziamo ora a riconoscere il futuro martire della ribellione, capace dell’atto di eroismo supremo raccontato da Rogue One. Atto su cui, se ci si pensa, si fonda l’intera trilogia originaria.
La scena post crediti finali, che mostra la costruzione della Morte Nera (assemblata proprio con i misteriosi componenti costruiti dai lavoratori – prigionieri), è un reminder non solo cupamente beffardo ma persino utile. Era tale la bellezza di Andor che, in attesa della seconda e ultima stagione, ci eravamo quasi scordati in che universo narrativo fosse inserita – e di quale altra storia fosse il prequel.
Lo scrivo sommessamente, in chiusura: ogni confronto con Obi-Wan Kenobi sarebbe impietoso. Senza star, senza una vicenda narrativa grandissima, senza nessuno dei personaggi iconici dell’universo narrativo di Star Wars, Andor ci ricorda quietamente la capacità di meravigliarci ed emozionarci di una storia – semplicemente ben pensata, ben scritta, ben raccontata.
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