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American Gods: guerra tra divinità, autori, produttori | 2 voci, 1 serie
American Gods, podcast ! Puntata a cura di Jacopo Bulgarini d’Elci e Livio Pacella
Strana ipnotica surreale ma anche caotica e sconclusionata, American Gods (Starz, 2017-21) è una serie televisiva statunitense ideata da Bryan Fuller (Hannibal, Pushing Daisies, Wonderfalls) e Michael Green (Kings, Logan), e basata sull’omonimo romanzo scritto da Neil Gaiman (che è anche produttore esecutivo). Nel podcast raccontiamo di come American Gods sia stata purtroppo cancellata dopo tre stagioni (26 episodi) dal canale via cavo Starz, già produttore di Outlander, Black Sails e Power. Attualmente in Italia è visibile su Prime Video.
La prima fantastica e folgorante stagione, osannata da pubblico e critica, aveva come showrunner appunto Fuller e Green. Per dissidi produttivi i due abbandonano la serie, seguiti anche da alcuni attori solidali. Già con la seconda stagione, affidata allo showrunner Jesse Alexander, inizia una crisi di contenuti che porterà, nonostante l’avvicendamento in S3 con Charles H. Eglee, alla cancellazione di American Gods. Divenuto nel frattempo uno show caotico, contraddittorio e sconclusionato.
Nell’eccellente cast spiccano il protagonista Ricky Whittle (The 100), assieme ad Ian McShane (Ray Donovan), Emily Browning (American Horror Stories), Pablo Schreiber (The Wire), Crispin Glover (Cabinet of Curiosities), Gillian Anderson (Hannibal) e Peter Stormare (Prison Break).
“2 voci, 1 serie”: dialoghi sulle cose che ci piacciono, o ci interessano, nel podcast di Mondoserie.
Vecchie e nuove divinità in guerra
Shadow Moon (Ricky Whittle), dopo tre anni di prigione, viene assunto come autista e guardia del corpo dall’enigmatico Mr. Wednesday (Ian McShane). Laura Moon (Emily Browning), la giovane moglie di Shadow, è appena morta in un ambiguo incidente stradale. Il protagonista, che non ha più niente a cui tornare, si ritrova – in questo misterioso, visionario e magico viaggio on the road negli USA – al centro di un’imminente guerra tra le vecchie e le nuove divinità. Scoprendo che il suo nuovo datore di lavoro è Odino, il dio norreno. Che sta reclutando negli States alleati tra i vecchi dèi delle mitologie e delle culture tribali, dal Leprecauno irlandese al Toth egiziano. Questi, spesso deboli e quasi dimenticati, vivono nascosti tra gli esseri umani. Contro i nuovi potentissimi e avidi dèi, che vogliono fare tabula rasa.
La narrazione intreccia abilmente fantasia, mitologia e critica sociale. American Gods – ne parliamo nel podcast – rappresenta un’allegoria del bisogno umano di credere e della continua trasformazione dei valori sociali. La lotta tra vecchie e nuove divinità riflette il declino di culti e religioni tradizionali e la loro sostituzione con idoli moderni come tecnologia, media e capitalismo. Sottolineando la fluidità della fede nella cultura umana – e americana in particolare.
In maniera più forte, in senso culturale American Gods parla del complesso di inferiorità americano: gli dèi antichi sono stranieri e alieni. Solo le nuove divinità, legate alla potenza tecno-commerciale, possono dirsi autenticamente – e fieramente – americane…
American Gods: cocktail lisergico sotto l’ovvietà del quotidiano
Il romanzo, scritto solo nel 2001, già prefigurava una società iperconnessa come quella attuale. Una società in cui – tutti potenzialmente disponendo di un sapere universale tascabile – non vi è più spazio per il senso del mistero, che è prerogativa essenziale alla fede. “Si crede agli dèi quando non si riesce a spiegare qualcosa” dice ancora Mr. Wednesday. Le antiche divinità combattono anche contro il dispotismo culturale della globalizzazione. Odino, Mad Sweeney e Anansi vorrebbero privare l’umanità degli agi tecnologici, per riportarla ad un rapporto di dipendenza dalle divinità. Gli antichi vogliono togliere per rendere devoti, i nuovi preferiscono dare per rendere riconoscenti.
Tutto questo viene trasposto attraverso un’estetica ipnotica e, in un certo senso, anarchica. Come la fotografia maniacalmente poetica e dai toni volutamente acidi, spesso incline a soffermarsi su microscopici dettagli. A suggerire un sostrato di latente realtà lisergica nascosta sotto l’ovvietà del quotidiano. La sigla d’apertura, un ammaliante cocktail di simboli sacri e pagani, tra luci al neon e musica trance, è una perfetta sintesi dell’estetica di American Gods.
“Gli dèi muoiono. E quando muoiono davvero nessuno li piange o li ricorda…”
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