Addio, Conan. Anzi, addio Coco – come oramai lo chiamano in molti, dopo che una volta lo chiamò così Tom Hanks durante un’intervista: «se il nomignolo attacca ti denuncio», disse il roscio presentatore. Il nomignolo attaccò.
Conan O’Brien era, dopo il ritiro di David Letterman, il più longevo dei presentatori dei talk di tarda serata americani. Il late night show, un genere televisivo denso e totalmente a sé stante, scopiazzatissimo anche in Europa, responsabile, nella heideggeriana «era della disponibilità», di infinite clip spassose di YouTube.
Le moltissime scoperte che dobbiamo a Conan
Dobbiamo a Conan se abbiamo scoperto, ad esempio, la bizzarria impagabile dell’attrice di Parks and Recreation Aubrey Plaza, ammirabile anche qui sotto in una clip dal titolo inequivocabile: “Fanculo vecchiardi, io vivrò per sempre”.
Dobbiamo a Conan se abbiamo potuto esperire alcune vette dell’arte di Louis CK – come quando riuscì a rendere profondissimo, e divertentissimo, il racconto di una crisi esistenziale avuta in macchina – il tutto per realizzare una eccezionale tirata contro i telefoni cellulari.
E non è che possiamo dimenticare assoli incredibili di Bill Burr ospitato sempre da Conan – per esempio, quello per cui «le donne sono sopravvalutate»
Uno stereotipo irlandese gioiosamente malinconico
Era stato in onda per 28 anni, da quando nel 1993 gli capitò precipitosamente di sostituire David Letterman. Ebbe tre programmi di importanza centrale per la TV USA: Late Night with Conan O’Brien (1993-2009), The Tonight Show (2009-2010) – dove sostituì l’altro titano del talk comico, Jay Leno – e infine Conan, partito nel 2010 e terminato l’altra sera.
Conan è bizzarro. Anzi no, è (a partire da nome e cognome) uno stereotipo etnico: il viso spigoloso, la notevole chioma fulva (non sappiamo se qualcuno la abbia mai paragonata con quella arancione-dorata di Donald T.), l’incedere non sempre aggraziatissimo talvolta allegro talvolta malinconico… una sorta di figurina di quello che un tempo si chiamava irish catholic – cioè una parte fondamentale del tessuto demografico e immaginario degli Stati Uniti d’America.
Per restare intonati allo stereotipo cattoirlandese, Conan viene da una famiglia con sei figli che sta a Boston, la città più celtic del mondo (ci hanno addirittura la mafia gaelica: avete visto The Departed, no?).
Conan O’Brien, da Harvard ai Simpson
Eppure, lo stereotipo, come in uno strano scherzo agrodolce (tipo quelli suoi, appunto) è contraddetto: la famiglia della medio-alta borghesia lo manda ad Harvard, dove si laurea cum laude.
Come un laureato della più prestigiosa (e costosa…) università del mondo finisca a scrivere gli episodi dei Simpson non è dato di saperlo.
Tuttavia, il mitico Marge contro la monorotaia (S04E12) lo ha scritto tutto lui, ed è proprio una delle puntate più belle, visto che sono passati tipo quasi trent’anni (sul serio) e ce lo ricordiamo ancora: avete presente, la scena in cui si scopre che il truffatore viene beccato con un disegnino infantile del suo intero piano criminale?
I surreali conflitti di Conan con i suoi collaboratori
Nella puntata finale andata in onda l’altra sera c’è stata la consacrazione definitiva di Andy Richter come miglior sidekick della storia della tv americana. Il sidekick, personaggio per lo più silente ma che riesce a generare un qualche costante effetto comico di sottofondo con la sua sola enigmatica presenza, è qualcosa che in Italia non capiamo bene.
Tuttavia, oltre a telespalla Richter, ammettiamo che abbiamo apprezzato, e riso, nei tour de force nei backstage di Conan, in storie in cui interagiva, per lo più scontrandosi con comica amarezza, con i suoi stessi collaboratori.
Ad esempio Sona, la sua assistente di origine armena, apparentemente trattata in modo brusco (con battute su quando sarebbe arrivata in terra americana su un gommone – in realtà, come tanti armeni, è nata in California…) eppure sempre in sketch in cui la dipendenza di Conan dalla ragazza diventava drammaticamente palese. Sona, divenuta eccezionale nell’ignorare tutto quello che dice o fa Conan, ora ha persino una sua pagina Wikipedia.
Conan in giro per il mondo
Poi c’è il nostro preferito, Jordan Schlansky, il produttore dello show. Conan apparentemente lo detesta, perché lo Schlansky, che è spesso silenzioso e focalizzato – e nichilisticamente anche lui impermeabile a qualsiasi cosa dica il conduttore quando lo va a torturare nel suo ufficio – è uno che fuori dal lavoro sa godersi la vita. Infatti, lo Schlansky è un italofilo estremista, con tanto di vespa guidata a Los Angeles, apprendimento della lingua e potenti immersioni tra i borghi e i ristoranti della campagna toscana.
In uno dei viaggi in Italia, andò anche Conan, con il chiaro interesse di rompere le scatole al suo produttore, rovinandogli ogni idillio paesaggistico e culinario trovato sul percorso: è la cifra del rosso presentatore, forse anche quella una cosa un po’ gaelica, quella di sentirsi a disagio praticamente ovunque.
Le trasmissioni dedicate ai viaggi sono spettacolari e hanno toccato talmente tanti luoghi che a guardare la lista si ha una vertigine da Anthony Bourdain: Cuba, Germania, Armenia, Qatar, Australia, Ghana, Groenlandia, Israele, Haiti, Giappone, Messico… Ovunque questo tizio alto e insicuro rimedia le sue brutte figure, ma porta a casa sempre, per sé e per lo spettatore, qualche osservazione antropologica utile – e divertente.
L’ultima settimana: un addio tra gli amici di decenni
Nell’ultima settimana si sono visti tutti i pezzi grossi di questi decenni di trasmissioni – cioè, gli amici di Conan.
C’era il belloccio, e simpatico, Paul Rudd (che da oltre 20 anni ogni volta va lì a presentare un nuovo film o serie e anziché mostrare la clip preparata dalla produzione proietta sempre la stessa scena grottesca di Mac and Me: il protagonista che precipita in sedia a rotelle giù per la collina e la scarpata, davanti all’amico alieno).
C’è stato un grande mini show delle imbattibili imitazioni di Dana Carvey (il biondo Garth di Wayne’s World, già unico imitatore di George Bush senior, che lo apprezzava tantissimo).
Ci sono stati i saluti finali di Will Ferrell (che è stato collega al Saturday Night Live).
C’era il mai dimenticato Jack Black che, sia pur claudicante, è parso in grande forma.
Dulcis in fundo, abbiamo visto l’incredibile intervista di Homer Simpson al cartone di Conan.
Alla fine, insomma, si torna sempre un po’ alle origini…
La scommessa di Conan: mettere insieme idiozia e intelligenza
Nell’estremo finale di ieri sera, Conan O’Brien ha voluto enunciare una chiave di lettura di tutto il suo lavoro: provare a mettere insieme idiozia e intelligenza.
Non è cosa da poco. Per niente.
La TV statunitense, se ci pensiamo, è sempre riuscita a sopravvivere alla dipartita degli immortali: Letterman, Leno… quando hanno lasciato, dopo decenni di barzellette tutte le sere, pareva che il vuoto fosse incolmabile.
Conan però c’era, e oggi, invece, guardiamo intorno e vediamo che tutti i pretendenti al trono sono identici: schiavi del politicamente corretto (se non della politica tout court) e, oramai, sicari della cancel culture – e soprattutto, parliamo di personaggi not funny.
Non uno dei nuovi late show host è davvero divertente: non l’inutile e biascicante Jimmy Kimmel, non l’acido e spiritato Seth Meyers, non l’incerto sudafricano Trevor Noah (di cui ci attendiamo tosto la cancellazione: alcune clip che abbiamo visto mostrano qualche pernicioso germe di razzismo in battute sui dialetti etnici del suo Paese), non l’ipocrita e noioso Stephen Colbert, non quei due o tre britannici a caso cui gli americani provano a far condurre qualche trasmissione. Davvero, non c’è nulla.
Quindi, addio Conan.
Cioè, arrivederci: te lo diciamo in italiano, perché speriamo che nella prossima avventura ci sia anche Schlansky, e tutto il team.